Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-03-2011, n. 5769 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza depositata il 4 aprile 2006, riformando parzialmente una precedente pronuncia del Tribunale di Teramo, condannò la Banca di Roma s.p.a. a risarcire i danni non patrimoniali subiti dal sig. P.G., il quale, in conseguenza dell’incauto comportamento della banca, si era visto sottoporre a processo penale a seguito del protesto di assegni recanti la sua falsa firma di emissione. Il danno fu liquidato equitativamente un Euro 20.000,00.

Per la cassazione di tale sentenza il sig. P. ha proposto ricorso, deducendo: a) la violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c., perchè in primo grado era stata riconosciuta l’esistenza ontologica anche del danno patrimoniale subito dall’attore e nessuna contestazione al riguardo era contenuta nell’atto d’appello della controparte; b) la violazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., unitamente a vizi di motivazione del provvedimento impugnato, che non avrebbe tenuto conto di elementi oggettivi atti a configurare il lamentato danno patrimoniale; c) l’ulteriore violazione del medesimo art. 1226 per l’inadeguata liquidazione del danno non patrimoniale.

La banca intimata si è difesa con controricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso appare inammissibile, come puntualmente eccepito dal Procuratore generale nell’udienza di discussione.

La sentenza impugnata risulta infatti essere stata pubblicata in epoca compresa tra il 2 marzo 2006 ed il 4 luglio 2009. Ne consegue che al ricorso sono applicabili le disposizioni contenute nell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, poi abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69.

A norma del citato art. 366 bis, pertanto, l’illustrazione dei motivi di ricorso con cui sono stati dedotti errori di diritto e che appaiono perciò riconducibili alla previsione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 o 4, avrebbe dovuto essere corredata, a pena d’inammissibilità, dalla formulazione di appositi quesiti di diritto. Siffatta prescrizione non è stata però rispettata, perchè nessun quesito di diritto è dato rinvenire nel testo del ricorso.

Si aggiunga che detto ricorso neppure contiene, con riferimento alle doglianze di insufficienza o contraddittorietà della motivazione dell’impugnato provvedimento, che il ricorrente riconduce alla previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, quel momento di sintesi, omologo al quesito di diritto, che per siffatta tipologia di censure è parimenti prescritto a pena d’inammissibilità dal citato art. 366 bis (in tal senso si vedano, tra le altre, Sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603, e Cass. 1 settembre 2008, n. 21955).

Da ciò l’inevitabile declaratoria d’inammissibilità, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controparte, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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