Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-01-2011) 04-02-2011, n. 4237 Misure cautelari Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 21.7.2010, il G.i.p. in sede disponeva la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti degli odierni ricorrenti, T.B., nato a (OMISSIS), e B. A., nato a (OMISSIS), indagati, insieme ad altri, in relazione ai reati di cui agli artt. 81 cpv., 609 bis, 609 septies, 605 e 612 c.p., per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, indotto D.N.F. a compiere e subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità psichica del predetto, affetto da ritardo mentale medio – grave e limitazione dell’autonomia personale e sociale; in particolare lo avevano indotto a compiere atti sessuali per via orale – il primo, all’interno di un proprio garage e/o altro locale nella propria disponibilità, il secondo, prevalentemente all’interno del motocarro nella disponibilità di esso B. – dandogli poi danaro in corrispettivo degli atti sessuali praticati (in (OMISSIS)).

Il g.i.p. valutava gli elementi posti a fondamento della richiesta di misura cautelare e riteneva la sussistenza di gravissimi indizi di colpevolezza, a carico del T. e del B. per i fatti delittuosi a ciascuno rispettivamente contestati, indizi tali da far apparire estremamente elevata e consistente la probabilità che essi si fossero resi responsabili di tali condotte.

2. Gli indagati proponevano istanza di riesame avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Il tribunale per il riesame di Taranto, con ordinanza del 18.8.2010, rigettava l’istanza, confermando l’ordinanza impositiva della misura cautelare della custodia in carcere emessa dal G.i.p. in sede il 21.7.2010, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

3. Avverso questa pronuncia il B. ed il T. hanno proposto distinti ricorsi per cassazione con quattro motivi di analogo contenuto.
Motivi della decisione

1. I ricorsi – articolati entrambi in quattro motivi di analogo contenuto – sono infondati.

2. Innanzi tutto è infondato il motivo avente ad oggetto la dedotta mancanza di querela sotto il dedotto profilo che non c’è stata la nomina di un curatore speciale della parte offesa affetta da ritardo mentale medio – grave.

Questa Corte (Cass., sez. 3^, 12 maggio 2010 – 13 luglio 2010, n. 27044) ha già affermato in proposito che è valida la querela presentata personalmente dal maggiorenne infermo di mente e non dichiarato interdetto, in quanto la situazione d’infermità, impeditiva dell’esercizio del diritto di querela, implica la radicale incapacità di autodeterminazione consapevole e volontaria, laddove al contrario rileva la volontà punitiva della parte offesa, che abbia compreso il disvalore sociale di atti da cui essa risulti danneggiata (conf. Cass. sez. 6^, 6 aprile 2000 – 20 giugno 2000, n. 7280, che ha ritenuto valido l’atto di querela proposto in proprio dalla persona offesa inferma di mente).

Va quindi ribadito (v. Cass., sez. 3^, 20 giugno 1980 – 1 ottobre 1980, n. 10013) che la norma di cui all’art. 121 c.p., che attribuisce l’esercizio del diritto di querela ad un curatore speciale, qualora la persona offesa sia inferma di mente e priva di rappresentanza, è di stretta interpretazione, talchè, solo se il titolare del diritto versi in una condizione patologica che ne affetti la psiche in grado tale da impedirgli di autodeterminarsi consapevolmente e volontariamente all’esercizio del diritto stesso, è necessaria la nomina del curatore. E’ quindi valida la querela presentata personalmente dal maggiorenne infermo di mente e non dichiarato interdetto allorchè, come nella specie, la persona offesa, pur trovandosi in una condizione di inferiorità psichica, sia ritenuta comunque capace di percepire la illiceità del fatto e di volere la punizione del colpevole.

3. La dedotta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, che costituisce oggetto di altro motivo di ricorso, esprime un mero dissenso nell’apprezzamento del valore indiziario degli atti di indagine fino al momento compiuti sicchè il motivo è inammissibile.

L’impugnata ordinanza del tribunale, confermativa di quella del g.i.p., da conto delle puntuali ed attendibili dichiarazioni della parte offesa che già di per sè sole sarebbero sufficienti, dichiarazioni contenute nella querela sporta il 29.3.2010 presso i Carabinieri di San Giorgio Ionico da D.N.F. che ha riferito di reiterati abusi sessuali posti in essere ai suoi danni da cinque individui e consistenti in pratiche umilianti ed estremamente dolorose a sfondo sessuale.

