T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 01-02-2011, n. 909 Pubblicità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 5 giugno 2009, depositato il successivo 12 giugno, la società ricorrente impugna il provvedimento del 23 aprile 2009, con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha deliberato che il messaggio pubblicato sul quotidiano "Leggo", volto a promuovere la sua attività di intermediazione finanziaria, costituisce pratica commerciale scorretta, ai sensi degli artt. 20 e 22 del Codice del Consumo, ne ha vietato l’ulteriore diffusione ed ha irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 63.000,00.

Vengono proposti i seguenti motivi di ricorso:

a) violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 22 del Codice del consumo; ciò in quanto la società "interveniva quale mero intermediario" nella erogazione di finanziamenti e ciò era chiaramente desumibile dalla citazione nel messaggio del numeri di iscrizione all’albo dei mediatori e dalla frase "convenzionata con i più importanti istituti bancari e finanziari italiani", non sussistendo quindi alcuna omissione informativa contraria alla diligenza professionale. Né era necessario precisare che non vi era alcuna certezza circa ottenimento del finanziamento, in quanto tale certezza non vi è mai "neppure nei casi in cui l’attività di finanziamento venga svolta direttamente" (a maggior ragione dunque se si è meri intermediari). Infine, il messaggio è completo anche sotto il profilo dei costi dell’operazione, fornendo esso "le indicazioni necessarie alla formazione di un adeguato convincimento da parte del consumatore";

b) violazione e falsa applicazione art. 27 Codice del consumo; poiché l’Autorità, nella determinazione della sanzione, "si è limitata a valutare alcuni immediati elementi, ma non il contesto complessivo", poiché, se è vero che vi è stata diffusione a mezzo stampa, si è tuttavia trattato di una diffusione "concentrata nel periodo di appena un mese e con sole 4 uscite"; né il messaggio ha avuto un impatto particolare, posto che vi sono stati pochi contatti con consumatori e "nessuno ha chiesto alcuna attività di intermediazione per il finanziamento". Inoltre, l’importo della sanzione appare "del tutto sproporzionato e non affatto riconducibile ai vantaggi ottenuti dalla pubblicità, pari allo zero assoluto".

Si è costituita in giudizio l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha concluso per il rigetto del ricorso, stante la sua infondatezza.

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere, pertanto, respinto.

L’art. 20 del Codice del consumo (d. lgs. 6 settembre 2005 n. 206), prevede che una pratica commerciale è scorretta (e come tale vietata), se essa "è contraria alla diligenza professionale ed è falsa o è idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento del consumatore medio che essa raggiunge".

Il successivo art. 21 prevede, tra l’altro, che::

"è considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".

Quanto alla idoneità del messaggio a pregiudicare il comportamento economico dei consumatori, questo Tribunale (TAR Lazio, sez. I, 8 settembre 2009 n. 8399), ha già affermato che non occorre verificare la concreta esistenza di un pregiudizio per il consumatore, quanto la potenzialità lesiva del messaggio pubblicitario sulla libera determinazione delle sue scelte.

Nel caso concreto, l’Autorità garante ha ritenuto che la contrarietà alla diligenza professionale e l’idoneità a falsare il comportamento economico dei consumatori "discendono dalla natura omissiva della medesima pratica, nella misura in cui omette informazioni rilevanti di cui il consumatore ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale". Tali omissioni si sostanziano, più precisamente:

– nella mancata comunicazione dello svolgimento da parte di D. di mera attività di mediazione creditizia, inducendo invece "il convincimento che l’impresa sia in grado di provvedere direttamente alla prestazione dei finanziamenti reclamizzati"

– nella mancata percezione (derivante dal non avere esplicitato la natura dell’attività quale "mediazione creditizia") che non vi è "alcuna certezza circa la tempistica e la concreta possibilità di ottenere il prestito in considerazione del fatto che il finanziamento viene erogato da un ente terzo";

– nella mancata indicazione di elementi essenziali da cui ricavare gli esatti costi del finanziamento.

Orbene, tali precise contestazioni non risultano superate dalle argomentazioni esposte con il primo motivo di ricorso, posto che non è ragionevolmente desumibile la natura dell’attività, come mera " mediazione creditizia" (in ciò condividendo le valutazioni dell’Autorità) né dalla semplice pubblicazione del numero di iscrizione all’albo dei mediatori, né dalla espressione "convenzionata con i più importanti istituiti bancari e finanziari italiani", posto che:

– nel primo caso, occorre supporre una conoscenza del significato del numero UIC da parte del consumatore medio (il che non è ragionevole) e, anche se ciò fosse, dalla mera pubblicazione di un numero di iscrizione all’albo non sono immediatamente percepibili natura e contenuto dell’attività;

– nel secondo caso, l’espressione, lungi dal definire in via chiara ed immediata l’attività svolta, fornisce una indicazione circa uno stato soggettivo della società che può essere esternazione di una mera condizione di affidabilità della medesima e non immediatamente indicativa dell’attività che si intende pubblicizzare.

Da tale "natura omissiva" della pratica discendono le contestate omissioni in ordine a tempi e concrete possibilità dei finanziamenti (dipendendo questi, appunto, da un terzo), né sono perspicuamente chiariti i costi delle operazioni, in modo chiaro e completo, e quindi tale da far assumere al consumatore una decisione consapevole.

La valutazione dell’Autorità, dunque, si presenta coerente con le norme dalla stessa assunte a parametro dell’esame della pratica commerciale e le valutazioni svolte risultano congruamente motivate; il che comporta la reiezione del primo motivo di ricorso.

Anche il secondo motivo, relativo alla quantificazione della sanzione, risulta infondato, in quanto – valutati i limiti edittali minimo e massimo previsti per la sanzione pecuniaria – l’importo in concreto irrogato appare sorretto da valutazione coerente con la norma e ragionevole, in considerazione della delicatezza del settore di riferimento e della "debolezza dei destinatari", soggetti esposti a causa delle proprie difficoltà economiche.

D’altra parte, la durata del messaggio pubblicitario (dal 2 al 30 aprile 2008) risulta espressamente considerata dall’Autorità.

Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da D. s.r.l. (n. 4792/2009 r.g.), lo rigetta.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’amministrazione costituita, delle spese, diritti ed onorari di giudizio, che liquida nella complessiva somma di Euro 1.500,00 (millecinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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