T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 01-02-2011, n. 895 Pubblicità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’avversato provvedimento l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha ritenuto che F. abbia posto in essere una pratica commerciale scorretta per aver prospettato ai clienti che intendevano passare ad altro operatore piani tariffari diversi da quelli poi concretamente applicati (retention ingannevole) ed una pratica commerciale aggressiva per aver frapposto ostacoli al passaggio stesso mediante mancata od errata fornitura dei cd. codici di migrazione, ovvero attraverso altre modalità comportamentali.

Le censure dedotte possono così riassumersi:

1) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 20, 21, 22 e 27 del Codice del Consumo e degli artt. 6, 7, 8, 10, 12 e 16 del Regolamento AGCM del 15 novembre 2007 n. 17589. Eccesso di potere per falso presupposto, contraddittorietà, carenza di istruttoria.

La pratica commerciale ingannevole dall’Autorità valutata ai fini dell’adozione del provvedimento sanzionatorio sarebbe diversa rispetto a quella indicata nella comunicazione di avvio del procedimento, con riveniente violazione del diritto di difesa.

In quest’ultima, in particolare, F. avrebbe prospettato alla clientela piani tariffari particolarmente vantaggiosi (con condizioni e sconti peraltro diversi rispetto a quelli poi realmente applicati) al fine di indurla ad annullare richieste di disdetta.

Diversamente, il provvedimento conclusivo evidenzia la prospettazione, da parte di F., di nuovi piani tariffari con condizioni economiche personalizzate, peraltro senza fornire una specifica informativa in ordine alle relative condizioni, il cui contenuto (peraltro peggiorativo rispetto alle precedenti) sarebbe stato appreso dalla clientela soltanto all’atto della ricezione delle fatture.

In altri termini, se l’originaria contestazione riguardava l’inesatta applicazione, da parte dell’operatore telefonico, delle condizioni promesse, il provvedimento finale ha ritenuto ingannevole la pratica commerciale in relazione alla non chiara formulazione del’offerta.

Il mutamento dell’oggetto della valutazione operata dall’Autorità – come sopra illustrato – avrebbe determinato, ad avviso della ricorrente, una compromissione del diritto di difesa.

2) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza di istruttoria.

Secondo quanto sostenuto dall’Autorità, inoltre, F. avrebbe omesso di fornire ai propri operatori di call center lineeguida vincolanti, ovvero script standardizzati, da seguire nello svolgimento delle attività di retention, sì da non consentire da offrire ai consumatori informazioni rilevanti sulle condizioni dell’offerta immediatamente percepibili e comprensibili.

Tale assunto viene contestato assumendosi che l’Autorità, con riferimento all’aspetto sopra indicato, non abbia svolto autonoma attività istruttoria, ma si sia fondata esclusivamente su quanto rappresentato dalla stessa F.: la quale, peraltro, ha contestato in punto fatto la veridicità della suindicata asserzione.

3) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza di istruttoria.

L’accertamento della sussistenza di una retention ingannevole contrasterebbe, peraltro, con le risultanze dei condotti accertamenti istruttori.

Le segnalazioni in proposito pervenute ad AGCM sarebbero numericamente non significative e, comunque, non sempre pertinenti rispetto alla problematica trattata nel procedimento.

In ogni caso, le segnalazioni effettivamente rilevanti nel quadro dell’indagine promossa dall’Autorità evidenzierebbero una radicale difformità del relativo contenuto rispetto alla valutazione condotta da quest’ultima (in particolare, osservandosi come i clienti autori delle segnalazioni stesse non avrebbero posto in luce l’errata comprensione della proposta, quanto, piuttosto, la divergenza delle condizioni applicate rispetto alla volontà manifestata dai clienti; e, comunque, emergendo da esse che lo svolgimento delle operazioni di retention contemplava anche l’invio di informazioni scritte).

4) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 23, 24, 25 e 26 del Codice del Consumo. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e contraddittorietà manifesta. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione.

Pur a fronte dell’incerta decifrabilità, nel quadro della motivazione e del deliberato del provvedimento oggetto di censura, della rilevata presenza di una connotazione in termini di "aggressività" della pratica commerciale esaminata, nondimeno F. contesta la configurabilità di tale carattere.

5) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 27 del Codice del Consumo. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8bis della legge 689/1981.

Quanto alla commisurazione della sanzione inflitta a F. (pari ad Euro 120.000,00), quest’ultima osserva che l’aumento apportato alla sanzionebase (Euro 90.000,00) in ragione della circostanza aggravante rappresentata dalle pregresse condotte similari poste in essere dalla ricorrente integri la presenza di una vera e propria "sanzione aggiuntiva" non consentita dalle pertinenti disposizioni di riferimento.

Mancherebbe infatti nel Codice del Consumo alcuna previsione suscettibile di consentire, in presenza di una eventuale reiterazione di pratiche commerciali scorrette, un inasprimento della misura sanzionatoria.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

L’Autorità intimata, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell’impugnativa.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 26 gennaio 2011.
Motivi della decisione

1. Giova procedere, preliminarmente alla disamina dei proposti argomenti di doglianza, alla ricognizione dei contenuti dell’avversata determinazione assunta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato il 6 agosto 2009.

1.1 Va innanzi tutto sottolineato come l’avversato provvedimento sia stato adottato a fronte della condotta posta in essere dalla ricorrente F., consistente nel porre in essere ostacoli nei confronti dei clienti che avevano espressamente manifestato la volontà di migrare verso altro operatore e nel proporre, al fine di persuadere gli stessi ad annullare la richiesta di disdetta, piani tariffari apparentemente vantaggiosi.

Secondo quanto argomentato dalla procedente Autorità, in particolare, la società non avrebbe consentito ai consumatori, che avevano espresso la volontà di migrare verso altro operatore, di esercitare il diritto di recesso, frapponendo ostacoli di varia natura quali quelli consistenti nel non rilasciare ai clienti i codici di migrazione oppure nel rilasciare codici di migrazione errati.

