Cass. civ. Sez. V, Sent., 09-03-2011, n. 5577 Lite tributaria Sanzioni fiscali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Dati del processo.

1.1.- Il signor P.G. ricorre, con tre motivi illustrati da memoria, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, accogliendo l’appello proposto dall’ufficio, riforma integralmente la sentenza n. 222/4/1999 della commissione tributaria provinciale di Catania, che aveva accolto il ricorso presentato da esso contribuente contro l’avviso di liquidazione notificato il 14.12.1993, con cui l’ufficio del registro locale chiedeva il pagamento di un terzo dell’imposta complementare dovuta per la successione ad A.V., apertasi il 5.12.1988, avendo ritenuto il medesimo contribuente decaduto dal diritto di ottenere i benefici concessi dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 53. 1.2.- L’agenzia delle entrate ed il ministero dell’economia e delle finanze non resistono in questo giudizio di cassazione.

2.- Motivi del ricorso.

2.1.- Il ricorrente censura la sentenza impugnata.

2.1.1.- col primo motivo, per violazione e falsa applicazione della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 53, comma 8, per avere erroneamente accolto la tesi che la decadenza dal beneficio della definizione agevolata (condono) consegua al mancato pagamento, entro sessanta giorni dalla notificazione dell’avviso di liquidazione, di qualunque somma chiesta dall’ufficio; anzichè ai mancato pagamento della somma effettivamente "dovuta";

2.1.2.- col secondo motivo, per violazione e falsa applicazione della stessa norma e per vizi della motivazione (omissione, insufficienza, contraddittorietà), per avere conseguentemente errato nel ritenere che l’impugnazione della pretesa esosa del fisco non interrompa il corso della decadenza, affermando che "Il condono… è finalizzato proprio alla definizione delle pendenze con la pronta riscossione dell’imposta; salvo ovviamente il diritto all’impugnazione…";

diritto d’impugnazione che, non potendo trovare soddisfazione nel breve termine di sessanta giorni fissato per la decadenza, sarebbe condizionato dal previo pagamento di qualunque somma richiesta, attraverso una "riesumazione del vecchio principio del solve et repete": ipotesi passibile dell’eccezione d’incostituzionalità della norma, per violazione degli artt. 3, 53 e 113 Cost.;

2.1.3.- col terzo motivo, per violazione e falsa applicazione della stessa norma di legge, oltre che dell’art. 115 c.p.c., e per analoghi vizi della motivazione, con riferimento al rilievo, contenuto in sentenza, che esso contribuente, nel termine stabilito di sessanta giorni, non avrebbe "inteso pagare l’imposta condonata nè nella misura liquidata dall’Ufficio, nè tanto meno in quella da lui ritenuta dovuta": rilievo erroneo sia perchè un pagamento inferiore alla somma liquidata dall’ufficio non avrebbe evitato, in ipotesi, la decadenza, sia perchè la comprovata intenzione di esso ricorrente era di pagare il dovuto, laddove l’ufficio aveva chiesto il pagamento di somme non dovute.

3.- Decisione.

3.1.- I motivi di censura proposti sono infondati o inammissibili, per le ragioni di seguito esposte. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Nulla si deve disporre in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione, non avendo la parte intimata svolto valide difese.

4.- Motivi della decisione.

4.1.- Contro l’avviso di liquidazione della somma da pagare per il condono chiesto ai sensi della L. n. 413 del 1991, art. 53 il contribuente aveva proposto ricorso in separato processo cui si riferiscono la sentenza n. 8274/2006 di questa suprema corte e la sentenza del giudice del rinvio (n. 459/17/09, depositata in data 8.10.2009, della commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, non ancora passata in giudicato, allegata alla memoria) -, dolendosi del fatto che tale liquidazione era stata erroneamente eseguita ai sensi del primo comma, anzichè della L. n. 413 del 1991, art. 53, comma 2 con suo maggiore, ed asseritamente indebito, onere.

