Cons. Stato Sez. VI, Sent., 31-01-2011, n. 725 Procedimento concorsuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il dott. D.V. (ricorrente nell’ambito dell’appello n. 2852/2010) riferisce di aver preso parte al concorso indetto dall’Università degli Studi di Chieti "G. D’Annunzio" per il reclutamento di due ricercatori universitari per il settore scientificodisciplinare ICAR/21 – "Urbanistica" presso la Facoltà di Architettura e di essere risultato vincitore insieme al dott. Z.D.C..

Riferisce, altresì, che alla procedura in parola aveva partecipato anche il dott. D.R. il quale, tuttavia, non era risultato vincitore.

Con ricorso proposto innanzi al T.A.R. per l’Abruzzo e recante il n. 40/09 il dott. D.R. impugnava gli atti della procedura concorsuale lamentandone sotto svariati profili l’illegittimità.

Con la pronuncia oggetto del presente gravame il Tribunale adìto accoglieva il ricorso e disponeva l’annullamento del decreto rettorale in data 9 luglio 2008 (di nomina della Commissione giudicatrice) e 10 novembre 2009 (di approvazione degli atti della procedura di valutazione comparativa).

Nell’occasione, il Tribunale riteneva:

– che non potesse affermarsi la tardività del ricorso in relazione al motivo di doglianza concernente la composizione della Commissione, atteso che tale tipologia di doglianza può essere utilmente dedotta in giudizio una volta che siano stati resi noti gli esiti della procedura selettiva (determinandosi solo in tale momento l’esaurimento del relativo procedimento amministrativo e il consolidamento degli effetti preclusivi nei confronti dei candidati);

– che non potesse affermarsi la carenza di interesse all’impugnativa degli atti concorsuali in capo al ricorrente per essere stato dichiarato inidoneo alla prova di lingua, atteso che la caducazione delle complessive operazioni valutative avrebbe certamente travolto anche il giudizio espresso in relazione alla prova di lingua;

– che, nel merito, fosse fondato il motivo di doglianza fondato sulla illegittima composizione della commissione giudicatrice atteso che uno dei membri nominati – la Prof.ssa M. -, pur essendo ricercatrice confermata presso altro Ateneo, prestasse servizio presso l’Università degli Studi di Chieti in qualità di supplente di "Urbanistica III" nella Facoltà di Architettura. Secondo i primi Giudici, tale circostanza avrebbe determinato un insanabile vizio nella composizione della commissione per violazione del comma 6 dell’art. 3 del d.P.R. 23 marzo 2000, n. 117 (regolamento concernente le modalità di espletamento delle procedure per il reclutamento dei professori universitari di ruolo e dei ricercatori), a tenore del quale in ciascuna procedura concorsuale l’elettorato passivo finalizzato all’inclusione nelle commissioni "è attribuito (…) ai professori ed ai ricercatori (…) appartenenti al settore scientificodisciplinare oggetto del bando non in servizio presso l’ateneo che ha indetto la procedura di valutazione comparativa".

La pronuncia in questione veniva gravata in sede di appello dal dott. D.V. il quale ne chiedeva l’integrale riforma articolando plurimi motivi di doglianza (ricorso in appello n. 2852/2010).

La medesima pronuncia veniva, altresì, impugnata da dott. Z.D.C., il quale ne chiedeva a propria volta l’integrale riforma (ricorso n. 2898/2010).

In entrambi i giudizi si costituiva il dott. D.R., il quale concludeva nel senso della reiezione degli appelli.

Si costituivano, altresì, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca e l’Università degli Studi di Chieti i quali concludevano nel senso della riforma della pronuncia oggetto di gravame.

All’udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2010, presenti gli avvocati come da verbale di udienza, il ricorso veniva trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1. Giungono alla decisione del Collegio i distinti ricorsi proposti dai due vincitori del concorso indetto dall’Università degli Studi di Chieti "G. D’Annunzio" per il reclutamento di due ricercatori universitari per il settore scientificodisciplinare ICAR/21 – "Urbanistica" presso la Facoltà di Architettura avverso la sentenza del T.A.R. dell’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara con cui è stato accolto il ricorso proposto da un candidato non vincitore e, per l’effetto, è stato disposto l’annullamento degli atti concorsuali per un vizio nella composizione della commissione giudicatrice.