F. avrebbe, inoltre, prospettato telefonicamente ai clienti, tramite Call Center, "al fine di persuaderli ad annullare la richiesta di disdetta, piani tariffari con condizioni economiche personalizzate e specificatamente profilate sulla base delle loro abitudini di consumo, che, però, non sarebbero state attivate, e sarebbero state proposte soltanto al telefono, senza alcuna registrazione e senza alcun un invio di una specifica documentazione tale da consentire ai consumatori una comparazione, nonché di controllare il rispetto delle specifiche condizioni economiche proposte"; i clienti sottoscrittori della nuova proposta tariffaria sarebbero, infatti, "venuti a conoscenza, al momento della ricezione della fattura, del fatto che le condizioni economiche del piano tariffario applicato erano peggiorative rispetto a quelle prospettate".

In relazione a tali comportamenti, veniva ipotizzata la violazione degli artt. 20, 21, 22, 23, 24 e 25, lettera d), del Codice del Consumo.

Le evidenze acquisite nel corso del procedimento inducevano, poi, AGCM ad ampliare l’oggetto del procedimento con specifico riferimento a tutti i comportamenti posti in essere da F., consistenti nell’esigere il pagamento di somme relative a servizi non più erogati, né richiesti, in quanto suscettibili di integrare anche una violazione dell’articolo 26, lettera f), del Codice del Consumo.

1.2 Il procedimento conclusosi nell’adozione del provvedimento gravato ha tratto spunto da talune richieste di intervento da consumatori e da un concorrente fatte pervenire all’Autorità.

Nella comunicazione di avvio, veniva fatto presente che il comportamento descritto avrebbe potuto integrare un’ipotesi di violazione degli artt. 20, 21, 22, 23, 24 e 25, lettera d), del Codice del Consumo, in quanto "la pratica commerciale indicata potrebbe considerarsi da un lato ingannevole, poiché sarebbero state fornite ai consumatori informazioni non rispondenti al vero, promuovendo piani tariffari apparentemente vantaggiosi rispetto a quelli che in seguito sono stati effettivamente attivati, inducendo i consumatori ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbero preso; dall’altro, la suddetta pratica potrebbe considerarsi aggressiva in quanto consistente in ostacoli frapposti dal professionista nei confronti di quei clienti che, avanzando la richiesta di migrazione, avrebbero manifestato a F. la volontà di passare ad altro operatore".

A seguito della richiesta di informazioni dall’Autorità rivolta a F., quest’ultima rappresentava di aver sviluppato le procedure interne ed i sistemi informatici in modo tale da garantire lo svolgimento delle attività necessarie alla migrazione dei propri clienti verso altri operatori, in conformità con le modalità e le tempistiche definite dalla normativa regolamentare e dall’Accordo Quadro.

Con memoria difensiva, F. precisava altresì che:

– riguardo il nuovo piano tariffario offerto al cliente in conseguenza della sua richiesta di recesso o migrazione, non esiste un vero e proprio script, bensì l’indicazione dei piani che possono essere proposti ai clienti. Tali piani variano in funzione dell’offerta base sottoscritta ed attivata dal cliente e seguono, comunque, le esigenze che il cliente stesso dichiara a F.;

– non veniva effettuata una profilazione di dettaglio sulla clientela, piuttosto offrendosi, per differenza, il pacchetto mancante dell’offerta 3P (Parla, Naviga, Guarda) o 4P (Parla, Naviga, F.TV, F.Mobile), applicando inoltre uno sconto sui pacchetti base previsti (fissato due volte l’anno in coincidenza con il rilascio delle nuove offerte da lanciare sul mercato, o, comunque, mensilmente in base ai risultati di mercato, e proposto al Cliente);

– l’applicazione del nuovo piano risultava comunque correttamente inserita sui sistemi F. e determinava un riaccredito della differenza tra il vecchio e il nuovo piano attivato, stornato nella prima fattura utile;

– nei casi in cui il cliente ritenesse sussistere difformità tra le condizioni economiche effettivamente attivate e quelle concordate con F., poteva presentare apposito reclamo, seguendo i normali canali di comunicazione messi a disposizione da F. per la propria clientela, consistenti nel contattare il customer care o inviare un reclamo tramite fax, posta, email o MyFastPage;

– l’accertamento di un’anomalia, dipendente da errori sui sistemi o errato inserimento dei dati del nuovo piano tariffario (imputabile per lo più ad errore umano) si concludeva con lo storno nella successiva fattura utile degli importi erroneamente fatturati o in alcuni casi con l’emissione di una nota di credito.

1.3. Con memorie pervenute all’Autorità il 25 maggio 2009 ed il 22 giugno 2009, F. allegava l’elenco delle posizioni dei segnalanti e delle fatture inviate ai clienti disattivati e puntualizzava, inoltre, che:

– nessuna evidenza di alcun comportamento scorretto emergerebbe dall’analisi della documentazione indicata;

– solamente in 22 segnalazioni, tra quelle agli atti, si individuerebbero doglianze aventi ad oggetto una presunta mancata fornitura dei CDM oppure una presunta comunicazione di CDM errato, o infine un’asserita errata applicazione delle condizioni concordate con il cliente in fase di recesso, segnalando come dalle segnalazioni a suo dire recanti profili rilevanti, non emergerebbe alcuna pratica scorretta;

– riguardo il presunto rilascio di CDM errato da parte di F., le segnalazioni indicate dalla stessa società in cui i clienti riportano le affermazioni degli operatori Telecom aventi tale oggetto, sarebbero solo cinque.

