Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 14-01-2011) 04-02-2011, n. 4370 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. I giudici di merito hanno affermato la responsabilità dell’imputato in epigrafe in ordine ai reati di violenza sessuale continuata nei confronti delle figlie minori (capi A e B), del delitto di lesioni aggravate in pregiudizio delle medesime (capo C), del delitto di violenza in famiglia in pregiudizio della moglie e dei figli (capo D), del delitto di lesioni aggravate in pregiudizio della figlia I. (capo F).

La terza sezione di questa Suprema Corte, con sentenza del 23 febbraio 2008, ha annullato la pronunzia d’appello in ordine al delitto di maltrattamenti in famiglia di cui al capo D) perchè estinto per prescrizione; nonchè relativamente ai reati di cui ai capi A) e B), limitatamente alla qualificazione giuridica dei fatti ed al relativo trattamento sanzionatorie avendo riscontrato vizio di motivazione quanto all’esistenza del reato di violenza carnale di cui al previgente art. 519 cod. pen. piuttosto che di quello di atti di libidine violenti di cui al previgente art. 521 cod. pen. Decidendo in sede di rinvio, la Corte d’appello di Firenze ha riqualificato i fatti di cui ai capi A) e B) ravvisando che essi integrino il reato di atti di libidine violenti e, ritenuta la continuazione con gli altri illeciti, ha rideterminato la pena.

2. Ricorre per cassazione l’imputato deducendo diversi motivi.

2.1 Con il primo motivo si lamenta che il giudice d’appello, pur avendo giuridicamente riqualificato i fatti ritenendo l’esistenza di atti di libidine violenti, non ha in alcun modo chiarito in cosa siano concretamente consistite le condotte illecite, essendosi la Corte limitata ad escludere atti di congiunzione carnale. La pronuncia si limita a generici riferimenti a non meglio specificati singolari rituali che vengono apoditticamente considerati come atti di libidine.

2.2 Con il secondo motivo si censura l’assenza di motivazione in ordine all’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 4. Dal processo non emerge alcun elemento in base al quale possa ritenersi che l’imputato abbia adoperato sevizie o agito con crudeltà. 2.3 Con il terzo motivo si assume che la medesima aggravante avrebbe dovuto ritenersi assorbita nel reato di cui all’art. 521 cod. pen. ed in quelli di lesioni e violenza privata.

2.4 Con il quarto motivo si censura la motivazione per ciò che attiene alla mancata concessione delle attenuanti generiche. Si sarebbero dovute considerare l’incensuratezza dell’imputato nonchè le enfatizzazioni ed imprecisioni delle testimonianze, che non hanno fornito concrete indicazioni sulle modalità dell’azione criminosa e sulla capacità criminale dell’imputato.

2.5 Con il quinto motivo si deduce la prescrizione dei reati di cui ai capi A e B una volta esclusa l’aggravante di cui all’art. 61, n. 4 o ritenuta la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche. In ogni caso il termine prescrizionale è spirato se si considera che la Corte d’appello ha collocato apoditticamente i fatti nel (OMISSIS) senza fornire alcuna concreta prova in ordine all’epoca della loro concreta commissione. Tale data viene arbitrariamente presa come punto di riferimento solo perchè in quell’epoca avvenne l’allontanamento delle figlie dal padre.

2.6 Con l’ultimo motivo si prospetta la prescrizione dei reati di cui ai capi C) ed F) che, si assume, era spirata ancor prima della sentenza di annullamento con rinvio emessa dalla Corte di cassazione.

3. Il ricorso è manifestamente infondato e propone precipuamente questioni già coperte dal giudicato formatosi a seguito della richiamata sentenza della Terza sezione di questa Suprema Corte.

3.1 Contrariamente a quanto dedotto, la Corte di merito, nel richiamare la condivisa ricostruzione dei fatti proposta in precedenza dalla Corte d’appello, ritiene provate le condotte contestate alla luce delle dichiarazioni delle vittime e di diversi testi, nonchè delle consulenze ginecologiche e psicologiche. Da tale ricostruzione della vicenda emerge che il C. usava somministrare alle piccole una sostanza sedativa ed introduceva in vagina oggetti e strumenti anche potenzialmente pericolosi. La Corte considera che non è certo che l’uomo abbia pure introdotto il pene nei genitali delle piccole mentre non esistono dubbi quanto agli oggetti. Di qui la riqualificazione giuridica dei fatti. Non è invece dubbia l’introduzione degli oggetti, condotta ben definita che, con apprezzamento immune da vizi logico-giuridici, si ritiene integri gli estremi della fattispecie di libidine violenta in aderenza a consolidati principi nella materia. La questione, del resto, era stata esaminata pure da questa Suprema Corte nella richiamata sentenza, e si era affermato che "pur risultando sufficientemente accertata la componente sessuale dei riti satanici cui venivano sottoposte le bambine, essendo emerso dalle loro concordanti dichiarazioni che il padre le denudava ai fini della loro commissione, non emerge, invece, dalla sentenza un puntuale accertamento della natura degli atti sessuali posti in essere dall’imputato sulle figlie, che risponda ai requisiti richiesti dall’art. 533 c.p.p., comma 1, come sostituito dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 5, per l’affermazione di colpevolezza in ordine al delitto di violenza carnale". La caratterizzazione sessuale delle condotte non può, dunque, essere ulteriormente posta in discussione.

