Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-03-2011, n. 5759 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con decreto del 26 novembre 2007, la Corte d’Appello di Catanzaro accolto parzialmente la domanda di equa riparazione proposta da A.R. e + ALTRI OMESSI in proprio e nella qualità di eredi di A.N., nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi alla Corte dei Conti, promosso dal dante causa degli istanti avverso il provvedimento con cui il Ministero del Tesoro gli aveva negato il trattamento pensionistico di guerra.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato il 28 agosto 1968, si era concluso con sentenza del 21 luglio 2006, la Corte, per quanto ancora interessa in questa sede, ne ha determinato la durata ragionevole in tre anni, tenendo conto della condotta non dilatoria del ricorrente e negando invece rilevanza alla mancata presentazione dell’istanza di prelievo; considerato inoltre che il giudizio, interrottosi per decesso del ricorrente, non era stato riassunto dagli istanti, la Corte ha negato a questi ultimi il diritto alla riparazione del pregiudizio subito in proprio, mentre ha loro riconosciuto il medesimo diritto in qualità di eredi; pertanto, dato atto che l’ A. era deceduto il (OMISSIS), e tenuto conto delle ripercussioni transitorie dell’incertezza e dell’ansia per l’esito della causa sulle sue condizioni psicologiche, ha liquidato il danno non patrimoniale in complessivi Euro 21.160,00, pari ad Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo.

2. – Avverso il predetto decreto il Ministero del Tesoro propone ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. Resistono con controricorso A.R., + ALTRI OMESSI in qualità di eredi di A.F., nel frattempo deceduto.
Motivi della decisione

1. – Con l’unico motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 6 e 25, par. 1 (quest’ultimo nel testo anteriore alla modifica introdotta con il Protocollo n. 11). della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, ratificata con L. 4 agosto 1955, n. 848, nonchè della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha determinato la durata del giudizio facendo riferimento, quale dies a quo, alla data di proposizione del ricorso introduttivo, anzichè alla data del 1 agosto 1973, in cui, a seguito dell’accettazione da parte della Repubblica Italiana della clausola opzionale recante il riconoscimento della competenza della Commissione, è divenuta attuale la giustiziabilità dei diritti umani, ivi compreso quello alla ragionevole durata del processo, mediante il ricorso individuale.

1.1. – Il motivo è fondato.

Il fatto costitutivo del diritto all’equa riparazione è infatti individuabile non già nella L. n. 89 del 2001, art. 2 che in attuazione dell’art. 13 della CEDU si è limitato ad apprestare, in favore della vittima della lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, un rimedio giurisdizionale interno analogo alla prevista tutela internazionale, ma direttamente nella violazione dell’art. 6 della Convenzione, al quale va riconosciuta immediata rilevanza nel diritto interno, per effetto della ratifica intervenuta con L. 4 agosto 1955, n. 848 (cfr. Cass., Sez. Un.. 23 dicembre 2005. n. 28507; Cass.. Sez. 1^, 1 marzo 2007, n. 4842). Con tale ratifica, peraltro, non tu dato immediato ingresso all’azione di riparazione, che era condizionata all’accettazione di una clausola opzionale che prevedeva il riconoscimento della competenza della Commissione (oggi, della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) da parte dello Stato contraente; e poichè per l’Italia tale accettazione è intervenuta soltanto il 1 agosto 1973, il calcolo della ragionevole durata non può tener conto del periodo di svolgimento del processo presupposto anteriore alla predetta data (cfr. Cass., Sez. 1^, 10 luglio 2009, n. 16284: 20 giugno 2006, n. 14286).

2. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, mediante una nuova liquidazione del danno non patrimoniale.

Premesso che la Corte d’Appello ha determinato in tre anni la durata ragionevole del processo, con statuizione che non ha costituito oggetto d’impugnazione, e tenuto conto dei parametri da essa applicati, nonchè del più breve periodo di tempo da prendere in considerazione, tale pregiudizio va quantificato nell’importo complessivo di Euro 16.160,00, sul quale sono dovuti gli interessi legali dalla data di deposito del ricorso.

3. – L’esito complessivo della lite giustifica la condanna del Ministero al pagamento delle spese del giudizio di merito e la parziale compensazione delle spese del giudizio di legittimità, che per il residuo vanno poste a carico del Ministero, e si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa il decreto, e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della somma di Euro 16.160,00 a titolo d’indennizzo, oltre interessi legali dalla domanda, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in complessivi Euro 1.250,00, ivi compresi Euro 750,00 per onorario, Euro 450,00 per diritti ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge; condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento di un terzo delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano per la quota in complessivi Euro 330,00. ivi compresi Euro 300,00 per onorario ed Euro 30,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, dichiarando compensati tra le parti i residui due terzi.

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