A seconda delle esigenze rappresentate dal cliente come causa del recesso, F. avrebbe esposto i piani tariffari standard, cioè già contemplati tra le offerte F. a disposizione in quel momento, che la società presumeva potessero meglio adattarsi al caso concreto prospettato dal cliente; ulteriormente precisando che il cambio di piano tariffario concordato con il cliente debba coordinarsi con i cicli di fatturazione, di talché, qualora il cambio avvenga a ridosso dell’emissione della fattura, solo dalla fattura successiva si potranno apprezzare i cambiamenti.

Quanto alla mancata applicazione di piani tariffari concordati con il cliente in sede di annunciato recesso, i disguidi verificatisi avrebbero riguardato un numero esiguo di clienti, tale da non potersi formulare un giudizio di difetto di diligenza sul punto, considerato anche che l’impatto che i disservizi avrebbero avuto sui consumatori interessati è stato annullato da F., che avrebbe posto in essere misure dirette a ripristinare le condizioni promesse e ad indennizzare i clienti.

1.4 In sede di considerazioni conclusive, l’Autorità evidenziava che, alla luce degli ostacoli nelle procedure di passaggio ad altro operatore e delle problematiche relative all’attività di retention, vengono in considerazione la ratio della legge n. 40/2007, nonché la regolamentazione settoriale dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, basata sull’esigenza di imporre agli operatori telefonici una serie di attività necessarie affinché il passaggio da un operatore all’altro a seguito dell’esercizio del diritto di recesso venga conseguito dall’utente in tempi rapidi, certi e con il minor disagio possibile, anche in considerazione del fatto che attiene alla fruizione di un servizio di carattere primario, connesso al diritto alla comunicazione.

Ciò osservato, è stato ritenuto che la conoscenza, da parte di F., circa ritardi e disagi nelle procedure di passaggio e delle problematiche relative all’attività di retention, sia emersa, innanzitutto, dai numerosi reclami inoltrati dagli utenti alla società già in un periodo precedente rispetto all’avvio del procedimento.

Nel rilevare come, a seguito del decorso di un lungo periodo di tempo (in alcuni casi anche 9 mesi) "senza che la procedura di migrazione arrivasse a buon fine ed in assenza di un’informativa su quali sarebbero stati gli esiti e i tempi del passaggio, nonché a causa della mancata applicazione delle tariffe proposte in sede di retention, vari utenti sono stati indotti ad interrompere l’operazione di recesso e di passaggio ad altro operatore precedentemente scelto, nonché a segnalare l’attivazione di tariffe difformi rispetto a quelle accettate in sede di retention".

Nel soggiungere che, "contrariamente a quanto rappresentato nelle proprie difese da F., le condotte oggetto delle segnalazioni del presente provvedimento non appaiono rappresentare singoli comportamenti bensì espressioni sintomatiche di un’unica condotta, contraria alla diligenza professionale e idonea ad incidere sulle scelte economiche del consumatore nella misura in cui hanno determinato un ostacolo non contrattuale, o sproporzionato, ai consumatori che intendevano esercitare il diritto di risolvere il contratto, ovvero di rivolgersi ad altro operatore", AGCM ha ritenuto che, "in relazione all’articolo 20, comma 2, del Codice del Consumo, la società F., in violazione del dovere di diligenza professionale, consapevole delle criticità dell’operazione di passaggio ad altro operatore, ha omesso di fornire ai propri utenti informazioni adeguate per agevolare il passaggio ad altro operatore nell’ambito delle procedure di c.d. "migrazione" e ha reso di difficile attuazione il diritto di trasferire il contratto di fornitura del servizio in capo ad un altro operatore agli utenti che avevano scelto di avvalersene":

In particolare, F. non avrebbe previsto "specifiche procedure per cercare di eliminare disagi e ritardi che si sono effettivamente determinati presso la clientela, limitandosi ad alcune iniziative successive attraverso azioni di storno". Con riferimento al mancato assolvimento dell’obbligo di diligenza richiesto al professionista, è stato dall’Autorità osservato che "il settore della telefonia fissa e mobile è caratterizzato dal proliferare di offerte complesse e articolate, per cui completezza e comprensibilità delle informazioni si caratterizzano come un onere minimo dell’operatore pubblicitario al fine di consentire la percezione dell’effettiva convenienza delle proprie proposte"; in tale prospettiva, "la completezza della comunicazione (dovendo) coniugarsi con la chiarezza e l’immediata percepibilità delle condizioni di fruizione dell’offerta pubblicizzata".

Con specifico riferimento all’attività di retention – qualificata come una pratica commerciale tra un professionista e un consumatore ai sensi dell’ampia definizione di cui all’art. 18, lettera d), del Codice del Consumo – AGCM ha rilevato come nella fattispecie all’esame essa sia stata caratterizzata da una formulazione non trasparente, inesatta, incompleta e/o non veritiera agli utenti di offerte o piani tariffari agevolati, allo scopo di convincerli a revocare le procedure di migrazione avviate, con riveniente violazione degli artt. 20, 21 e 22, comma 2, del Codice del Consumo.

In particolare, è stata ritenuta ingannevole:

– "ai sensi dell’articolo 21, comma 1, del Codice del Consumo, in quanto le procedure per la formulazione delle proposte di retention oggetto di istruttoria (con i relativi sistemi di controllo) sono idonee ad indurre in errore i consumatori, inducendoli ad assumere decisioni di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso";

– ed "ai sensi dell’articolo 22 del Codice, in quanto F. ha omesso ovvero ha presentato in modo non immediatamente comprensibile informazioni rilevanti circa le caratteristiche e le condizioni economiche delle offerte formulate, di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione di natura commerciale in maniera consapevole ed adeguatamente informata".

F. avrebbe svolto la suindicata attività "applicando procedure che prevedevano la comunicazione delle relative proposte agli utenti in forma esclusivamente orale, senza effettuarne la registrazione, e senza l’esistenza di linee guida vincolanti o script standardizzati"; il contatto telefonico finalizzato alla retention concludendosi "senza che l’operatore abbia fornito all’utente alcun riepilogo scritto delle proposte formulate, talché quest’ultimo si trova a dover valutare la convenienza delle suddette proposte e ad effettuare le conseguenti scelte di tipo economico sulla sola base delle informazioni ricevute oralmente".