3.2 Quanto all’aggravante occorre solo rammentare che essa, come si desume dal capo d’imputazione e dalla sintesi della vicenda proposta dalla Corte territoriale, consiste nella narcotizzazione delle piccole e nell’introduzione nei genitali di oggetti taglienti coi quali si determinavano piccole lesioni, così causando la fuoriuscita di sangue per i rituali. Tale fatto, così come qualificato, è stato definitivamente accertato a seguito della richiamata pronunzia di questa Corte, che ha disposto l’annullamento con rinvio limitatamente al tema che si è già indicato; per il resto determinando la formazione del giudicato. Dunque, al riguardo non è consentita alcuna ulteriore discussione. Trova qui applicazione il principio di formazione progressiva del giudicato: in relazione allo sviluppo dinamico del rapporto processuale, il giudicato può avere una formazione non simultanea, ma progressiva, e ciò può accadere sia quando nel processo confluiscono più azioni penali, suscettibili di autonoma decisione, sia quando il procedimento riguarda un solo reato attribuito ad un solo soggetto, perchè anche in quest’ultimo caso la sentenza definitiva può essere la risultante di più decisioni, intervenute attraverso lo sviluppo progressivo dei mezzi di impugnazione.

Tale principio enunciato per la prima volta della Sezioni unite nell’anno 1990 (Sez. Un., 23 novembre 1990, Agnese ed altri, Rv.

186114) è stato confermato dalla giurisprudenza successiva anche a Sezioni unite (Sez. Un. 19 gennaio 2000, Tuzzolino, Rv. 216239; Sez. Un., 26 marzo 1997, Attinà, Rv. 207640; Sez. Un., 19 gennaio 1994, Cenerini ed altri, Rv. 196889; Sez. Un., 11 maggio 1993, Ligresti, Rv. 193419).

L’indicata giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che la norma di cui all’art. 624 cod. proc. pen. fa riferimento a qualsiasi statuizione avente un’autonomia giuridico – concettuale e, quindi, non solo alle decisioni che concludono il giudizio in relazione ad un determinato capo d’imputazione, ma anche a quelle che, nell’ambito di una stessa contestazione, individuano aspetti non più suscettibili di riesame. Anche in relazione a questi ultimi la decisione adottata, benchè non ancora eseguibile, acquista autorità di cosa giudicata, quale che sia l’ampiezza del relativo contenuto.

3.3 Per ciò che attiene all’assorbimento della medesima aggravante, anche a prescindere dal giudicato cui si è fatto cenno, si è in presenza di deduzione generica e totalmente priva di pregio, giacchè l’aggravante stessa si rapporta, come si è già accennato, a ben distinta caratterizzazione fattuale.

3.4 Quanto alle attenuanti generiche, la pronunzia reca ampia ed appropriata motivazione con la quale si evidenzia che la non comune gravità dei fatti, la capacità criminale e l’efferatezza escludono qualsiasi valutazione benevola. Tale ponderazione è palesemente immune da vizi logico – giuridici.

3.5 Per ciò che attiene alla prescrizione la pronunzia d’appello reca corretto computo che colloca la prescrizione al maggio 2011. Il ricorrente non contesta minimamente tale computo ma si limita ad assumere incongruamente che occorrebbe tener conto delle attenuanti generiche, mentre non dovrebbe considerarsi la richiamata aggravante di cui all’art. 61 n. 4 cod. pen. Infine, altrettanto incongruamente si assume che i fatti illeciti sono stati commessi in epoca anteriore a quella riportata in imputazione. Sotto tale ultimo profilo il ricorrente tenta impropriamente questa Corte alla riconsiderazione del merito, trascurando che l’accertamento del fatto storico è coperto dal giudicato.

3.6 Quanto alla prescrizione dei reati sub C) ed F), correttamente la Corte di merito considera che si è formato il giudicato sulla responsabilità. Effettivamente occorre rammentare ancora una volta che l’annullamento con rinvio ha riguardato soli i reati di cui ai capi A) e B), sicchè in ordine agli altri illeciti non può essere qui prospettata alcuna ulteriore questione; tanto più che la Terza sezione di questa Corte aveva già preso in considerazione il tema della prescrizione.

Il ricorso è quindi inammissibile. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di Euro 1.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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