2. Il Collegio ritiene in primo luogo di disporre la riunione degli appelli in epigrafe, in quanto rivolti avverso la medesima sentenza.

3. Con il primo motivo di appello, il dottor D.V. lamenta che la decisione dei primi giudici risulti fondata su un’interpretazione non condivisibile del disposto testuale di cui al comma 6 dell’art.3, d.P.R. 23 marzo 2000, n. 117 (‘regolamento recante modifiche al d.P.R. 19 ottobre 1998, n. 390, concernente le modalità di espletamento delle procedure per il reclutamento dei professori universitari di ruolo e dei ricercatori a norma dell’articolo 1 della l. 3luglio 1998, n. 210′).

Ciò, in quanto laddove al disposizione in questione preclude la partecipazione alle commissioni di concorso ai docenti "in servizio presso l’ateneo che ha indetto la procedura", la locuzione in questione dovrebbe essere correttamente riferita alla sola ipotesi di docente il quale presti servizio "di ruolo" presso un determinato ateneo e non anche alla diversa ipotesi del docente il quale presti servizio non di ruolo presso l’Università che ha indetto la procedura comparativa.

Pertanto, erroneamente il T.A.R. avrebbe ritenuto che la professoressa M. fosse incorsa nella richiamata preclusione atteso che la stessa (ricercatrice confermata di ruolo presso il Politecnico di Bari) prestava servizio solo come supplente presso l’Università di Chieti.

Nella tesi dell’appellante, due elementi in particolare confermerebbero l’erroneità della decisione del Tribunale:

– in primo luogo, il T.A.R. avrebbe erroneamente omesso di considerare che il primo ricorso fosse inammissibile per non essere stato tempestivamente impugnato il decreto ministeriale con cui, ai sensi del richiamato art. 3, d.P.R. n. 117 del 2000, era stato approvato l’elenco degli aventi diritto ad essere eletti ai fini della composizione delle commissioni giudicatrici;

– in secondo luogo, il Tribunale avrebbe omesso di considerare che l’art. 3 del d.P.R. 19 ottobre 1998, n. 390 (regolamento recante norme sulle modalità di espletamento delle procedure per il reclutamento dei professori universitari di ruolo e dei ricercatori, a norma dell’articolo 1 della L. 3 luglio 1998, n. 210), laddove enumera gli elementi rilevanti ai fini dell’attribuzione dell’elettorato passivo, richiama "le nomine, le modifiche di stato giuridico, le cessazioni dal servizio e gli inquadramenti nei settori scientificodisciplinari". Nella tesi dell’appellante, il richiamato novero di fattori farebbe univocamente riferimento al complessivo status del docente, da riferirsi all’effettivo inquadramento nel ruolo presso un determinato ateneo, e non anche all’eventuale prestazione di servizio non di ruolo presso un ateneo diverso da quello presso cui il docente è strutturato.

Con un ulteriore motivo di doglianza, il dottor D.V. osserva che la sentenza in epigrafe sia altresì meritevole di riforma per non aver considerato che il dott. D.R. fosse in radice carente dei requisiti di partecipazione alla selezione atteso che, mentre il bando prevedeva a tal fine come obbligatoria la conoscenza della lingua inglese o francese, al contrario l’odierno appellante avrebbe espressamente dichiarato (e fatto verbalizzare) di non avere alcuna conoscenza dell’una o dell’altra lingua.

Con il proprio ricorso, il dott. Z.D.C. lamenta a propria volta che la sentenza oggetto di gravame sia fondata su una errata interpretazione dell’art. 3, d.P.R. 117 del 2000, anche perché, laddove si accedesse alla tesi sostenuta dal T.A.R., si determinerebbe la non condivisibile conseguenza di individuare appartenenze multiple (e conseguenti preclusioni multiple) a carico dei docenti i quali svolgano incarichi di supplenza presso atenei diversi da quello di inquadramento, scoraggiando – peraltro – lo svolgimento di attività didattiche presso altre università.