A fronte delle modalità di realizzazione e controllo dell’attività di retention così svolta da F., l’Autorità ha riscontrato una significativa diffusione tra i consumatori di incomprensioni circa le caratteristiche e gli effetti delle proposte formulate, nonché il verificarsi di numerosi casi di mancata e/o scorretta attivazione delle stesse.

Nel rilevare come tale assunto trovi "diretta conferma nelle segnalazioni di ingannevolezza dell’attività di retention inviate dai singoli consumatori all’Autorità, dalle quali risulta che in numerosi casi F. ha contattato il cliente per proporre uno sconto sulla tariffa già applicata, senza poi provvedere in maniera puntuale e adeguata a dare specificatamente seguito a quanto promesso", AGCM ha ulteriormente puntualizzato come, sulla base delle acquisite evidenze, "in altri casi… è stato proposto ad esempio, il piano tariffario denominato "Italia senza limiti +", riguardante l’applicazione di una tariffa più favorevole rispetto al piano originario, mentre in un secondo momento il cliente veniva ricontattato da un operatore del call center di F. il quale proponeva una nuova offerta con condizioni decisamente peggiorative rispetto a quella precedentemente accettata"; e, pur "di fronte al rifiuto del cliente, F. inviava una mail in cui comunicava l’avvenuta attivazione di tale piano tariffario".

Conseguentemente, AGCM riteneva che "le omissioni circa le specifiche dell’offerta, nonché la mancanza di chiarezza, completezza e trasparenza nelle informazioni comunque fornite, impedendo all’utente di verificare lo stato di convenienza della stessa e non consentendo una verifica dell’attivazione delle proposte formulate, né il controllo della sua effettiva applicazione" abbiano integrato "una fattispecie di retention ingannevole, in contrasto con gli articoli 20, 21 e 22 del Codice del Consumo".

Nell’osservare come, "a differenza di quanto accade per la generalità delle proposte commerciali degli operatori del settore – che sono soggette a specifiche modalità di pubblicazione proprio al fine di garantire una corretta informativa dei consumatori – le proposte effettuate in sede di retention non sono usualmente ricollegate ad offerte sottoposte a pubblicazione", l’Autorità ha ulteriormente rilevato che, "alla luce di tale peculiarità, la scelta di F. di non procedere nemmeno ad una formulazione per iscritto delle offerte di retention appare censurabile, in quanto denota un comportamento che, lungi dal colmare l’accentuato gap informativo esistente nella fattispecie a carico dell’utente, determina una situazione di scarsa trasparenza nell’ambito della quale il consumatore può risultare disorientato. In aggiunta, occorre considerare che la semplice comunicazione orale delle proposte, per giunta nei ristretti limiti temporali tipici di un contatto telefonico, non appare idonea a consentire al consumatore di effettuarne una comparazione ponderata e consapevole", vieppiù ove si consideri che "le proposte di retention, sono per loro natura personalizzate, risultando quindi particolarmente difficoltosa per il consumatore una piena ed esatta conoscenza dell’offerta sottopostagli".

La rilevata "assenza di trasparenza e certezza nell’attività di retention" avrebbe, quindi, reso "di fatto particolarmente difficoltosa, da parte dell’utente, una valutazione puntuale dell’offerta prospettata, per cui lo stesso si trova nell’impossibilità di capire in primo luogo se questa sia migliorativa rispetto al piano tariffario precedente e di effettuare, in secondo luogo, un confronto con l’offerta del professionista al quale intende migrare la propria utenza".

Le informazioni fornite da F., in tale quadro, sono risultate "formulate in modo oscuro, incomprensibile ed ambiguo, in violazione degli obblighi di trasparenza, chiarezza e diligenza professionale", determinandosi, per l’effetto, una accentuazione della "posizione di debolezza del consumatore rispetto alla controparte, specie per quanto riguarda il profilo informativo".

Altrimenti, la scelta di F. "di non prevedere per gli operatori del call center incaricati dell’attività di retention, l’utilizzo di modalità di comunicazione vincolanti (ad esempio, mediante linee guida o script standardizzati)" è stata ritenuta "censurabile nella misura in cui non viene fornito al cliente un efficace mezzo di controllo delle tariffe applicate", determinandosi un incremento del "livello di discrezionalità degli operatori del call center", non idonea "a garantire che ai consumatori venga reso in maniera corretta il necessario bagaglio informativo".

1.5 Quanto alla commisurazione dell’apparato sanzionatorio applicabile a fronte della rilevata violazione delle suindicate disposizioni del Codice del Consumo, l’Autorità – sulla base delle previsioni di cui all’art. 27, comma 9, del Decreto Legislativo n. 206/2005 e dell’art. 11 della legge n. 689/1981, in virtù del richiamo previsto al comma 13 dello stesso art. 27 – ha valutato i criteri all’uopo rilevanti, rappresentati, come è noto, dalla gravità della violazione, dall’opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione, dalla personalità dell’agente, nonché dalle condizioni economiche dell’impresa.

Nell’osservare come F. rappresenti un operatore rilevante nel settore interessato, AGCM ha ulteriormente rilevato – con riguardo alla gravità della violazione – che la condotta presa in esame ha avuto un significativo impatto, "in quanto la pratica commerciale consiste nel proporre offerte commerciali di retention secondo una prassi generalizzata, di ampia diffusione ad un’ampia platea di consumatori"; soggiungendo, sul punto, che nel settore della telefonia, "l’obbligo di completezza e chiarezza delle informazioni veicolate si presenta particolarmente stringente, anche in considerazione dell’asimmetria informativa esistente tra professionista e consumatore, dovuta al proliferare di promozioni e piani tariffari anche molto articolati".

