Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-03-2011, n. 5752 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con decreto del 19 luglio 2007, la Corte d’Appello di Caltanissetta, pronunciando in sede di rinvio a seguito della cassazione di un precedente decreto emesso il 20 dicembre 2003, ha accolto la domanda di equa riparazione proposta dalla Società Cooperativa a r.l. Igea nei confronti del Ministero della Giustizia per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso dalla Società istante dinanzi al Tribunale di Palermo nei confronti di L.C.S..

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato nell’anno 1992, si era concluso in primo grado con sentenza del 5 dicembre 2002, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ne ha determinato la durata ragionevole in tre anni, avuto riguardo alla semplicità della controversia ed all’assenza di specifiche esigenze istruttorie e, tenuto conto del modestissimo valore della causa, ha liquidato il danno non patrimoniale in complessivi Euro 4.900,00, pari ad Euro 700.00 per ciascun anno di ritardo.

2. – Avverso il predetto decreto la Società istante propone ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. Il Ministero resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato, articolato in tre motivi, al quale la ricorrente resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. – Preliminarmente, va rigettata l’eccezione sollevata dalla difesa erariale, secondo cui il ricorso è stato proposto successivamente alla scadenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, che nella specie dovrebbe essere fatto decorrere dalla notifica del decreto impugnato a cura della Cancelleria della Corte d’Appello, avuto riguardo alla natura dell’ufficio richiedente, da considerarsi organo dell’Amministrazione resistente.

1.1. – Al di fuori delle ipolesi in cui è la legge stessa a ricollegarvi la decorrenza del termine per l’impugnazione, la comunicazione dell’avvenuto deposito del provvedimento, che il cancelliere è tenuto a dare alle parti costituite ai sensi dell’art. 133 c.p.c., comma 2, non è infatti equiparabile alla notificazione eseguita ad istanza di parte, prescritta al predetto line dall’art. 326 c.p.c., comma 1, rispondendo soltanto quest’ultima alla funzione di esprimere la volontà della parte di porre fine al processo mediante l’attivazione del termine breve per l’impugnazione, sia nei confronti del destinatario che nei confronti del richiedente, ed operando il cancelliere, nell’esercizio di detta funzione, quale organo dell’ufficio giudicante, in posizione di imparzialità anche rispetto all’Amministrazione dalla quale dipende, ove la stessa sia parte in causa (cfr. Cass.. Sez. 1^, 2 febbraio 2006. n. 2334).

Nella specie, pertanto, la notifica del decreto su richiesta del cancelliere, eseguita il 26 luglio 2007, doveva considerarsi inidonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, con la conseguenza che non essendosi provveduto alla notifica ad istanza di parte, trovava applicazione il termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c., decorrente dal deposito del provvedimento impugnato e puntualmente rispettato dal ricorrente, essendo stato il ricorso notificato il 15 settembre 2008. 2. – Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 6, par.

1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, censurando il decreto impugnato nella parte in cui, nonostante la durata decennale del giudizio presupposto, ha liquidato il danno non patrimoniale in misura ampiamente inferiore a quella risultante dai parametri adottati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

2.1. – Il motivo è inammissibile, in quanto corredato da un quesito di diritto la cui formulazione risulta inadeguata rispetto alla prescrizione di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ..

L’abrogazione di tale disposizione ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d) non ne esclude infatti l’applicabilità al ricorso in esame, avente ad oggetto un decreto pubblicato in data anteriore al 4 luglio 2009, tenuto conto dell’efficacia non retroattiva della normativa in esame e della disposizione transitoria specificamente dettata dalla L. n. 69 cit., art. 58, comma 5, secondo cui la nuova disciplina trova applicazione esclusivamente ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (cfr. Cass., Sez. 2^, 27 settembre 2010. n. 20323; Cass., Sez. 3^, 24 marzo 2010. n. 7119).

