Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 14-01-2011) 04-02-2011, n. 4402 Dibattimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.S.D. ricorre, a mezzo del suo difensore, contro la sentenza 9 ottobre 2009 della Corte di appello di Roma che, in parziale riforma della decisione 5 maggio 2008 del Tribunale di Roma, ha ridotto la pena ad anni 1 e mesi 4 di reclusione per i delitti di simulazione di reato e truffa in danno della Società cattolica di assicurazione.

In particolare è contestato all’imputato:

al capo sub 1): il delitto di cui all’art. 367 c.p. per aver presentato una falsa denuncia di furto del veicolo Maserati 3200 GT tg. (OMISSIS), avvenuto asseritamene in Via di (OMISSIS) dove lo aveva lasciato momentaneamente in sosta, in realtà la vettura era stata acquistata gravemente incidentata nel giugno 2002 e non era in condizioni di poter circolare, Fatti commessi in (OMISSIS);

al capo sub 2): il delitti di cui all’art. 640 c.p., art. 61 c.p., n. 7 perchè con artifici e raggiri consistiti nel denunciare falsamente la sottrazione del veicolo indicato al capo 1), che aveva in precedenza assicurato contro il furto con la Società Cattolica di Assicurazione Coop. a r.l., non evidenziando che si trattava di automezzo gravemente incidentato, induceva in errore la predetta società sull’esistenza di un evento che dava titolo al risarcimento contrattualmente stabilito e così conseguiva l’ingiusto profitto di Euro 41.200 che veniva liquidato alla sorella M.S. M. (formale titolare del veicolo) con danno corrispondente di speciale gravità per la vittima. In (OMISSIS) (data di liquidazione del risarcimento derivante dal denunciato furto).
Motivi della decisione

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo dell’art. 495 c.p.p., comma 4 bis, in relazione ai poteri del giudice sulla superfluità delle prove dedotte dalle parti.

In particolare si lamenta che, pur avendo il P.M. rinunciato all’esame di due testi da lui stesso indicati, la difesa dell’imputato si era a ciò opposta, chiedendo comunque che gli stessi fossero escussi a prova contraria: a fronte di tale contrasto, il giudice, violando i disposti dell’art. 495 c.p.p., comma 4 bis con riferimento all’art. 190 c.p.p., ha ritenuto la superfluità dell’audizione di tutti i testi senza idonea motivazione sul punto.

Il motivo è palesemente infondato.

E’ noto che, nel corso del dibattimento, il potere giudiziale di revoca, per superfluità, delle prove già ammesse è più ampio di quello esercitabile all’inizio del dibattimento stesso, momento in cui il giudice può escludere soltanto le prove vietate dalla legge o quelle manifestamente superflue o irrilevanti (Cass. pen. sez. 2, 9056/2009 Rv. 243306 Conformi: N. 12589 del 2004 Rv. 229017).

Ne consegue che la censura di mancata ammissione di una prova decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato in sentenza le ragioni della revoca della prova già ammessa, in una verifica della logicità e congruenza della relativa motivazione raffrontata al materiale probatorio raccolto e valutato (Cass. pen. sez. 6, 5562 /2000 Rv. 220547, conforme Cass. pen. sez. 6, 13792/1999 Rv. 215281).

Orbene nella specie la corte distrettuale non solo ha adeguatamente motivato sul punto, ma ha altresì evidenziato la palese genericità del corrispondente motivo di appello, considerato che, nella richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’esame dei testi revocati, non si erano affatto precisate nè le circostanze sulle quali i testi si sarebbero dovuti interpellare, nè il valore di decisività del loro esame in funzione delle prove già acquisite.

Con un secondo motivo si lamenta in ogni caso come alla affermazione di responsabilità siano giunti i giudici di merito valorizzando le sole dichiarazioni dell’ O. che non era persona indifferente, attesi i suoi rapporti con la società di assicurazione, parte offesa.

La doglianza è manifestamente priva di fondamento. Esiste infatti in atti un calibrato e corretto giudizio sulla attendibilità intrinseca ed estrinseca del teste, le cui affermazioni sono state utilizzate per la decisione di colpevolezza avuto riguardo ai riscontri obiettivi negli altri risultati di indagine.

Il ricorso pertanto, nella palese verificata coerenza logico- giuridica ed adeguatezza della motivazione, quale proposta nella decisione impugnata, va dichiarato inammissibile.

All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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