Per quanto riguarda, poi, la durata della violazione, è stato constatato che "la pratica ha avuto diffusione quantomeno a partire dal mese di dicembre 2007 e risulta ancora in corso".

Sulla base degli indicati elementi, la sanzione amministrativa pecuniaria è stata determinata nell’ammontare di Euro 90.000; ed è stata innalzata a complessivi Euro 120.000,00 in ragione della rilevata sussistenza di circostanze aggravanti, "in quanto il professionista risulta già destinatario di provvedimenti di ingannevolezza in violazione del Capo II, del Decreto Legislativo n. 206/2005".

2. Come sopra riassunti i termini essenziali dell’avversata determinazione, appare utile appare richiamare il contenuto delle norme del Codice del Consumo qui rilevanti.

L’art. 18 del D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (Codice del Consumo, come modificato dal D.Lgs. 2 agosto 2007 n. 146) precisa che, per le finalità considerate dal Titolo III (Pratiche commerciali, pubblicità ed altre informazioni commerciali), si intende per:

– "professionista": qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista;

– "prodotto": qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;

– "pratiche commerciali tra professionisti e consumatori": qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

– "falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori": l’impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".

Il successivo art. 19 puntualizza, poi, che le disposizioni contenute nel Titolo anzidetto trovano applicazione alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto.

Il comma 2 dell’art. 20 stabilisce, quindi, che "una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale e" diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori; mentre il successivo comma 4 individua come scorrette le pratiche commerciali:

– ingannevoli di cui agli articoli 21, 22 e 23

– aggressive di cui agli articoli 24, 25 e 26".

Quanto all’art. 21, il carattere di "ingannevolezza" della pratica commerciale" rileva allorché essa rechi "informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:

a) l’esistenza o la natura del prodotto;

b) le caratteristiche principali del prodotto,…;

c) la portata degli impegni del professionista…";

(…)

f) la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, lo status, il riconoscimento, l’affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti;

g) i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso ai sensi dell’articolo 130 del presente Codice".

Soggiunge il successivo comma 2 (lett. a) che "è altresì considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induce o è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti una qualsivoglia attività di commercializzazione del prodotto che ingenera confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente, ivi compresa la pubblicità comparativa illecita".

Ai sensi dell’art. 22, "è considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".

3. Nel merito delle doglianze esposte con il mezzo di tutela all’esame, con la prima delle censure parte ricorrente assume l’assenza di puntuali profili di corrispondenza fra la contestazione delle violazioni a F. mosse in sede di comunicazione di avvio del procedimento ed i contenuti del conclusivo provvedimento sanzionatorio.

Se nella comunicazione di avvio, in particolare, sarebbe stata posta in evidenza una pratica consistente nella promessa dell’offerta di particolari condizioni contrattuali (peraltro poi non concretamente applicate), diversamente la conclusiva effusione provvedimentale ha rilevato che l’offerta da F. formulata in sede di retention sarebbe stata caratterizzata da opacità informativa e non avrebbe denotato chiarezza espositiva.

3.1 Invero, nella comunicazione di avvio in data 13 febbraio 2009 si dà atto che F.:

– "avrebbe posto in essere una presunta pratica commerciale scorretta consistente nel porre in essere ostacoli nei confronti dei clienti che hanno espressamente manifestato la volontà di migrare verso altro operatore e nel proporre, al fine di persuadere gli stessi ad annullare la richiesta di disdetta, piani tariffari particolarmente vantaggiosi";

– "non avrebbe consentito ai consumatori, che hanno espresso la volontà di migrare verso altro operatore, di esercitare il diritto di recesso, frapponendo ostacoli consistenti nel non rilasciare ai clienti i codici di migrazione, oppure nel rilasciare codici di migrazione errati";

– "avrebbe prospettato, telefonicamente mediante call center, ai suddetti clienti, al fine di persuaderli ad annullare la richiesta di disdetta, piani tariffari con sconti e condizioni economiche personalizzate… che, però, non sarebbero state attivate nei termini prospettati".

Sulla base di tali rilievi, è stata ipotizzata la presenza di una condotta in violazione delle prescrizioni di cui agli artt. 20, 21, 22, 23, 24 e 25, lett. d), del Codice del Consumo, "in quanto la pratica commerciale indicata potrebbe considerarsi… ingannevole, in quanto sarebbero state fornite ai consumatori informazioni non rispondenti al vero, promuovendo piani tariffari con condizioni economiche apparentemente vantaggiose rispetto a quelle che poi sono state effettivamente applicate e promettendo sconti che, poi, non sono stati effettuati, inducendo i consumatori ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbero preso (retention ingannevole)".

3.2 I riportati contenuti della comunicazione di avvio persuadono dell’infondatezza della censura all’esame, atteso che le indicazioni promananti dal conclusivo provvedimento – per come in precedenza riportato – rivelano significativi profili di coincidenza con quanto ipotizzato in sede di iniziativa procedimentale.

L’oggetto del procedimento, vale a dire le circostanze in relazione alle quali l’Autorità ha ritenuto di procedere, è stato quindi sufficientemente specificato; e la comunicazione di avvio del procedimento ha riportato gli elementi essenziali per consentire un efficace e completo contraddittorio (e, quindi, per consentire la piena esplicazione del diritto di difesa).

Ha trovato, infatti, compiuta – e chiara – identificazione la tipologia dell’attività (e, conseguentemente, la connessa pratica commerciale) oggetto di indagine (ovvero, i comportamenti che, da parte di F., hanno accompagnato le procedure di retention volte a "trattenere" la clientela che aveva manifestato l’intendimento di "migrare" verso altro operatore di telefonia).