Oltretutto – osserva l’appellante – nel caso di specie non potrebbero in alcun modo ipotizzarsi possibili condizionamenti di carattere ambientale nei confronti del membro della commissione, atteso che l’incarico di insegnamento a suo tempo conferito alla prof.ssa M. presso l’Università di Chieti era comunque venuto a cessare prima ancora della sua elezione nell’ambito della commissione di concorso.

Il dott. Z.D.C. lamenta a propria volta l’inammissibilità del primo ricorso per non avere il dott. D.V. tempestivamente impugnato gli atti di nomina della commissione giudicatrice (tanto, in violazione dell’art. 9 del d.l. 21 aprile 1995, n. 120, il quale riconosce un breve termine di trenta giorni per procedere alla ricusazione dei membri della commissione).

In definitiva, non avendo il dott. D.V. proposto istanza di ricusazione nei tempi e nei modi previsti dal richiamato decreto, sarebbe decaduto dalla possibilità di far valere il vizio di composizione della commissione in sede giurisdizionale, atteso che "la giurisprudenza amministrativa, menzionata dal T.A.R., secondo cui i vizi di nomina della commissione possono farsi valere al momento dell’impugnazione dei risultati della procedura concorsuale, si riferisce tutta a casi nei quali manca qualsiasi norma specifica sulle contestazioni relative all’incompatibilità dei membri della commissione: norma speciali che invece caratterizzano il caso di specie" (ricorso, cit., pag. 12).

3. I motivi dinanzi sinteticamente richiamati non possono trovare accoglimento.

3.1. In primo luogo, il Collegio ritiene che la pronuncia oggetto di gravame risulti meritevole di conferma per la parte in cui ha statuito che le disposizioni in tema di elettorato passivo ai fini della composizione delle commissioni giudicatrici nei concorsi universitari di cui all’art. 3 del d.P.R 23 marzo 2000, n. 117 (disposizioni ratione temporis applicabili alla vicenda di causa) siano da interpretare nel senso che la preclusione riferita "ai professori e ai ricercatori (…) in servizio presso l’ateneo che ha indetto la procedura" sia da riferire non soltanto ai docenti incardinati presso l’ateneo che ha indetto la procedura comparativa, ma anche ai docenti i quali, pur risultando di ruolo presso altra Università, prestino nondimeno servizio (anche in base ad affidamenti temporanei) presso l’ateneo che ha indetto la singola procedura di che trattasi.

Si ritiene al riguardo che l’evidente ratio giustificatrice del complessivo sistema di riserve e preclusioni delineato dal richiamato art. 3 consista nell’operare un accorto bilanciamento fra – da un lato – l’esigenza per cui alla commissione giudicatrice non siano del tutto estranei docenti "intranei" (i quali apportino un apprezzabile contributo conoscitivo in ordine alle peculiarità dell’ateneo indicente, in tal modo giustificando la previsione che riserva la designazione di un componente al consiglio della medesima facoltà che ha indetto il bando) e – dall’altro – l’esigenza per cui il resto della commissione sia composta da docenti formalmente e sostanzialmente estranei al complessivo ambiente proprio dell’Università indicente (tanto, al fine di evitare possibili condizionamenti – in positivo o in negativo – comunque riconducibili ad un inserimento più o meno stabile presso l’organizzazione didattica dell’ateneo che indìce la singola procedura).

Tale essendo la ratio del complessivo disegno normativo, è evidente per un verso che la riserva della nomina di un membro in capo al consiglio di facoltà rappresenti (nella richiamata ottica di bilanciamento) il massimo di riguardo che è possibile riconoscere alle peculiarità proprie dell’ateneo indicente e che – per altro verso – il complesso delle pertinenti disposizioni debba per il resto essere interpretato nel senso di limitare entro quanto possibile anche il solo dubbio che l’inserimento – più o meno stabile- di un determinato docente nell’ambito di un certo ateneo possa in qualunque modo attenuare la sua serenità di giudizio, o minare l’attendibilità del delicato ruolo valutativo da ricoprire.

Conseguentemente, in assenza di elementi testuali i quali depongano univocamente in senso opposto, si ritiene che la (intrinsecamente polisensa) nozione di "servizio presso l’ateneo" debba essere intesa secondo la sua più vasta accezione semantica, in modo da includere le ipotesi di formale incardinamento in ruolo, ma anche le ipotesi di prestazione di servizio connotate da un grado di minore stabilità (es.: supplenze annuali, affidamenti temporanei di insegnamenti).

