Cass. civ. Sez. V, Sent., 09-03-2011, n. 5573 Fatture

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di p.v.c. dell’Ufficio di dogana di Milano (OMISSIS), l’Agenzia delle entrate, ufficio di Milano (OMISSIS), notificava, alla società T A s.r.l., in data 10.12.2003, avviso di accertamento I.V.A. per l’anno 1998 per irregolare tenuta della contabilità, inerente la mancata registrazione di acquisti intracomunitari in violazione del D.L. n. 331 del 1997, art. 47 nonchè per l’omessa registrazione di 15 fatture relative a vendita di auto usate, rispettivamente, con recupero d’imposta per L. 105.991.000 e per L. 190.076.000; venivano inoltre, applicate anche le sanzioni.

La società impugnava detto atto innanzi alla C.T.P. DI (OMISSIS), lamentando per il primo rilievo che si sarebbe trattato di un errore formale che non produceva alcuna evasione d’imposta e quanto alla seconda ripresa che la vendita delle auto usate effettuate all’interno della Comunità europea in regime di margine aveva dato un prodotto negativo per come era stato anche rilevato con p.v.c. redatto da verificatori dello stesso Ufficio in data 21.12.2001.

Asseriva, inoltre, che aveva presentato istanza di condono ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 8 per gli anni dal 1998 al 2001 ed, infine, eccepiva anche la carenza di motivazione dell’atto impugnato.

Resisteva l’Ufficio affermando la legittimità dell’avviso emesso e contestando la legittimità del condono richiesto, stante la natura sostanziale e non formale delle violazioni contestate.

La C.T.P. accoglieva il ricorso, per effetto del condono ed affermando che le mancate annotazioni non avevano prodotto alcun debito d’imposta.

Avverso tale pronuncia proponeva appello l’Ufficio affermando l’erroneità della ritenuta applicabilità del condono, per l’esistenza di un p.v.c. ostativo a detta richiesta, data la natura sostanziale e non formale delle violazioni contestate. Resisteva la società ribadendo quanto espresso in primo grado.

La C.T.R. accoglieva il gravame, condividendo la tesi dell’appellante.

Avverso detta decisione la società T A s.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, integrati da memoria.

L’Agenzia delle entrate è presente con semplice atto di costituzione.
Motivi della decisione

Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, artt. 38, 46 e 47 convertito con modificazioni in L. n. 427 del 1993; L. n. 289 del 2002, art. 8, comma 3, e art. 15 per avere la C.T.R. ritenuto non sanabile L. n. 289 del 2002, ex art. 8 la violazione contestata per l’inosservanza degli obblighi relativi agli acquisti intracomunitari sanciti dal D.L. n. 331 del 1993, artt. 38, 46 e 47 dato che nella specie non sussistevano cause specifiche che determinassero l’indetraibilità totale o parziale dell’imposta risultante a credito per detti acquisti.

Con la seconda doglianza si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 18, 21 e 22 della 6^ Dirett. n. 77/388/CEE; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, 54, 56 e 57; del D.L. n. 331 del 1993, artt. 38, 46 e 47 convertito con modificazioni in L. n. 427 del 1993 e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, per avere la C.T.R. ritenuto violazioni non formali l’inadempimento dell’obbligo di integrazione e di registrazione delle fatture degli acquisti intracomunitari, malgrado non fossero suscettibili di determinare un’evasione d’imposta in violazione della neutralità dell’I.V.A. per gli operatori economici, come riconosciuto dalla normativa comunitaria ed, in particolare, dalla 6^ Dirett. n. 77/388/CEE. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 41 del 1995, artt. 36 e 38 conv. in L. n. 85 del 1995 e L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, per avere la C.T.R. affermato in ordine all’omessa registrazione delle 15 fatture relative a vendita di auto usate che nessuna documentazione era stata prodotta onde rilevare il margine globale negativo tra gli acquisti e le corrispettive vendite, mentre era stato prodotta copia del registro dei beni usati, e che tale risultanza non produceva alcun debito d’imposta.

Con la quarta censura , svolta in via subordinata, si evidenzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, e L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, per avere la C.T.R. ritenuto legittima l’applicazione delle sanzioni malgrado le obbiettive condizioni d’incertezza sulla portata e l’ambito di applicazione della norma applicata.

Con l’ultimo motivo, proposto in ulteriore subordine si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, per essere state applicate le sanzioni in presenza di violazioni meramente formali senza debito d’imposta malgrado l’espressa previsione della norma sopraindicata.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

E’ stato ripetutamente affermato da questa Corte, che "In tema di condono fiscale, la sentenza della Corte di Giustizia CEE 17 luglio 2008, in causa C-132/06 – secondo la quale la Repubblica Italiana è venuta meno agli obblighi di cui agli artt. 2 e 22 della 6^ direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388 CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all’I.V.A., per avere previsto, con la L. 27 dicembre 2002, n. 289, artt. 7 ed 8 una rinuncia generale e indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, così pregiudicando seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto – ha una portata generale, estesa a qualsiasi misura nazionale, sia essa di carattere legislativo o amministrativo, con la quale lo Stato membro rinunci in modo generale o indiscriminato, all’accertamento e/o alla riscossione di tutto o parte dell’imposta dovuta, oltre che delle sanzioni per la relativa violazione, trattandosi di misure di carattere dissuasivo e repressivo, la cui funzione è quella di determinare il corretto adempimento di un obbligo nascente dal diritto comunitario" (cfr., ex multis, cass. civ. sentt. nn. 17371, 20068 e 20069 del 2009).

