Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-03-2011, n. 5745 Caparra

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.P. con atto in data 16.4.96 avocava avanti al Tribunale di Taranto, S.A.D., deducendo che quest’ultimo con contratto preliminare del 13.12.95 aveva a lei promesso la vendita lo stabilimento nella zona industriale di (OMISSIS) al prezzo di L. 850 milioni, di cui 100 milioni versati contestualmente alla firma dell’atto a titolo di caparra e il residuo da pagarsi alla stipula del rogito fissata per il 30.6.95;

che a tale data non era stato possibile procedere alla stipula dell’atto in quanto lo S. non aveva presentata la necessaria documentazione ed in particolare il certificato di agibilità nonostante da essa attrice fosse stato sollecitato a richiederlo dal Comune unitamente al mutamento di destinazione d’uso dell’immobile in discorso, da commerciale ad industriale; che il promittente venditore, ritenendo che la mancanza di tale certificazione non costituisse impedimento alla stipula del contratto definitivo, con lettera in data 27 marzo 1996, le aveva contestata la risoluzione del contratto e comunicato l’incameramento della caparra; tutto ciò premesso, la C., ritenuto che la destinazione d’uso dell’immobile diversa da quella convenuta e la mancanza di attestazione di agibilità, costituissero causa d’inadempimento del contratto preliminare concluso, chiedeva al tribunale adito di dichiarare legittimo, in conseguenza dell’inadempimento della controparte, il proprio recesso dal contatto, con la condanna del convenuto alla restituzione del doppio della caparra ricevuta.

Radicatosi il contraddittorio, lo S. si costituiva e contestava la domanda attrice di recesso, che riteneva inammissibile in quanto preclusa dalla domanda di risoluzione dello stesso contratto che a suo avviso l’attrice avrebbe proposto con il medesimo atto di citazione; deduceva inoltre che nessuna pattuizione era intervenuta tra le parti circa la consegna, contestualmente alla stipula dell’atto definitivo, del certificato di agibilità che invece doveva essere richiesto dalla stessa attrice, volta divenuta proprietaria dell’immobile, per cui, stante le inadempienze della medesima, chiedeva in via riconvenzionale, che, previo rigetto della domanda proposta nei suoi confronti, fosse stato dichiarato illegittimo l’esercizio da parte della C. del diritto di recesso, con la ritenzione della somma ricevuta a titolo di caparra.

Il tribunale di Taranto espletata l’istruttoria della causa, con sentenza n. 822 in data 21.5.2002 accoglieva la domanda della C., dichiarava legittimo il recesso della stessa e condannava il convenuto al pagamento del doppio della caparra ricevuta, rigettando la domanda riconvenzionale da lui proposta.

Avverso la decisione proponeva appello lo S. chiedendone la totale riforma con il rigetto della domanda attrice e l’accoglimento della propria domanda riconvenzionale, ribadendo a tal fine le eccezioni e deduzioni in precedenza proposte. Resisteva la C. che chiedeva il rigetto dell’appello con la conseguente conferma della sentenza impugnata. L’adita Corte d’Appello di Lecce – sezione Distaccata di Taranto, con la sentenza n. 194/2005 depos. in data 8.6.2005, rigettava l’appello proposta dallo S. che condannava al pagamento delle relative spese. La corte territoriale riteneva infondata l’eccezione d’inammissibilità della domanda ex art. 1385 c.c. (caparra confirmatoria) in quanto la C. non aveva mai chiesto la risoluzione del contratto ma solo la declaratoria di legittimità de proprio recesso; sottolineava che, come da un lato la consegna del certificato di agibilità dell’immobile fosse un onere del venditore, la cui assenza, ai sensi dell’art. 1477 c.c. costituiva causa di risoluzione del contratto e dall’altro che, in mancanza di una convenzione scritta, l’appellante non aveva fornito una rigorosa prova dell’esistenza di una diversa pattuizione, come da lui sostenuto. Per la cassazione lo S. propone ricorso fondato su 2 mezzi. Resiste con controricorso la C..
Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso, l’esponente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1385 e 1454 c.c. Sostiene che a seguito della diffida ad adempiere di cui alla propria lettera del 27.3.96 era intervenuta de iure la risoluzione del contratto, per cui non poteva più operare il successivo recesso della C. posto in essere con il suo atto di citazione a giudizio.

La doglianza è inammissibile in quanto non risulta in precedenza proposta.

Con il 2 motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 e 1477 c.c. nonchè vizio di motivazione della sentenza. Lamenta che la Corte contraddittoriamente gli avrebbe addossato l’onere della consegna non già del semplice certificato di agibilità, bensì di un’agibilità specifica ai fini industriali, sebbene in precedenza avesse affermato che non poteva costituire valido motivo di recesso la mancata destinazione industriale dell’immobile. Si sostiene in sostanza che l’immobile sarebbe stato munito di un generico certificato di agibilità, ma non di quello specifico (per uso industriale) preteso da controparte.

La doglianza è infondata.

Nel caso di specie la corte territoriale ha parlato solo di certificato di agibilità mancante senza fare alcuna aggettivazione (se industriale o commerciale, tra l’altro neppure prevista dalla legge). Nella fattispecie è stato accertato che l’opificio in questione non aveva ottenuto alcun certificato di agibilità. Invero la relativa pronuncia del tribunale su tale specifico punto non era stata impugnata in appello (il tribunale aveva infatti statuito che "…l’immobile de quo risultava anche sprovvisto di certificato di agibilità prevista dalla legge e non solo per la parte oggetto di condono edilizio, bensì per l’intero"). Ciò posto, come più volte evidenziato questa S.C. "il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune – nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore – è giustificato, ancorchè anteriore all’entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985, n. 47, perchè l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali. (Cass. n. 10820 del 11/05/2009). Nel caso in esame la corte territoriale, con motivazione esauriente e priva di vizi logici, dopo aver ribadito che la produzione di tale certificato doveva essere effettuata dal promittente venditore (in conformità con la menzionata giurisprudenza di questa S.C.) ha poi escluso che questi avesse dimostrato, in mancanza di una prova scritta, in modo rigoroso l’asserita pattuizione circa l’obbligo della promissaria acquirente di richiedere il certificato di agibilità.

In conclusione il ricorso dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore dei resistenti in complessivi Euro 4200,00, di cui Euro 4000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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