3.2. Né a conclusioni diverse può giungersi in relazione alle previsioni di cui all’art. 3 del d.P.R. 390 del 1998 (il quale, nel disciplinare le modalità di predisposizione degli elenchi dei docenti eleggibili, sembrava annettere maggiore rilievo al dato dell’incardinamento formale, onerando l’e Università di comunicare tempestivamente al Ministero ogni modificazione intervenuta al riguardo), atteso che le disposizioni del regolamento da ultimo richiamato – e, segnatamente, quelle di cui all’articolo 3, invocate da entrambi gli appellanti – sono state integralmente sostituite a seguito dell’entrata in vigore del d.P.R. 117 del 2000 e non risultano in alcun modo idonee a governare la vicenda di causa.

Ai limitati fini che qui rilevano, si osserva poi che gli oneri formali di comunicazione richiamati dagli appellanti sono disciplinati dal secondo periodo del comma 11 del d..R. 117, cit., il quale stabilisce che "le Università sono tenute a comunicare immediatamente al Ministero ogni provvedimento riguardante professori e ricercatori rilevante ai fini del presente regolamento".

Si tratta, come è evidente, di una disposizione in tutto compatibile con l’interpretazione dinanzi accolta (i.e.: con l’interpretazione secondo cui le preclusioni oggetto di comunicazione al Ministero non debbano riguardare unicamente il dato formale dell’inquadramento di ruolo, ma ogni ulteriore dato sostanziale idoneo ad incidere sulla terzietà del docente, come – ai fini che qui rilevano – la prestazione di servizio temporaneo presso un ateneo diverso da quello di formale inquadramento).

Si osserva, ancora, al riguardo che il complessivo disegno normativo dinanzi richiamato non sembra affatto escludere che il dato fattuale delle "appartenenze multiple" determini in concreto preclusioni parimenti multiple ai fini della composizione delle commissioni di concorso.

Ed invero, la possibilità in questione appare del tutto fisiologica nell’ambito di una sistema di garanzie il quale intenda escludere in radice il rischio di possibili condizionamenti ambientali.

Né può ritenersi che un siffatto sistema di garanzie possa determinare una sorta di "rimedio peggiore del male’, accentuando piuttosto che scoraggiare i fenomeni di localismo nell’ambito dei concorsi per l’accesso ai posti di docenza.

Si ritiene al riguardo che l’elevato numero di atenei (viepiù crescente negli ultimi decenni) e l’elevatissimo numero di docenti in servizio elida in radice il paventato rischio e che consenta comunque nella generalità dei casi di individuare un congruo numero di membri dotati delle più adeguate professionalità, anche senza computare coloro che, a qualunque titolo, prestino servizio presso l’ateneo che indice la singola procedura.

3.3. Per quanto riguarda i motivi di appello relativi alla presunta inammissibilità del primo ricorso per non essere il dott. D.R. in possesso di adeguate conoscenze linguistiche, si osserva che la pronuncia oggetto di gravame risulti condivisibile laddove afferma che non potesse affermarsi una siffatta carenza di interesse all’impugnativa, atteso che la caducazione delle complessive operazioni valutative avrebbe certamente travolto anche il giudizio espresso in relazione alla prova di lingua.

Né può condividersi l’argomento secondo cui il complesso degli atti di causa paleserebbe che il dottor D.R. non fosse in possesso neppure di una minima conoscenza delle richiamate lingue straniere (in tal modo spostando i termini della questione dal piano valutativo a quello del possesso dei requisiti minimi di partecipazione).

Si osserva al riguardo che l’esame dei giudizi (pure insufficienti) espressi dalla commissione illegittimamente composta nei confronti del dott. D.R. non possa essere inteso nel senso di escludere una qualunque conoscenza linguistica in capo all’appellato.