Ed hanno, altresì, incontrato puntuale emersione i profili di ingannevolezza delle comunicazioni commerciali all’uopo fornite; i quali, ancorché suscettibili di specificazione e puntualizzazione solo in seguito allo svolgimento degli approfondimenti istruttori, nondimeno, fin dall’atto dell’avvio procedimentale, hanno fornito ala parte un complessivo quadro di esaustiva completezza idoneo a consentire lo svolgimento di un’efficace azione difensiva.

Circostanza, quest’ultima, univocamente comprovata dalla attiva e completa partecipazione di F. al procedimento incardinato presso AGCM; rispetto alla quale, invero, non si dimostra predicabile alcuna compromissione e/o vulnerazione delle prerogative esercitabili dalle parti le cui condotte commerciali siano oggetto di indagine ad opera della competente Autorità.

In tal senso, come indicato nel paragrafo del provvedimento dedicato alle risultanze dell’istruttoria, l’operatore economico è intervenuto nel procedimento formulando deduzioni di merito pertinenti al suo oggetto: il che attesta la intelligibilità della originaria comunicazione di avvio del procedimento e della sua integrazione.

Non è quindi dato accedere alle argomentazioni con le quali parte ricorrente ha osservato che la comunicazione di avvio procedimentale avrebbe dovuto recare un maggior grado di dettaglio (ovvero, più puntuali profili di coincidenza con le risultanze dell’attività istruttoria e, conseguentemente, con il contenuto della determinazione provvedimentale conclusivamente assunta), atteso che l’analiticità delle argomentazioni:

– se, con ogni evidenza, riguarda la fase conclusiva del procedimento, che costituisce esito della fase istruttoria

– non sempre può corrispondentemente caratterizzare la fase di avvio, nella quale, invece, devono essere con precisione identificati i soli profili della pratica commerciale oggetto dell’indagine, al fine di mettere in grado l’operatore pubblicitario di poter proficuamente partecipare all’istruttoria (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 9 dicembre 2009 n. 12593; 4 maggio 2009 n. 4490; 13 aprile 2006 n. 2737).

4. Assume poi F. che uno degli essenziali elementi addotti dall’Autorità nel quadro della complessiva sintomatologia della condotta scorretta (ovvero, la mancata predisposizione di script standardizzati a mezzo dei quali gli operatori dei call center avrebbero dovuto sottoporre alla clientela con carattere di omogeneità il contenuto delle offerte prospettate a quest’ultima nel quadro delle attivate procedure di retention) non troverebbe elementi di riscontro nella prassi commerciale adottata nella circostanza dalla ricorrente stessa.

Va osservato, in proposito, che le argomentazioni pur diffusamente esposte da F. non incontrano documentabili elementi di riscontro, atteso che, nel quadro della pur copiosa produzione documentale che ha caratterizzato la partecipazione procedimentale della odierna ricorrente, quest’ultima ha omesso di produrre proprio gli script che, con asserzione invero indimostrata, ha invece affermato di aver predisposto a presupposto dell’attività di contatto diretto con la clientela promossa telefonicamente a mezzo di call center.

In assenza di tale dimostrazione – la cui eventuale concludenza al fine di avversare le considerazioni di AGCM, avrebbe dovuto essere necessariamente assistita dall’ostensione del corrispondente corredo probatorio – le affermazioni contenute nel provvedimento gravato (secondo cui le procedure applicate in ambito di retention "prevedevano la comunicazione delle relative proposte agli utenti in forma esclusivamente orale, senza effettuarne la registrazione, e senza l’esistenza di linee guida vincolanti o script standardizzati"; il relativo contatto telefonico concludendosi senza che l’operatore avesse "fornito all’utente alcun riepilogo scritto delle proposte formulate, talché quest’ultimo si trova a dover valutare la convenienza delle suddette proposte e ad effettuare le conseguenti scelte di tipo economico sulla sola base delle informazioni ricevute oralmente") rivelano incontroversa valenza al fine di desumere la non correttezza della pratica nella fattispecie seguita.

Così come evidenzia non manifestamente illogica comprensione la circostanza, parimenti rilevata dall’Autorità, circa la "significativa diffusione tra i consumatori di incomprensioni circa le caratteristiche e gli effetti delle proposte formulate, nonché il verificarsi di numerosi casi di mancata e/o scorretta attivazione delle stesse", quale diretta conseguenza delle illustrate modalità di realizzazione e controllo dell’attività di retention da parte di F..

5. Neppure dimostrano condivisibilità le doglianze con le quali F. ha contestato la natura e consistenza della pratica commerciale oggetto di indagine da parte dell’Autorità, confutandone altresì la rilevanza nel quadro della inosservanza degli obblighi posti dagli artt. 21 e 22 del Codice del Consumo (per il cui contenuto, si rinvia a quanto precedentemente riportato sub 2.).

5.1 Come sostenuto dalla parte ricorrente, la sporadicità dei casi nei quali sarebbero state denunciate opacità nelle indicazioni riguardanti le offerte commerciali prospettate per il mantenimento della clientela altrimenti "migrante" (o, ancora, vere e proprie difformità tra il contenuto delle proposte e la realtà contrattuale poi sottoposta alla clientela), escluderebbe che – a fronte dell’imponente massa dei "contatti" attivati da F. – si possa configurare una vera e propria "pratica" commerciale: piuttosto risolvendosi le circostanze dall’utenza segnalate sotto forma di esposto o denuncia in un ambito statisticamente inevitabile, il cui rilievo patologico non sarebbe stato altrimenti scongiurabile.

La (scarsa) significatività statistica del dato non assurge, ad avviso del Collegio, ad elemento legittimamente escludente la scorrettezza della pratica commerciale all’esame.