2.2. – Com’è noto, la formulazione del quesito di diritto assolve la funzione di porre il Giudice di legittimità in condizione di cogliere immediatamente, attraverso la lettura del ricorso, la questione sottoposta al suo esame, mediante l’individuazione dell’errore di diritto asseritamente commesso dal giudice di merito e l’indicazione della regula juris che il ricorrente ritiene debba applicarsi al caso concreto (cfr. Cass., Sez. lav., 7 aprile 2009, n. 8463). In quanto funzionale all’enunciazione diretta ed immediata di un principio di diritto suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dal provvedimento impugnato, e quindi ad un migliore esercizio della funzione nomofilattica della Corte di cassazione, il quesito deve consistere in una sintesi logico – giuridica della questione originale ed autosufficiente (cfr. Cass., Sez. 1^, 24 luglio 2008, n. 20409): esso deve pertanto investire la ratio decidendi del provvedimento impugnato, proponendone una alternativa e tale da comportare il ribaltamento della decisione assunta dal giudice di merito (cfr.

Cass.. Sez. 3^, 19 febbraio 2009. n. 4044: Cass., Sez. lav. 26 novembre 2008, n. 28280), e non può essere desunto, neppure parzialmente, dal contenuto del motivo, al quale deve comunque corrispondere, focalizzando la questione di diritto essenziale per la decisione (cfr. Cass., Sez. Un., 2 aprile 2008. n. 8466: 11 marzo 2008, n. 6420).

Tale corrispondenza non si riscontra nel caso di specie, in quanto, a fronte di una censura concernente esclusivamente l’inferiorità dell’indennizzo complessivamente liquidato dalla Corte d’Appello rispetto a quello risultante dalla somma degl’importi ritenuti congrui dalla Corte EDU per ciascun anno di ritardo nella definizione del giudizio presupposto, il ricorrente propone un quesito di diritto in parte generico, perchè non recante alcun riferimento alla ratio decidendi del decreto impugnato, in parte diverso, perchè idoneo ad introdurre un’ulteriore questione non prospettata nell’esposizione del motivo, in parte ancora in conferente, perchè riguardante una problematica che esula dall’oggetto del presente procedimento ed investe eventualmente la competenza della Corte EDU. Egli, infatti, chiede a questa Corte di stabilire da un lato se l’equa riparazione … debba essere calcolata in modo e misura conformi alle statuizioni della Corte Europea dei Diritti Umani, dall’altro se detta riparazione debba essere calcolata tenendo conto dell’intera durata del procedimento oppure del solo periodo considerato di ritardo, dall’altro ancora se comunque, nell’ipotesi in cui l’equa riparazione accordata dalla Corte d’Appello adita ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89 non sia in ragionevole rapporto con quella accordata in casi analoghi dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il ricorrente possa ancora pretendersi "vittima" di fronte alla giurisdizione italiana ed europea ai sensi della Convenzione.

Il carattere multiplo del quesito così formulato appare peraltro di per sè sufficiente ad escluderne l’adeguatezza rispetto alla prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., non consentendo a questa Corte di fornirvi una risposta in termini semplicemente affermativi o negativi, attraverso l’enunciazione di un unico principio di diritto conforme o difforme da quello posto a fondamento della decisione impugnata, ma imponendole una preventiva opera di semplificazione, sostitutiva di quella che la legge pone a carico de ricorrente, per poi fornire singole risposte, che potrebbero risultare anche tra loro diversificate (cfr. Cass., Sez. 5^, 29 gennaio 2008. n. 1906).

3. – Con il primo motivo del ricorso incidentale, il Ministero deduce la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e la contraddittorietà della motivazione del decreto impugnato, sostenendo che, ai fini della determinazione del ritardo nella definizione del processo, la Corte d’Appello si è limitata ad una mera operazione matematica, detraendo dalla durata complessiva quella ritenuta ragionevole, e prescindendo dalla valutazione del comportamento delle parti, in particolare dai numerosi rinvii richiesti dalle stesse.

4. – Con il secondo motivo, il ricorrente incidentale lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., sostenendo che l’omessa valutazione della condotta processuale delle parti si è tradotta nel mancato accertamento del nesso causale tra la durata del processo e l’addebitabilità del ritardo all’attività dell’ufficio giudiziario.