In conseguenza di tale consolidata giurisprudenza, il motivo deve essere respinto, restando del tutto irrilevante anche l’eventuale positiva conclusione del procedimento amministrativo di condono, sia perchè quello che comunitariamente è inibito al legislatore non può essere consentito all’amministrazione pubblica, nè le parti con la domanda di dichiarazione di estinzione del processo possono esercitare un potere di disposizione di cui non hanno la titolarità.

Nè incide sulla presente decisione la recente pronuncia di questa Corte n. 3676 del 2010 con la quale le SS.UU hanno dichiarato la compatibilità del solo L. n. 289 del 2002, art. 16 con la 6^ direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio europeo del 17 maggio 1977 e con la sentenza della Corte di Giustizia CEE del 17 luglio 2008 in causa C-132/06, trattandosi una norma che non comporta una rinuncia dell’Amministrazione all’accertamento dell’imposta, bensì la definizione di una controversia in corso con il contribuente, dall’esito incerto. Peraltro detta decisione ha espressamente ribadito l’incompatibilità con la normativa comunitaria degli artt. 8 e 9 della medesima legge.

Il secondo e terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili in quanto non è consentito, in sede di legittimità, un riesame del merito della controversia attraverso il tramite strumentale dell’art 360 c.p.c. che nei suoi limiti obbiettivi e nella finalità sua propria, è volto unicamente al controllo di legalità sul modo e sui mezzi adoperati dal giudice nella motivazione delle fonti del suo convincimento in modo da poterne seguire il suo processo logico. Ne consegue che la valutazione delle circostanze e delle ragioni poste a base di tale convincimento costituisce una res facti insindacabile in sede di legittimità se non sussistono vizi logici ed errori di diritto, come nella specie.

In particolare, poi, per quanto riguarda la doglianza, espressa nel terzo motivo, relativa all’omesso esame da parte dei giudici del merito della copia del registro dei beni usati prodotta in atti è anch’essa inammissibile. I rilievi svolti dall’odierno ricorrente evidenziano, infatti, un errore di mero fatto e non anche di diritto (un errore, cioè, in cui sarebbe incorso il Giudice del merito) per cui lamentandosi, prima ancora che un error iuris sub specie dell’error in procedendo, un errore di fatto che, del primo, costituisce imprescindibile presupposto logico; per il quale il mezzo di impugnazione sarebbe dovuto correttamente essere la revocazione e non il ricorso per cassazione.

In ordine alla denuncia (in sostanza) di un errore revocatorio questa Corte ha sempre ritenuto che: "Qualora una parte assuma che la sentenza, impugnata con ricorso ordinario per cassazione, è viziata a causa della erronea interpretazione di un fatto da parte del giudice di merito, che ha fondato la sua decisione sulla esistenza di un fatto risultante chiaramente inesistente dagli atti o documenti processuali, il ricorso deve ritenersi inammissibile in quanto trattasi di errore revocatorio da rimuovere a mezzo dello specifico strumento di impugnazione disciplinato dall’art. 395 cod. proc. civ." (cfr. tra le altre Cass. n. 13366 del 11/09/2003 e, più recentemente, 10027 del 2003, 11276 del 2005 e 5450 del 2006).

Il quarto motivo è infondato.

Parte ricorrente sostanzialmente contesta la ritenuta legittimità dell’applicazione delle sanzioni in presenza di una pretesa incertezza sulla portata delle disposizioni e dell’ambito di applicazione delle stesse. La lettura delle norme contestate non evidenzia alcuna difficoltà interpretativa, data la linearità e la chiarezza di immediata evidenza delle stesse per cui legittimamente la C.T.R. non accolto le censure espresse in merito.

Uguale destino merita anche l’ultima subordinata censura concernente l’applicazione di sanzioni in presenza di violazioni meramente formali che non supportano alcun debito d’imposta.

Tale censura è infondata in quanto la C.T.R., con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede di legittimità in assenza di errori di diritto od illogicità di motivazione, ha acclarato che sussiste un debito d’imposta; conseguentemente la norma invocata risulta inapplicabile nella specie.

Tutto ciò premesso, dichiarata assorbita ogni altra censura, il ricorso va respinto e, non avendo la parte intimata svolto, in questa fase di giudizio, alcuna attività difensiva , non si statuisce sulle spese.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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