Nel frattempo, era inutilmente decorso il termine stabilito dallo stesso art. 53, comma 8 secondo il quale (penultima frase) "Le somme dovute debbono essere pagate a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla notificazione dell’avvenuta liquidazione"; sicchè l’ufficio aveva emesso e notificato un nuovo atto impositivo – di cui si discute in questo processo -, con cui, ritenendo il contribuente decaduto dal diritto alla definizione agevolata, aveva chiesto il pagamento di un terzo del tributo ( D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, ex art. 40, comma 2) ed aveva irrogato sanzioni.

4.2.- La questione da risolvere, affrontata sotto diversi aspetti con le singole censure sopra riferite, si riassume quindi nei seguenti termini: se la decadenza comminata dalla L. n. 413 del 1991, art. 53, comma 8, sia interrotta, oppure no, dalla presentazione del ricorso al giudice tributario contro l’avviso di liquidazione della somma da pagare a titolo di condono. In caso positivo (il ricorso interrompe la decadenza), il fisco non avrebbe diritto di chiedere il pagamento di un terzo del tributo già condonato; in caso negativo (il ricorso non ha effetto interruttivo della decadenza), l’inutile spirare de termine di sessanta giorni farebbe decadere la domanda di condono e ridurrebbe il contribuente a dover pagare, in definitiva, l’intero tributo.

4.3.- Col primo motivo di censura (par. 2.1.1) il ricorrente ipotizza che la decadenza dal beneficio del condono si verifichi, in caso di mancato pagamento entro sessanta giorni, sol quando la somma liquidata dall’ufficio sia "quella effettivamente dovuta"; e che invece non incorra nella decadenza comminata dal cit. art. 53, comma 8, il contribuente che impugni (omettendo di pagare) una liquidazione ritenuta ingiustamente superiore al dovuto. La censura è infondata.

4.3.1.- L’esatta entità della somma "dovuta" è questione non definibile unilateralmente dal contribuente, che quindi non è arbitro di pagare o non pagare a suo esclusivo giudizio. Egli può, ovviamente, "procedere alla contestazione… della pretesa erariale", come ha fatto nel caso concreto (in altro processo), sicchè è evidente che la norma sulla decadenza non gli preclude "la possibilità di fruire dei benefici portati dal c.d. condono" (ricorso, pag. 6); benefici di cui può godere soltanto nel rispetto dei termini di decadenza stabiliti. Salvo il successivo rimborso di quanto eventualmente pagato oltre il dovuto, per effetto di erronea liquidazione da parte dell’ufficio della somma dovuta a titolo di condono.

4.4.- La questione proposta essenzialmente col secondo motivo (par.

2.1.2), se l’impugnazione dell’avviso di liquidazione "impedirebbe, di per sè, la comminatoria della decadenza", dev’essere risolta negativamente. Anche il motivo in esame, pertanto, dev’essere rigettato.

4.4.1.- La presentazione del ricorso non è prevista dalla norma quale impedimento della decadenza; nè, d’altra parte, il corso del relativo termine è interrotto per effetto del ricorso, stante il disposto dell’art. 2964 c.c. in virtù del quale, quando un diritto deve esercitarsi entro un dato termine sotto pena di decadenza, non si applicano le norme relative all’interruzione della prescrizione, che invece è interrotta dalla notificazione dell’atto con cui s’inizia un giudizio ( art. 2943 c.c.). Pertanto, essendosi compiuto il termine di decadenza, non interrotto per sua natura dalla proposizione del ricorso, l’ufficio doveva procedere, nonostante l’impugnazione della liquidazione, ad emettere nuovo avviso per il pagamento di un terzo del dovuto, secondo la disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 40, comma 2, cit. al par. 4.1. 4.4.2.- In proposito, non sussiste la paventata "riesumazione del vecchio principio del solve et repete"; la connessa eccezione d’incostituzionalità è quindi manifestamente infondata.

