Cass. civ. Sez. V, Sent., 09-03-2011, n. 5576 Imposta reddito persone fisiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 9/5/2005 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva il gravame interposto dall’Agenzia delle entrate Roma (OMISSIS) nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Roma di accoglimento dell’impugnazione proposta dal contribuente sig. T.F. del silenzio rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso di quanto trattenuto a titolo di I.R.P.E.F. sull’indennità supplementare contrattualmente prevista che il datore di lavoro (Amministrazione P.T.) gli aveva corrisposto, in aggiunta all’indennità di mancato preavviso, all’esito della declaratoria giudiziale di illegittimità del recesso da quest’ultimo operato nel 1994 dal rapporto di lavoro.

Avverso la suindicata decisione del giudice dell’appello il T. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso l’Agenzia delle entrate e il Ministero dell’economia e delle finanze.
Motivi della decisione

Vanno preliminarmente dichiarati inammissibili il ricorso e il controricorso rispettivamente proposti nei confronti del e dal Ministero dell’economia e delle finanze, che incontestatamente non è stato parte del giudizio d’appello, ed è privo di legittimazione attiva e passiva nel presente giudizio, atteso che a seguito della riforma dell’A.F. introdotta dal D.Lgs. n. 300 del 1999 sono state istituite le Agenzie fiscali, e, pertanto, a partire dal 1 gennaio 2001 (data d’inizio dell’operatività di detti enti) la legittimazione processuale attiva e passiva nel contenzioso tributario compete a dette istituzioni, dotate di personalità giuridica, e non più al Ministero o agli uffici periferici dello stesso, questi ultimi non più esistenti a seguito dell’intervenuta riforma (cfr., da ultimo, Cass., 12/11/2010, n. 22986. V. altresì Cass., 25/2/2009, n. 4500; Cass., 19/1/2009, n. 1123; Cass., 12/3/2008, n. 6591). Con compensazione delle relative spese tra le parti.

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 6, 16 (ora 17), 46 (ora 49), 48 (ora 51), artt. 2043, 1223 c.c., art. 19 C.C.L. 11/8/1994, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che il giudice dell’appello abbia erroneamente equiparato la ed. indennità supplementare ad un risarcimento da lucro cessante, laddove essa costituisce risarcimento da danno emergente, e non è pertanto tassabile, in quanto «non ha affatto comportato un "reddito" cioè un aumento di ricchezza, ovvero non ha sostituito alcun reddito (come la ben diversa indennità sostitutiva del mancato preavviso …)".

Con il 2 motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e dell’art. 112 c.p.c.; nonchè omessa o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si duole che il giudice dell’appello abbia erroneamente ritenuto non provata "la diversa causale o funzione dell’indennità supplementare", laddove "non si esamina, non si valuta tutta la documentazione sanitaria prodotta (allegati sub 14/22 alla nota integrativa 6.12.2004) che serviva appunto a dimostrare la sussistenza del danno emergente e la sua gravità, che, anche a voler prescindere dall’art. 19 C.C.L., ben giustificava il risarcimento di cui alla concessa "indennità supplementare".

Lamenta la "erronea valutazione, da parte del Giudice di merito, di una serie di documenti ritualmente acquisiti agli atti del predetto giudizio. Erronea valutazione e/o travisamento che comporta il vizio che viene denunciato … che si risolve in una omessa motivazione".

Si duole che il giudice dell’appello non si sia «pronunciato sulla domanda, proprio perchè ha omesso di indagare sui fondamenti di questa, come era suo potere – dovere".

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità, di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Quanto al vizio di motivazione ex artt. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierno ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come il medesimo faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es., alla "Sentenza Pretoriale" di "condanna della risarcitoria somma"; alla "ritenuta d’acconto IRPEF" applicata "al detto risarcimento" dall’"Ente pagatore … (cfr. all. sub 5 al ricorso alla C.T.P. sopra indicato"); all’"istanza 9/15.02.1999 … all’allora competente Centro Servizi Imposte Dirette di Roma" di "restituzione di L. 39.876.000 operata sulla somma corrisposta a titolo di indennità supplementare …"; al "ricorso alla C.T.P. di Roma"; alla "Sentenza n. 76/05/03 del 12.02/05.05.2005"; all’atto di "appello" dell’Agenzia delle entrate, Ufficio Roma (OMISSIS)"; alla "memoria di costituzione 20.07.2004"; alla "note 06.12.2004"; alla "documentazione in atti allegata cui si rimanda"; ad "un accordo transattivo intercorso tra le Parti"; all’"art. 19 del contratto";

