Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 14-01-2011) 04-02-2011, n. 4431 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.) Gli antefatti della vicenda: la sentenza di annullamento dell’ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere.

Questa sezione, con sentenza 17554/10 in data 26 marzo 2010, decidendo sul ricorso proposto da P.D. ed altri, avverso l’ordinanza 21 luglio 2009 del Tribunale di Roma (la quale, in accoglimento dell’appello proposto dal P.M. presso il Tribunale del riesame di Roma, in riforma dell’ordinanza 7 aprile 2009 del G.I.P. del Tribunale di Roma, che aveva negato le chieste misure cautelari, aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei suoi confronti) aveva annullato l’ordinanza impugnata rinviando per nuovo esame al Tribunale di Roma.

Va preliminarmente rammentato che il P. nella sua impugnazione (de libertate), con un primo motivo aveva dedotto inosservanza ed erronea applicazione della legge, in quanto -per l’applicazione della misura- si era utilizzata una dichiarazione da lui resa, in ambito amministrativo avanti alla guardia di finanza, e al di fuori della previsione dell’art. 350 c.p.p., dato che in allora l’attività investigativa non aveva ancora avuto inizio e per di più in violazione del disposto dell’art. 63 c.p.p., trattandosi di dichiarazioni che avrebbero trovato pieno ma illegittimo utilizzo nell’ordinanza impugnata a pagg. 4, 10, 22, 27, 31 e 38. Con un secondo motivo l’indagato si era lamentato vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza con riferimento al contestato delitto di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, trattandosi in concreto di attività svolta dall’indagato quale libero professionista. Con un terzo motivo si era prospettata violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai gravi indizi di colpevolezza per il reato di associazione per delinquere.

Con un quarto motivo si era evidenziato ancora vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento al pericolo di inquinamento probatorio ex art. 274 c.p.p., lett. a). Con un quinto motivo si era segnalato sia vizio di motivazione che violazione di legge in ordine al pericolo di reiterazione della condotta criminosa ex art. 274 c.p.p., lett. c).

A fronte di tali doglianze, questa sezione, nel citato provvedimento di annullamento, dopo aver testualmente premesso che sono "impregiudicate le questioni relative alle dedotte nullità ed ai gravi indizi di colpevolezza per i reati contestati", ha accolto il ricorso di P.D. con limitato riferimento alle esigenze cautelari personali, e, quindi con l’esclusivo esame, nella specie, del 4^ e 5^ motivo in punto di inquinamento probatorio ed esigenze social preventive.

2.) l’ordinanza 23 luglio 2010 del Tribunale del riesame di conferma del decreto di sequestro preventivo.

P.D. ricorre, a mezzo del suo difensore, contro l’ordinanza 23 luglio 2010 del Tribunale del riesame che ha confermato il decreto di sequestro preventivo 24 giugno 2010 del G.I.P. del Tribunale di Roma nei confronti di P.D..

La difesa dell’indagato, nella richiesta di riesame, aveva concluso per l’annullamento del decreto impugnato per carenza del fumus, evidenziando che l’ordinanza 10 giugno 2009 del Tribunale del riesame era stata annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione, che ha ritenuto assorbenti le censure difensive in punto di esigenze cautelari, lasciando impregiudicate quelle attinenti al merito, cosicchè occorreva tener conto della valutazione originaria del GIP, che in molti casi aveva ritenuto non raggiunta la soglia della gravità indiziaria.

In particolare si è osservato:

a) che la L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies non richiama l’art. 321 c.p., a differenza di quanto previsto dall’art. 322 ter c.p., che prevede anche l’applicabilità della confisca per il corruttore, cosicchè lo strumento ablatorio non può trovare applicazione nel caso in cui il soggetto agisca come corruttore e, pertanto, di privato. Tenuto conto che nella vicenda in esame il P. era un pubblico dipendente part-time, ma anche un libero professionista, la veste sotto la quale lo stesso agiva non è irrilevante ai fini della configurabilità dei reati ipotizzati e della conseguente applicabilità o meno della misura, ritenendo la difesa che nelle singole vicende oggetto di incolpazione sarebbe al più configurabile l’abuso d’ufficio;

