Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-03-2011, n. 5541 Responsabilità civile

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La ricorrente impugna la sentenza della Corte di Appello di Firenze, depositata l’8 gennaio 2008, che, confermando quella di primo grado che aveva parzialmente accolto la richiesta di risarcimento dei danni da sinistro stradale, ha ritenuto non compiutamente provato il nesso causale tra il sinistro e lo squilibrio psichico successivo che impedì alla danneggiata di iscriversi al corso per infermiera professionale, non potendosi escludere che l’incidente fosse stata solo una mera occasione del manifestarsi della sindrome di "disturbo bipolare con ricorrenze maniacali – depressive".

Propone ricorso per cassazione la I. con due motivi, al quale resiste l’assicurazione, con controricorso.

Col primo motivo, la ricorrente, lamentando violazione dell’art. 2043 c.c., anche in relazione all’art. 41 c.p., chiede alla Corte di verificare se, dato un evento che ha determinato l’aggravamento dello stato fisio-psichico del sinistrato, sia legittimo o meno non riconoscere il conseguente risarcimento deducendo "non potersi escludere che il sinistro costituì una mera occasione del manifestarsi di quella sindrome, espressione di uno stato patologico quiescente che avrebbe potuto manifestarsi indipendentemente da esso" o se, cosi argomentando, non si inverta illegittimamente il principio normale della equivalenza di cause con quello eccezionale della causa efficiente, con conseguente sussistenza delle violazioni di legge lamentate.

Con il secondo motivo, la ricorrente, deducendo violazione dell’art. 2697 c.c., chiede di verificare se, data la concausa di un evento ( art. 41 c.p., comma 1) incomba o meno al soggetto obbligato provare in fatto i prosupposti per l’applicazione del principio di causalità efficiente ( art. 41 c.p., comma 2), con la conseguenza che, ove tale prova non venga da lui fornita, l’evento va considerato concausa del danno e, quindi, risarcito.

Le due censure – che possono trattarsi congiuntamente data l’intima connessione – non colgono nel segno. Costituisce principio del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa S.C. (Cass. 4009/06;

15434/2004; 14783/04; 11453/03; 5375/2003, 15809/2002; 8070/2002) che, in tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l’accertamento e la graduazione della colpa, l’esistenza o l’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità se il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico. Nella specie, la ricorrente sostanzialmente allegando, al di là del riferimento alla pretesa violazione delle norme di cui all’art. 2043 c.c. e art. 41 c.p., il vizio di motivazione – sollecita in questa sede una diversa ricostruzione del nesso causale, che è richiesta inammissibile, poichè spetta al giudice del merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza. Quando nel ricorso per cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il motivo è inammissibile, poichè non consente alla Corte di Cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 29 novembre 2005, n. 26048; Cass. 8 novembre 2005, n. 21659; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145; Cass. 2 agosto 2005, n. 16132). Certo che nella specie non solo non si deduce quale sia stata la interpretazione data dal giudice del merito all’art. 2697 c.c., come dell’art. 2043 c.c., in contrasto con la lettura datane dalla dottrina e dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, ma si censura unicamente la valutazione compiuta dai giudici di merito delle risultanze di causa è di palmare evidenza la inammissibilità delle censure, sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Col terzo motivo, la ricorrente, lamentando violazione degli artt. 61 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c., e vizio di motivazione, chiede di verificare se, ammessa ed espletata in causa una c.t.u. con relativo supplemento, scevra da rilievi e critiche, avente ad oggetto particolari cognizioni medico-legali e da espletarsi con particolari strumentazioni e tecniche scientifiche, essa costituisca di per sè fonte di prova oggettiva e sufficiente sulla quale il giudice ha il dovere di fondare la propria decisione, dovendo viceversa motivare le ragioni per cui ha ritenuto di disattendere le relative risultanze. Anche questo motivo è privo di pregio. Come noto, le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice, che può legittimamente disattenderle, in sentenza, attraverso una loro valutazione critica che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti, altresì, idoneamente, congruamente e logicamente motivata (Cass. n. 9511/00; 2145/98). Del resto, nella specie non è rilevabile un contrasto, tra giudice del merito e consulente, sulla valutazione dei dati clinici relativi alla natura ed all’entità della patologia psichica in discussione (secondo il c.t.u. il traumatismo ha cagionato "una modica accentuazione della preesistente sindrome depressiva"), ma esclusivamente in ordine alla riportabilità della stessa all’incidente stradale oggetto della richiesta di risarcimento in lite, che è questione di fatto, da risolversi non solo sulla base delle cognizioni appartenenti alla scienza medica.

Col quarto motivo, la ricorrente lamenta omessa e/o insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo, deducendo che la Corte d’Appello disattendendo la perizia non spiega le ragioni su cui ha poggiato il proprio convincimento.

Il motivo è inammissibile, in quanto manca del previsto momento di sintesi. Deve, infatti ribadirsi che, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate, come quella in esame, dal 2 marzo 2006, i motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità ( art. 375 c.p.c., n. 5) dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3), 4), e, qualora il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione. Pertanto, il motivo che denuncia un vizio motivazionale è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis, allorchè non contiene – come nel caso in esame – la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza della motivazione rende la sentenza inidonea a giustificare la decisione, in quanto manca in essi una parte specificamente e riassuntivamente destinata a detto fine (Cass. 16002/07; S.U. 20603/07; 4961/08; 8897/08; 4556/09).

Ne deriva il rigetto del ricorso. Ricorrono giusti motivi, tenuto conto delle ragioni della decisione, per compensare tra le parti costituite le spese del presente giudizio.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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