Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-01-2011) 04-02-2011, n. 4180

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 5/3/2009, la Corte di appello dell’Aquila confermava la sentenza del Gup presso il Tribunale di Pescara, in data 29/3/2007, che aveva condannato D.R.C. alla pena di anni uno, giorni sei di reclusione ed Euro 410,00 di multa per i reati di tentata rapina impropria e porto ingiustificato di coltello.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, in punto di sussistenza degli estremi della condotta punibile e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti, ed equa la pena inflitta.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando un unico motivo di gravame con il quale deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 624 c.p..

Al riguardo si duole che non sarebbe configurabile – in diritto – il tentativo di rapina impropria quando l’agente usi violenza o minaccia dopo aver tentato, senza esservi riuscito di sottrarre la cosa mobile altrui. Nella fattispecie, pertanto, la rapina avrebbe dovuto essere derubricata in tentativo di furto.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Il Collegio, pur essendo consapevole della presenza di un differente orientamento minoritario, osserva che la giurisprudenza di questa sezione è costante nel ritenere la possibilità di configurare il tentativo di rapina impropria nella condotta di colui che, dopo aver compiuto (come nel caso in esame) atti idonei all’impossessamento della cosa altrui non realizzati per cause indipendenti dalla sua volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità (Cass. Sez. 2, 19/05/2010 n. 22661, Tushe; Sez. 2, 12/03/2010 n. 23610, Russomanno; sez. 2, 16 dicembre 2008 n. 3769, Solimeo; sez. 2, 8 aprile 2008 n. 19645, Pitocchi; sez. 2, 26 marzo 2008 n. 20258, Boudegzdame; sez. 2, 29 febbraio 2008 n. 29477, Chirullo; sez. 2, 25 settembre 2007 n. 38586, Mancuso; sez. 2, 10 novembre 2006 n. 40156, Taroni; Sez. 2, 30/01/2004 n. 9262, PG in proc. Amodeo).

Ciò anche quando la violenza o la minaccia per assicurarsi l’impunità siano esercitate nel corso degli atti esecutivi e senza che si sia realizzata la sottrazione della cosa per l’intervento di fattori esterni interruttivi dell’azione criminosa. Una lettura logico-sistematica e non meramente letterale dell’art. 628 c.p., comma 2, che descrive la condotta tipica della rapina impropria, permette infatti di individuare la condotta che configura la forma tentata del reato in questione ogni qual volta l’azione tipica non si compia o l’evento non si verifichi, fattispecie che ricorre specificamente nell’ipotesi di colui che adopera violenza o minaccia per procurarsi l’impunità immediatamente dopo aver compiuto atti idonei,diretti in modo non equivoco a sottrarre la cosa mobile altrui, senza essere riuscito nell’intento a causa di fattori sopravvenuti estranei al suo volere. Il delitto di rapina, infatti, sia nella forma propria che in quella impropria, costituisce un tipico delitto di evento, suscettibile come tale di arrestarsi allo stadio del tentativo, qualora la sottrazione non si verifichi.

Pertanto allorchè un tentativo di furto sfoci, come nel caso di specie, in violenza o minaccia finalizzate ad assicurarsi l’impunità una valutazione sistematica impone di concludere che, anche in caso di mancato conseguimento della sottrazione del bene altrui, sia stata messa in atto una rapina impropria incompiuta e quindi un tentativo di rapina impropria.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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