Questa Corte (Cass. pen., sez. 4^, 21-06-2005, Poggi) ha affermato in proposito che ai fini della formazione del libero convincimento del giudice, ben può tenersi conto delle dichiarazioni della parte offesa, la cui testimonianza, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova, sulla quale può essere, anche esclusivamente, fondata l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, purchè la relativa valutazione sia adeguatamente motivata; ciò vale, in particolare, proprio in tema di reati sessuali, l’accertamento dei quali passa, nella maggior parte dei casi, attraverso la necessaria valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall’esterno, all’una o all’altra tesi.

Nè il deficit psichico della parte offesa, affetto da ritardo mentale medio – grave, toglie ex se valore alle dichiarazioni da essa rese. Questa Corte (Cass. pen., sez. 3^, 6 luglio 2007, Tasca) ha precisato che l’incapacità della parte offesa di un abuso sessuale di testimoniare per deficienze psichiche non determina automaticamente l’inattendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla vittima, ma impone che le stesse siano sostenute da altri elementi. Ciò che puntualmente ha fatto il tribunale il quale, con valutazione di merito ad esso rimessa, ha apprezzato che il D. N., pur trovandosi in una condizione di inferiorità psichica, è stato capace di percepire la illiceità degli abusi sessuali inflittigli – secondo la prospettazione dell’accusa – dagli indagati.

Il tribunale ha poi aggiunto che le affermazioni del D.N. risultavano allo stato di certa credibilità per essersi egli dimostrato coerente e logico nelle deduzioni e nella ricostruzione dei fatti, senza che risultasse alcun motivo di risentimento ovvero di avversione del predetto nei confronti degli indagati.

Le dichiarazioni del D.N. poi – ha ulteriormente precisato il tribunale – hanno trovano un primo riscontro, oltre che nei risultati delle individuazioni fotografiche, nelle dichiarazioni rese dalla madre F., che aveva notato che talvolta gli slip del figlio erano sporchi di sangue e che costui aveva dimostrato ritrosia a dare spiegazioni in merito), nonchè negli esiti delle perquisizioni eseguite dalla p.g. il 23.7.2010 in occasione dell’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare.

Tali indizi di colpevolezza sono poi ben individualizzati in condotte riferite singolarmente ai due ricorrenti, oltre che agli altri indagati, come risulta dall’ordinanza del g.i.p. che il tribunale richiama integralmente per relationem (sull’ammissibilità della motivazione per relationem v. Cass. pen., sez. 4^, 17 settembre 2008, Raso).

4. Quanto alle esigenze cautelari, la cui insussistenza è dedotta con gli altri due motivi di ricorso, il tribunale motiva in modo sufficiente e non contraddittorio tenendo conto anche della recente pronuncia della Corte costituzionale (sent. 21 luglio 2010 n. 265) che ha dichiarato illegittimo l’art. 275 c.p.p., comma 3, secondo e terzo periodo, come modificato dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 2 conv., con mod., in L. 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’art. 600 bis c.p., comma 1 (prostituzione minorile), agli artt. 609 bis (violenza sessuale) e 609 quater (atti sessuali con minorenne) c.p., è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Sicchè l’applicazione delle misure cautelari non può essere legittimata da un mero giudizio anticipato di colpevolezza, nè corrispondere – direttamente o indirettamente – a finalità proprie della sanzione penale.

Ha valutato in proposito il tribunale che a le "tendenze stupratrici concretamente rivelate da tutti i ricorrenti e la compulsività dell’agire scaturente da tali inclinazioni (riversatesi addirittura su una persona disabile) li espongono ad elevatissimo rischio di recidiva con grave e concreto pericolo, dunque, anche per l’incolumità psicofisica di altre persone con le quali costoro potrebbero entrare in contatto". Ciò assicura che nella specie le esigenze cautelari siano state valutate in concreto ed in particolare qualificate di eccezionale rilevanza, in ragione della estrema gravità dei fatti descritti dalla parte offesa, così da consentire la custodia carceraria anche nei confronti del ricorrente B., ultrasettantenne.

In particolare in riferimento al disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 4, che prevede che non può essere disposta la custodia cautelare in carcere quando indagato o imputato sia una persona che abbia superato l’età di settanta anni, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, deve puntualizzarsi che l’apprezzamento di tali "esigenze cautelari di eccezionale rilevanza" rientra nella prudente valutazione in fatto del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità, che ben può fare riferimento, come nella specie, all’elevato rischio di recidiva in abusi sessuali di notevole gravità. 5. Pertanto entrambi i ricorsi vanno rigettati con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

La Corte dispone inoltre che la copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’istituto penitenziario competente a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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