Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-12-2010) 04-02-2011, n. 4202 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 29/06/2010, il Tribunale di Tarante rigettava l’appello proposto da M.F. avverso l’ordinanza del 22/05/2010 con la quale il Tribunale della medesima città aveva rigettato la richiesta del suddetto M. di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.

2. Avverso la suddetta ordinanza, il M., in proprio, ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo:

– travisamento della richiesta avendo egli chiesto gli arresti domiciliari per accudire la famiglia e consentire, quindi, alla moglie di continuare a lavorare;

– di avere usufruito degli arresti domiciliari senza aver commesso alcuna infrazione;

– che il reato era stato commesso in stato di necessità in quanto essendo uscito dal carcere non c’era nessuno che gli dava lavoro.

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

Il ricorrente è stato condannato, per una rapina aggravata per la quale ha anche ammesso ogni addebito, alla pena di anni tre, mesi uno di reclusione ed Euro 900,00 di multa.

Il Tribunale ha rigettato la richiesta osservando che la famiglia del ricorrente è composta da due figli maggiorenni e da una bambina di anni cinque e che tale situazione non rilevava ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 4 sia perchè la bambina aveva, appunto, un’età superiore ai tre anni, sia perchè l’attività lavorativa della moglie non poteva di per sè giustificare la concessione degli arresti domiciliari essendo necessario dimostrare l’assoluta impossibilità di accudire la prole. In questa sede, il ricorrente, lungi dal contestare il tessuto argomentativo del tribunale non fa altro che ripetere le ragioni di merito che lo avevano indotto a compiere la rapina. Sennonchè si tratta di motivi palesemente inammissibili per mancanza di specificità rispetto alla corretta motivazione addotta dal tribunale in punto di diritto.

4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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