b) che il riferimento alla qualifica tecnica del P. in ambito pubblico non trova riscontro nella ricostruzione dei fatti, emergendo che l’indagato agiva quale privato professionista; si è evidenziato che in ordine al capo A) della rubrica il GIP, nell’ordinanza di rigetto della domanda cautelare personale, aveva ritenuto insufficienti gli indizi offerti dall’accusa, valutati semplici sospetti. Ha, quindi, ritenuto inapplicabile lo strumento adottato nei confronti del P. che ha agito in chiave privata, ancorchè nell’ambito di una attività che preveda l’interlocuzione con la pubblica amministrazione;

c) che sarebbe errata l’impostazione accusatoria in ordine alla sproporzione patrimoniale, in quanto gli elementi reddituali richiamati ineriscono non solo alla remunerazione da lavoro dipendente ma anche all’attività libero professionale e nel caso in esame il dipendente "part time" viene chiamato a giustificare le entrate da libero professionista, atteso che nelle contestazioni ha agito in veste di privato cittadino.

Tali tre censure difensive sono state ritenute infondate nella gravata ordinanza.

In proposito il Tribunale del riesame, dopo aver premesso che la sentenza di annullamento è stata limitatamente alle esigenze cautelari, lasciando "impregiudicate" le questioni relative ai gravi indizi di colpevolezza per i reati contestati, ha rilevato che esula dall’ accertamento richiesto nella sede cautelare reale una nuova disamina del merito delle incolpazioni e la confutazione della gravità indiziaria.

Ribadisce ancora la gravata ordinanza che la verifica dei presupposti per l’adozione del sequestro preventivo da parte del giudice del riesame non deve risolversi nell’accertamento della sussistenza di indizi di colpevolezza o della loro gravità, ma solo della sussistenza di elementi concreti conferenti nel senso della sussistenza del reato ipotizzato.

Nel caso in esame infatti -per il provvedimento gravato- le indagini e le intercettazioni, in particolare, hanno rivelato che il P., tecnico istruttore del 9^ Dipartimento del Comune di Roma, autorizzato a part-time, era socio occulto della società Ellecidi, formalmente destinataria di incarichi professionali aventi ad oggetto pratiche, rientranti nelle sue competenze d’ufficio, essendo egli designato all’istruttoria delle Super Dia o delle Dia individuate dall’accusa: pertanto, dette pratiche venivano gestite in contrasto con i suoi doveri d’ufficio e con l’obbligo di imparzialità incombentegli, agendo egli in patente conflitto di interessi per garantire dietro compenso il risultato atteso dai privati.

Ne consegue, per il Tribunale del riesame, che le incolpazioni di corruzione o concussione formulate sulla scorta delle risultanze captative, della documentazione acquisita presso gli uffici comunali, delle sommarie informazioni raccolte e della consulenza tecnica disposta dal PM, hanno ad oggetto pratiche edilizie rientranti nelle competenze d’ufficio dell’indagato o, comunque, assegnate al suo ufficio, cosicchè non è contestabile la veste pubblica sotto la quale l’indagato agiva nel trattare le stesse.

Quanto all’indicazione dell’art. 321 c.p.p. contenuta nei capi c) e d) dell’incolpazione, l’ordinanza ha osservato che la mancata indicazione ditale norma nella L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies si giustifica in quanto l’art. 321 c.p. non delinea alcuna condotta, ma si limita ad estendere il trattamento sanzionatorio previsto dagli art. 318, 319, 319 bis e 319 ter c.p. e art. 320 c.p. anche al corruttore, che, quale extraneus concorre nel reato proprio del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.

Il richiamo all’art. 322 ter c.p. non è stato ritenuto quindi pertinente, stante la diversa natura e finalità della confisca di valore rispetto a quella disciplinata dalla L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies. Infatti, la prima è una forma di prelievo pubblico del profitto del reato, non più direttamente recuperabile, ha carattere sanzionatorio e si correla all’entità del profitto del fatto reato accertato, mentre la confisca prevista dall’art. 12 sexies L. cit. prescinde dall’entità del profitto del reato, è correlata a determinate tipologie di reato, si orienta su beni nella disponibilità del condannato di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o ai proventi della sua attività economica, di cui non sia giustificata la lecita provenienza, e ha una funzione specialpreventiva, con caratteri propri di una misura di sicurezza patrimoniale, pacificamente applicabile, per tali ragioni, anche al corruttore (Cass. sentenza n. 25096/09).

Su tali premesse il Tribunale del riesame ha considerato infondate le censure difensive e sussistente il fumus dei delitti contestati sulla scorta della ricostruzione fattuale contenuta nell’ordinanza del tribunale con condivisione delle argomentazioni del GIP quanto ai presupposti di applicabilità della misura.
Motivi della decisione

1.) i motivi di impugnazione del P. avverso il provvedimento di sequestro cautelare e la decisione di rigetto della Corte.