Inoltre, l’affermazione del singolo commissario secondo cui l’odierno appellato avrebbe dichiarato "di non essere in grado di sostenere la prova di lingua", oltre a dover essere coniugata con le dichiarazioni degli altri commissari (i quali avevano comunque espresso un giudizio sulle conoscenze linguistiche del candidato, in tal modo presupponendone la sussistenza), non appare univocamente interpretabile come indice di una sorta di confessio in ordine all’assenza di qualunque conoscenza linguistica, anche in considerazione del carattere generico della dichiarazione verbalizzata.

3.4. Ancora, non può essere condiviso l’argomento relativo alla presunta inammissibilità del primo ricorso per mancata, tempestiva impugnazione del decreto di composizione della commissione.

Sotto tale aspetto, la pronuncia oggetto di gravame appare meritevole di conferma per la parte in cui richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale i presunti vizi relativi alla composizione della commissione possono essere utilmente fatti valere solo nel momento in cui i lavori del consesso siano completati in senso negativo per il soggetto inciso (in tal modo consolidando in capo a lui gli effetti negativi idonei a supportare un interesse all’impugnativa), ovvero nei casi in cui si determinino comunque a carico del singolo candidato eventi idonei a determinare a suo carico definitivi arresti procedimentali (sul punto -ex plurimis -: Cons. Stato, Sez. VI, sent. 29 novembre 2006, n. 6984; id., Sez. V, sent. 25 gennaio 2005, n. 138).

3.5. Il Collegio osserva, inoltre, che non può essere accolto il motivo di doglianza relativo al mancato esercizio del potere di ricusazione nei confronti dei membri della commissione di cui è menzione all’art. 9 del d.l. 21 aprile 1995, n. 120 (si tratta della disposizione secondo cui "l’eventuale istanza di ricusazione di uno o più componenti della commissione esaminatrice da parte dei candidati a concorsi universitari deve essere proposta nel termine perentorio di trenta giorni dalla pubblicazione della composizione della commissione. Se la causa di ricusazione è sopravvenuta, purché anteriore alla data di insediamento della commissione, il termine decorre dalla sua insorgenza").

Al riguardo si osserva che la possibilità di insorgere in sede amministrativa avverso le determinazioni relative alla composizione della commissione costituisce solamente uno strumento di tutela aggiuntivo a disposizione del soggetto, il quale non esclude la possibilità di ricorrere avverso l’atto conclusivo, ove lesivo di un interesse che all’epoca della pubblicazione della composizione della commissione era suscettibile di una lesione solo potenziale (in tale senso: Cons. Stato, Sez. VI, sent. 6984 del 2006, cit.).

Si osserva, altresì, che laddove la disposizione in questione (l’art. 9 del d.l. 120 del 1995) fosse intesa nel senso ipotizzato dai ricorrenti (ossia, nel senso che la mancata attivazione del rimedio ricusatorio in sede amministrativa precluderebbe poi l’attivazione dell’actio in sede giurisdizionale per far valere i medesimi vizi), la conseguenza sarebbe nel senso di palesare l’illegittimità costituzionale della disposizione per violazione dell’art. 113, II, Cost. (a tenore del quale " (contro gli atti della pubblica amministrazione la) tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti").

3.6.Da ultimo, il Collegio osserva che non possa trovare accoglimento neppure l’argomento di doglianza relativo al fatto che l’incarico di insegnamento conferito alla professoressa M. presso l’Università di Chieti per l’anno accademico 2007/2008 fosse venuto a cessare in una data (8 luglio 2008) anteriore all’inizio dei lavori della commissione giudicatrice (4 settembre 2008).

Al riguardo, appare dirimente osservare:

– che le ragioni di incompatibilità rilevano al momento della nomina (che nel caso di specie risulta essere stata effettuata dal Consiglio di facoltà nella sessione di giugnoluglio 2008) e non al momento di inizio dei lavori della commissione;

– che, secondo le risultanze in atti, l’anno accademico nel corso del quale la Professoressa M. aveva svolto il suo incarico di supplenza era terminato il 13 settembre 2008 (i.e.: in data successiva all’inizio dei lavori della commissione), irrilevante essendo ai fini del decidere il fatto che gli esami di profitto si fossero svolti in data 8 luglio 2008.

4. Per le ragioni sin qui esposte i ricorsi in epigrafe, che devono essere decisi in modo congiunto, non possono trovare accoglimento.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi onde disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.

IL Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa riunione, li respinge

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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