L’esigua verificazione – da F. sostenuta – di ipotesi di contratti difformi rispetto alle indicazioni verbalmente fornite ai consumatori, ovvero la non rilevante casistica comprovante che questi ultimi, in assenza di predisposti schemi informativi scritti, non sempre e non omogeneamente siano stati posti in condizione di apprendere il compiuto contenuto dell’offerta, se non può risolversi nella configurazione di elementi di attenuata responsabilità in ragione della (pur) ingente mole dei contatti avviati (altrimenti venendosi a commisurare la diligenza comunque richiesta all’operatore commerciale al dato volumetrico della relativa attività), neppure si rivela suscettibile di ridimensionata rilevanza con riguardo alla "frequenza" delle occorse tipologie di illecito e/o di abuso.

Altrimenti opinandosi, verrebbe ad ancorarsi ad un elemento di mero fatto – e, quindi, al verificarsi di circostanze affatto estrinseche – quella che è, invece, una valutazione tutta interna alla verificabilità della condotta posta in essere dall’operatore commerciale, nell’ambito della divisata "pretendibilità" di accorgimenti e misure che la diligenza di quest’ultimo è tenuta a porre in essere al fine di scongiurare il possibile di verificarsi di nocumento o pregiudizio nei confronti dei consumatori.

Piuttosto, la rilevanza numerica del dato può assumere significatività quale elemento aggravante della condotta – nel senso di consentire l’individuazione di un rincarato grado di "negligenza" al quale potrà accedere un’omogenea commisurazione dell’apparato sanzionatorio repressivo – laddove il comportamento ascrivibile all’operatore abbia avuto diffuse ricadute pregiudizievoli nei confronti dei consumatori: da tale circostanza essendo con ogni evidenza dato desumere la grave inadeguatezza del comportamento posto in essere da quest’ultimo a fronte del paradigma di "diligenza" che la normativa di riferimento ha posto quale essenziale referente di valutabilità della condotta.

L’illiceità del comportamento, al fine di assumere rilevanza ai sensi delle riportate disposizioni del Codice del Consumo, non deve infatti dimostrare una concreta attuazione pregiudizievole per le ragioni dei consumatori; quanto, piuttosto, una potenzialità lesiva (a fronte di scelte che questi ultimi sono legittimati a porre in essere fuori da condizionamenti e/o orientamenti decettivi) che consente di ascrivere la condotta nel quadro dell’illecito (non già di danno; ma) di mero pericolo (in quanto intrinsecamente idonea a condurre alle conseguenze che la disciplina di legge ha inteso, invece, scongiurare): di talché il concreto atteggiarsi della relativa casistica viene a perdere (se non nei limiti da ultimo indicati) giuridica significatività ai fini in discorso.

5.2 Piuttosto, non discutibili censure rispetto alla condotta nella fattispecie posta in essere da F. riguardano la mancata osservanza degli obblighi di diligenza pretendibili da un operatore commerciale nel quadro dell’operazione intrapresa nei confronti della clientela.

È appena il caso di rammentare come la retention integri una sorta di attività commerciale consistente nel tentativo, da parte dell’operatore, di scongiurare il verificarsi (ovvero, di contenere la significatività numerica) di fattispecie di migrazione della clientela verso altri gestori telefonici, prospettando a quest’ultima ipotesi di modificazioni dei piani tariffari, ovvero offerte altrimenti vantaggiose, suscettibili di trattenere almeno parte di essa.

La retention viene normalmente a sostanziarsi attraverso contatti, sovente telefonici, che l’operatore commerciale pone in essere nei confronti della clientela a seguito del manifestato intendimento, da parte di quest’ultima, di "abbandonare" il primo e di rivolgersi ad altro gestore, attraverso i quali viene esperito un tentativo (veicolato da "nuove" offerte contrattuali, ovvero da modificazioni delle condizioni negoziali in atto disciplinanti il rapporto) preordinato a "scoraggiare" la migrazione ed a "trattenere" segmenti di utenza altrimenti in procinto di passare ad altro – e concorrente – operatore.

In tale quadro, l’obbligo diligenziale immanente sull’operatore commerciale rivela una soglia minima di pretendibilità i cui contenuti sono, fra l’altro, contraddistinti:

– dalla standardizzata e verificabile omogeneità delle informazioni fornite all’utente (laddove, come nel caso di specie, il contatto venga telefonicamente attivato a mezzo di operatori di call center)

– dalla chiarezza espositiva dei contenuti delle offerte prospettate

– dalla predisposizione di idonei mezzi dimostrativi in ordine all’eventuale consenso dall’utente prestato all’offerta propostagli

– dalla veridicità dei contenuti di quest’ultima rispetto alla sostanza delle modificazioni delle condizioni contrattuale proposte, ovvero delle nuove e/o aggiuntive prestazioni prospettate.

La mancata predisposizione, da parte di F., di adeguati strumenti di predisposizione scritta dei contenuti delle offerte telefonicamente prospettate alla clientela dagli operatori dei call center, nonché di verifica della correttezza del contatto da questi ultimi attivato con l’utente (facilmente realizzabile, ad esempio, attraverso l’integrale registrazione della telefonata), in quanto direttamente incidente sulla delicata fase di acquisizione del consenso, rappresenta indubbiamente, anche secondo il comune buon senso, un condotta non conforme al "normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività del professionista (cfr., in termini, T.A.R. Lazio, sez. I, 29 marzo 2010 n. 4931).

In tal senso, non può che condividersi quanto osservato dall’Autorità nella gravata determinazione:

– circa la presenza (in punto di fatto, non confutata dall’odierna ricorrente con dirimenti argomenti ed elementi dimostrativi) di omissioni riguardanti le specifiche dell’offerta;

– nonché in ordine alla "mancanza di chiarezza, completezza e trasparenza nelle informazioni comunque fornite";

circostanze, queste ultime, suscettibili di precludere (o, quanto meno, di rendere particolarmente difficoltoso) "all’utente di verificare lo stato di convenienza" dell’offerta stessa e di non consentire "una verifica dell’attivazione delle proposte formulate, né il controllo della sua effettiva applicazione".

