Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-03-2011, n. 5774 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che R.R., con ricorso del 12 settembre 2009, ha impugnato per cassazione – deducendo tre motivi di censura -, nei confronti del Ministro della Giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Roma depositato in data 18 settembre 2008, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso dei predetti ricorrenti – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro della Giustizia – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso, ha respinto la domanda. che il Ministro della giustizia, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 5.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 20 ottobre 2006, era fondata sui seguenti fatti: a) in data 18 dicembre 2001, il ricorrente, quale parte offesa, si era costituito parte civile in un procedimento penale, celebratosi dinanzi alla Tribunale di S. Maria Capuavetere-sezione distaccata di Carinola e conclusosi con sentenza del 5 luglio 2004; b) il processo d’appello, celebratosi dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli, si era concluso con sentenza del 2 marzo 2006;

che la Corte d’Appello di Roma, con il suddetto decreto impugnato, dopo aver determinato in tre anni il periodo di tempo necessario per la definizione secondo ragionevolezza del procedimento penale di primo grado ed in due anni per il procedimento penale d’appello, ha respinto la domanda, perchè: quanto al giudizio di primo grado, tra la costituzione di parte civile del ricorrente (18 dicembre 2001) e la pubblicazione della sentenza (5 luglio 2004) non era trascorso un tempo superiore ai tre anni; quanto al giudizio d’appello, la sentenza d’appello era stata pronunciata a distanza di due anni esatti dalla pronuncia di primo grado.
Motivi della decisione

che, con il motivo di censura, vengono denunciati come illegittimi, anche sotto il profilo del vizio di motivazione: a) la affermata decorrenza della durata complessiva del procedimento penale dalla data della costituzione di parte civile della persona offesa dal reato, anzichè dalla data dell’effettivo inizio delle indagini preliminari, iniziate nel 1996, con l’iscrizione dell’indagato nel registro delle notizie di reato; b) la affermata durata ragionevole del processo penale stabilita in tre anni per il processo di primo grado ed in due anni per il processo d’appello, senza tener conto della complessità in concreto del singolo processo che, nella specie, non potrebbe qualificarsi di notevole complessità;

che il ricorso non merita accoglimento;

che, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione, il diritto alla trattazione del processo entro un termine ragionevole è riconosciuto dall’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, specificamente richiamato dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, come legittima pretesa di qualsiasi persona che attenda da un tribunale la decisione "sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta" e, quindi, a condizione che la stessa sia parte del processo, con la conseguenza che la persona offesa dal reato, che non riveste tale qualità – pur potendo svolgere un’attività d’impulso particolarmente incisiva nel procedimento penale – non è legittimata a proporre domanda di equa riparazione se non si sia costituita parte civile e che, qualora tale costituzione sia avvenuta, la precedente durata del procedimento non rileva ai fini del computo della ragionevole durata (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 10303 del 2010 e 11493 del 2006);

che inoltre, secondo il costante orientamento di questa Corte, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), con una chiara scelta non incoerente rispetto alle finalità sottese all’art. 6 della CEDU, impone di correlare l’indennizzo al solo periodo eccedente la ragionevole durata di tale processo, eccedente cioè il periodo di tre anni per il giudizio di primo grado e di due anni per il processo d’appello, come nella specie (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 8714 del 2006, 14 del 2008, 10415 del 2009);

che, infine, i Giudici a quibus hanno insidacabilmente qualificato il giudizio presupposto "di media complessità implicando esso l’accertamento della colpevolezza dell’imputato per il reato di lesioni volontarie, essenzialmente a mezzo di testi e documentazione sanitaria";

che il ricorrente non adduce argomenti contrari tali da indurre questa Corte a riconsiderare gli orientamenti qui ribaditi;

che non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese del presente grado del giudizio.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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