Infatti, l’esperimento dell’azione giudiziaria non è subordinato, in questo caso, al pagamento della somma liquidata, sul presupposto della presunta legittimità dell’atto amministrativo fiscale (cfr. C. cost., sent. nn. 89/1962, 45/1962); tanto è vero che il contribuente impugnò l’avviso di liquidazione senza aver pagato la somma da esso portata. Il fatto che il mancato pagamento in termini della somma liquidata per condono abbia l’effetto di ripristinare la debenza integrale del tributo è dunque il tipico risultato della decadenza, del tutto estraneo alla regola del solve et repete (cfr., in materie simili, C. cost., sent. nn. 86/1962, 268/1984, 263/1994).

4.5.- Il terzo motivo (par. 2.1.3) è inammissibile, posto che la censura si appiglia ad una espressione ("non ha inteso pagare") che non ha alcuna influenza sulla decisione, supportata esclusivamente – al di là dell’espressione più o meno felice usata dal giudicante – da dato "incontroverso" che il contribuente non aveva pagato, nel termine prescritto a pena di decadenza, la somma liquidata dall’ufficio per beneficiare del condono.

4.6.- Il ricorrente sostiene, nella memoria, che la sentenza del giudice di rinvio citata al par. 4.1, una volta passata in cosa giudicata, sancendo il suo diritto di pagare una somma inferiore a quella liquidata dall’ufficio per il condono – per applicazione del comma 2, anzichè del comma 1, dell’art. 53, L. n. 413 del 1991 -, "assorbirebbe le questioni di cui al presente ricorso", che così risulterebbero evidentemente fondate.

In ogni caso, "la statuizione in esame, avendo ammesso il contribuente ad un condono diverso rispetto a quello erroneamente liquidato dall’ufficio, riaprirebbe un nuovo e diverso termine per l’adempimento del contribuente", giacchè "il solo fatto di non aver pagato l’imposta complementare erroneamente liquidata dall’Ufficio… non osterebbe all’ammissione dello stesso contribuente al diverso condono di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 53, comma 2".

Chiede pertanto, in principalità, "la sospensione del presente giudizio ai sensi della L. n. 413 del 1991, art. 53, comma 12 fino alla definizione della domanda di condono così come riferibile al contribuente in base alle statuizioni portate dalla sentenza della Suprema Corte n. 274/09 recte, 8274/2006 e della C.T.R. per la Sicilia n. 459/17/09"; in subordine, "il differimento della trattazione del ricorso ad altra data, onde verificare la formazione del giudicato" sulla predetta sentenza della commissione regionale;

in ulteriore subordine, l’accoglimento del ricorso.

4.6.1.- Le domande qui esposte procedono dalla comune premessa logica che il (futuro) giudicato, concernente la corretta liquidazione della somma dovuta per il condono, influisca sulla decisione della presente lite, in cui si discute se il mancato pagamento della somma pretesa dall’ufficio abbia prodotto, oppure no, la decadenza dal beneficio.

Tale premessa è erronea, giacchè la decadenza stessa, verificatasi per le ragioni esposte sopra ai par. 4.3 e 4.4, è argomento dotato di priorità giuridica e logica, rispetto a quello concernente la giusta entità della somma da pagare a titolo di condono. Infatti, posto che il contribuente è decaduto dal beneficio, non riveste ulteriormente alcun interesse stabilire quale sarebbe stata la somma giusta da pagare per ottenere un condono ormai inammissibile, a causa della decadenza. Pertanto, non può essere accolta la domanda di rinvio del presente giudizio, in attesa che si formi il giudicato su questione non avente carattere pregiudiziale.

4.6.2.- Anche la richiesta di sospendere il presente giudizio ai sensi del cit. art. 53, comma 12, considerando tuttora aperto il termine per beneficiare del "diverso" condono (previsto dallo stesso art. 53, comma 2), cui il contribuente, in ipotesi, avrebbe ancora diritto, è priva di giuridico fondamento.

In realtà, nessuno dubita della tempestività della domanda di condono presentata; mentre le controversie che ne sono derivate riguardano, rispettivamente, l’entità della somma da versare e la decadenza dal beneficio; la quale decadenza, essendosi verificata, impedisce il condono, tanto ai sensi del comma 1 quanto del comma 2 dei più volte citato art. 53, come prescrive il successivo comma 8. 4.7.- il ricorso, per conseguenza, deve essere rigettato.

5.- Dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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