5. – Le due censure, da esaminarsi congiuntamente in quanto entrambe attinenti alla valutazione compiuta dalla Corte d’Appello in ordine all’addebitabilità del ritardo nella definizione del giudizio presupposto, sono in parte infondate, in parte inammissibili.

E’ opportuno premettere che l’accertamento della sussistenza dei presupposti della domanda di equa riparazione (ovverosia la complessità del caso, il comportamento delle parti e la condotta dell’autorità), così come la determinazione della misura del segmento, all’interno del complessivo arco temporale del processo, riferibile all’apparato giudiziario, in relazione al quale deve essere emesso il giudizio di ragionevolezza della relativa durata, si risolvono infatti in un apprezzamento di fatto, che appartiene alla sovranità del giudice del merito ed è sindacabile in sede di legittimità solo per i profili attinenti alla motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. Sez. 1^, 19 novembre 2009, n. 24399; 11 luglio 2006, n. 15750).

Nella specie, il ricorrente si duole della contraddittorietà della motivazione addotta a fondamento dell’accertato superamento del termine di ragionevole durata del processo, nella quale la Corte d’Appello, dopo aver puntualmente enumerato i rinvii disposti nel corso del giudizio, individuando in particolare quelli richiesti dalle parti, non ne ha poi tenuto conto ai fini della valutazione in ordine all’addebitabilità del ritardo, da essa determinato mediante la semplice sottrazione del periodo di tempo ritenuto astrattamente necessario per la definizione del giudizio da quello concretamente occorso ai fini della decisione.

Orbene, se è vero che non possono essere addebitati all’autorità giudiziaria o all’apparato organizzativo dello Stato i ritardi ascrivibili alla condotta processuale delle parti, è anche vero, però, che, come ripetutamente affermato da questa Corte, i rinvii della trattazione dalle stesse richiesti in tanto possono assumere rilievo ai fini di tale valutazione in quanto costituiscano espressione di un intento dilatorio o di una negligente inerzia, tali da connotare il loro comportamento in termini di abuso del diritto di difesa, restando addebitabili gli altri rinvii a disfunzioni dell’apparato giudiziario, salvo che ricorrano particolari circostanze, che spetta all’Amministrazione evidenziare, riconducigli alla fisiologia del processo (cfr. Cass. 17 settembre 2010, n. 19771;

10 maggio 2010, n. 11307).

Non può pertanto considerarsi inadeguata la motivazione del decreto impugnato, per il solo fatto di non aver tenuto conto dei rinvii richiesti dalle parti nella valutazione dell’addebitabilità del ritardo, non emergendo dalla stessa che le parti abbiano tenuto una condotta negligente o dilatoria, e non avendo l’Amministrazione neppure indicato nel ricorso gli elementi, eventualmente acquisiti agli atti del giudizio di merito e non considerati dalla Corte d’Appello, dai quali quest’ultima avrebbe dovuto desumere l’utilizzazione distorta degli strumenti processuali.

6. – E’ invece infondato il terzo motivo, con cui il Ministero denuncia la violazione do la falsa applicazione dell’art. 75 cod. proc. civ. censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha riconosciuto l’esistenza del danno non patrimoniale, nonostante la natura non fisica del soggetto istante, che esclude la configurabilità di uno stato d’ansia o di stress per l’eccessiva durata del processo.

6.1. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, infatti, il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, è ravvisabile anche con riguardo alle persone giuridiche, configurandosi come una conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU, in ragione dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri, non diversamente da quanto avviene per il danno morale da lunghezza eccessiva del processo subito dagli individui persone fisiche. Pertanto, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno in re ipsa, il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione, deve ritenere tale danno esistente, sempre che non emergano, nel caso concreto, circostanze particolari tali da far positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (cfr. Cass. Sez. 1, 14 maggio 2010, n. 11746; 2 febbraio 2007, n. 2246).

7. Il ricorso principale va pertanto dichiarato inammissibile, mentre il ricorso incidentale va rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente, in qualità di parte principalmente soccombente, al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, e condanna la Società Cooperativa Igea a r.l. al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 600,00 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

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