La premessa del ricorso del P. – avverso la decisione cautelare reale- è che questa sezione, con la citata sentenza di annullamento con rinvio della misura cautelare personale, avrebbe "statuito un annullamento totale e non parziale".

Da ciò l’assunto secondo cui la Suprema Corte, nel decidere unicamente sui motivi cautelari e non pronunciandosi affatto su tutti gli altri motivi proposti, avrebbe lasciato "impregiudicate" tali questioni, proprio perchè non valutate.

In conclusione per il ricorrente:

a) sono rimasti inevasi tutti i motivi e le eccezioni presentate dalle difese, anche inerenti la corretta configurazione delle ipotesi criminose in relazione ai fatti come contestati, nonchè alla fondatezza dell’apparato argomentativo adottato dal Tribunale del Riesame per ritenere sussistente il fumus commissi delicti;

b) non esiste pertanto allo stato alcuna pronuncia in relazione alla bontà del quadro indiziario al quale potere fare validamente richiamo, ad eccezione delle valutazioni operate dal GIP nell’ordinanza di rigetto delle misure del 7 aprile 2009, e ciò proprio correttamente interpretando l’inequivoco significato, anche etimologico, della parola "impregiudicate = non risolte, non decise, aperte". c) risulta violato l’obbligo motivazionale, riconosciuto anche per le ordinanze, laddove il Tribunale del Riesame, in sede di valutazione del decreto di sequestro impugnato, ha ritenuto assolto il suo compito argomentativo con affermazioni prive di consistenza. d) è erronea la conclusione cui il Tribunale del riesame è pervenuto nel qualificare il termine "impregiudicate" (le questioni inerenti il quadro indiziario), nel senso di avallate, da parte della Suprema Corte. e) è scorretta l’applicabilità dell’art. 12 sexies al corruttore, in assenza di esplicito richiamo all’art. 321 c.p., tenuto conto che la condotta del P. non avrebbe presentato i caratteri della veste pubblica, ma al più privatistica.

I motivi, per come formulati, non sono accoglibili ed il ricorso va rigettato.

Infatti, quanto alle doglianze sub a-b-c-d, e come osservato dal Procuratore generale, "l’impregiudicato" della decisione di annullamento con rinvio, è stato nella specie adeguatamente compensato dalla motivazione dell’ordinanza del riesame.

Invero la giustificazione del Tribunale (dianzi richiamata) deve ritenersi in coerente linea con l’orientamento di questa Corte regolatrice, in quanto la verifica del fumus commissi delicti nel sequestro preventivo va compiuta, dal giudice del riesame o dell’appello cautelare, in rapporto alla congruità degli elementi delineati dall’accusa, i quali non sono censurabili sul piano meramente fattuale (Cass. pen. sez. 6, 42300/2008, rv. 241332, Cass. Sez. 3, 23214/2004, rv. 228807; Cass. Sez. 4, 23944/2008 rv. 240521).

La gravata ordinanza infatti -contrariamente all’assunto difensivo – risulta aver in concreto provveduto, sia pure con stringata motivazione, a tale necessaria verifica la quale ha dato adeguato conto delle ragioni che hanno correttamente fondato la decisione, attraverso una valutazione sommaria del "fumus" del reato ipotizzato, relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, pur nella preclusione di ogni valutazione, riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla gravità di essi e alla colpevolezza dell’indagato (cfr. SS. UU. 23 aprile 1993, Gifuni).

Quanto alla critica sub e) circa l’applicabilità dell’art. 12 sexies al corruttore, in assenza di esplicito richiamo all’art. 321 c.p., sul presupposto che la condotta del P. non avrebbe presentato i caratteri della veste pubblica, ma al più privatistica, l’ordinanza impugnata ha ampiamente e correttamente motivato sulla inoppugnabile "veste pubblica" del ricorrente nella gestione delle pratiche, realizzata in contrasto con l’obbligo di imparzialità e con i suoi doveri d’ufficio.

Inoltre e da ultimo, il ricorso all’art. 12 sexies rende irrilevante la distinzione tra persona corrotta e corruttore, a ciò bastando la mera sussistenza del delitto, tenuto comunque conto della ineccepibile e condivisibile motivazione in diritto formulata dal Tribunale del riesame e dianzi integralmente trascritta.

Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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