all’art. 23 del "contratto collettivo"; alla "Risoluzione 1.7.1974 n. 10/892"; alla "risoluzione n. 155/E del 27.05.2002"; a "tutta la documentazione sanitaria prodotta (allegati sub 14/22 alla nota integrativa 6.12.2004"; alla "documentazione medica … rilasciata dall’ (OMISSIS)"; alla "serie di documenti ritualmente acquisiti agli atti del predetto giudizio";

alle "cartelle cliniche"; ai "certificati ospedalieri e delle U.S.L."; alla "attestazione della dr.ssa C. 12.8.2004" di cui lamenta la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente rinviare agli atti del giudizio di merito, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso.

A tale stregua non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 172/1995, n. 1161).

Va in ogni caso osservato che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, il giudice dell’appello non ha invero equiparato la cd. indennità supplementare ad un risarcimento da lucro cessante, ma, facendo corretta applicazione del principio secondo cui l’indennità per ingiustificato licenziamento, prevista dalla contrattazione collettiva in favore dei dirigenti d’azienda, e liquidata secondo parametri parzialmente discrezionali (nella forbice tra minimi e massimi ) da un apposito collegio sindacale, oppure dal giudice, ha carattere forfettario ed onnicomprensivo e può riferirsi sia a voci di risarcimento soggette a tassazione che a voci che ne sono esenti, sicchè nell’ambito di un processo di rimborso è onere del contribuente dimostrare che l’indennità si riferisce (in tutto o in parte) a voci di risarcimento puro, esenti da tassazione, non essendo sufficiente l’indicazione del relativo mero carattere risarcitorio, costituendo invero risarcimento anche il ristoro di emolumenti non percepiti, tassabili ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2, (v. Cass., 20/2/2006, n. 3632; Cass., 16/9/2005, n. 18369), è pervenuto ad affermare che il ricorrente non ha dato invero la prova di avere nel caso subito un danno diverso da quello integrato dalla "perdita dei redditi", al riguardo escludendo di potere, "in questa sede di contenzioso tributario", attribuire rilievo alla "documentazione sanitaria da lui prodotta", giacchè tale domanda "avrebbe dovuto, semmai, costituire – ma non costituì – oggetto di domanda al Pretore del lavoro".

Orbene, quest’ultima statuizione non risulta in realtà (quantomeno) idoneamente censurata.

Attesa la già evidenziata violazione del principio di autosufficienza, il ricorrente, da un canto, non pone questa Corte nella condizione di apprezzare quale fosse l’oggetto della domanda rivolta al Pretore del lavoro e quale sia stata la relativa pronunzia; da altro canto, con riferimento all’impugnata pronunzia del giudice dell’appello non formula una censura ex art. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè una censura in termini di error in procedendo ex art. 112 c.p.c. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (viceversa non censurabile sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: cfr. Cass., 4/6/2007, n. 12952;

Cass., 22/11/2006, n. 24856; Cass. 26/1/2006, n. 1701; Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 5/12/2002, n. 17307; Cass., 23/5/2001, n. 7049; Cass., 25/9/1996, n. 8468; Cass., Sez. un., 14/1/1992, n. 369), anche in relazione alla quale il principio di autosufficienza va invero osservato, dovendo specificamente indicarsi l’atto difensivo o il verbale di udienza nei quali le domande o le eccezioni sono state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (v. Cass., 31/1/2006, n. 2138; Cass., 27/1/2006, n. 1732; Cass., 4/4/2005, n. 6972; Cass., 23/1/2004, n. 1170; Cass., 16/4/2003, n. 6055).

E’ infatti al riguardo noto che, pur divenendo nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale) con conseguente potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta comunque quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Orbene, emerge evidente alla stregua dei suindicati rilievi come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come si è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., il ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terze» grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze e il relativo controricorso, compensandone le relative spese. Rigetta il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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