Non vi è dubbio che le carenze ed opacità informative che hanno contraddistinto, sulla base delle evidenze acquisite dall’Autorità nel corso del procedimento, la condotta nella fattispecie tenuta da F. (ed in ragione di convincenti e dimostrati elementi di confutazione da parte di quest’ultima) abbiano integrato "una fattispecie di retention ingannevole, in contrasto con gli articoli 20, 21 e 22 del Codice del Consumo": per l’effetto dovendosi disattendere le doglianze ex adverso dedotte nell’ambito del presente mezzo di tutela.

6. Lamenta poi F. che l’Autorità, pur avendo escluso la caratterizzabilità della condotta esaminata alla stregua di "pratica aggressiva" (come pure inizialmente prospettato), nondimeno abbia tenuto conto tale connotazione ai fini della complessiva configurazione della "scorrettezza" della pratica commerciale, nonché della conclusiva commisurazione dell’apparato sanzionatorio.

Tale censura non è fondata.

Dirimente si rivela, al riguardo, quanto da AGCM precisato al punto 25. del provvedimento, laddove si dà atto che "quanto… ai profili di aggressività delle pratiche oggetto di contestazione, con specifico riferimento all’imposizione di ostacoli non contrattuali all’esercizio del diritto di recesso,… dall’istruttoria svolta non sono emersi elementi tali da configurare specifiche ed autonome ipotesi di violazione delle disposizioni del Codice del Consumo"; ulteriormente soggiungendosi che "con riferimento a tale profilo… relativo alla mancata fornitura ai clienti dei codici di migrazione oppure nel rilasciare codici di migrazione errati, la società F. nelle proprie memorie difensive ha sottolineato che le procedure interne ed i sistemi informatici sono stati concepiti in modo tale da garantire lo svolgimento delle attività necessarie alla migrazione dei propri clienti verso altri operatori, in conformità con le modalità e le tempistiche definite dalla normativa regolamentare".

La stessa AGCM, sul punto, conclude rilevando che "alla luce delle allegazioni del professionista, non appaiono… emergere elementi di scorrettezza nella condotta di F. con riferimento a tale profilo in contestazione".

Che l’aggressività della condotta – per come descritta all’art. 24 del Codice del Consumo ("E’ considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso") – non sia stata affatta considerata dall’Autorità nella fattispecie è, poi, per tabulas dimostrato nel successivo punto 26. del provvedimento impugnato.

In esso AGCM ha conclusivamente affermato che "l’assenza di un’adeguata attività di sensibilizzazione ed informazione degli utenti finali attraverso possibili modalità comunicative a disposizione di F. S.p.A., di specifiche procedure per eliminare i disagi che si sono determinati presso la clientela, l’attività di retention effettuata con modalità non trasparenti ed ingannevoli, si configura come pratica commerciale scorretta, in contrasto con gli articoli 20, 21 e 22 del Codice del Consumo nella misura in cui falsa il comportamento economico del consumatore inducendolo ad assumere una decisione che non avrebbe altrimenti preso".

Appare del tutto incontroverso che il mancato richiamo alle previsioni del surriportato art. 24 del D.Lgs. 206/2005 (nonché dei successivi artt. 25 e 26, i quali, nello specificare le condotte suscettibili di essere sussunte nel genus dell’"aggressività" rispettivamente descrivono le fattispecie del "Ricorso a molestie coercizione o indebito condizionamento" e delle "Pratiche commerciali considerate in ogni caso aggressive") escludono che sia stata presa in considerazione una eventuale connotazione in tali termini della pratica commerciale posta in essere da F.: coerentemente risultando assente alcun riferimento della specie anche nel dispositivo della determinazione oggetto di censura (il quale, giova precisarlo, richiama i soli artt. 21, 22 e 23 del Codice).

7. Se le considerazioni precedentemente esposte inducono ad escludere la fondatezza delle doglianze di parte ricorrente relativamente alla configurazione, in termini di illiceità, della pratica commerciale esaminata da AGCM, omogeneo giudizio di infondatezza va rassegnato relativamente alle doglianze con le quali viene lamentata l’erroneità nel computo della sanzione amministrativa pecuniaria applicata, con particolare riferimento all’incremento (per Euro 30.000,00) applicato da AGCM rispetto alla sanzionebase (determinata in Euro 90.000,00), a fronte della valutata presenza di una circostanza aggravante rappresentata dalla pregressa commissione di violazioni della specie.

Secondo la tesi sostenuta dalla parte, il sistema sanzionatorio previsto dalle applicabili disposizioni non contemplerebbe l’applicabilità di misure afflittive a carattere "aggiuntivo", operanti in presenza di "recidiva", ovvero della reiterazione, ad opera di un medesimo operatore commerciali, di violazioni delle medesime previsioni di legge.

Va in proposito osservato come, in presenza di circostanze aggravanti derivanti dalla pluralità di violazioni in materia di pratiche commerciali scorrette (così come richiamate nel provvedimento), l’Autorità non ha nella fattispecie fatto applicazione dell’istituto della "recidiva" in senso tecnico (quale disciplinato dall’art. 8bis della legge 689/1981, aggiunto dall’art. 94 del D.Lgs. 507/1999): bensì ha, diversamente, determinato in concreto la sanzione, da rapportarsi, secondo quanto prescritto dall’art. 11 della legge 689/1981, anche alla "personalità" dell’agente, alla cui ricostruzione, per consolidata giurisprudenza, concorrono i "precedenti" nel settore genericamente interessato dalla violazione ascrittagli (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 21 gennaio 2008 n. 380).

La censura, per l’effetto, non merita accoglimento.

8. Nel ribadire le considerazioni diffusamente esplicitate ai precedenti punti, non può esimersi il Collegio dal disporre la reiezione del gravame, avuto riguardo alla dimostrata infondatezza delle doglianze con tale mezzo di tutela articolate.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Condanna la ricorrente F. S.p.A., in persona del legale rappresentante, al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’intimata Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, costituitasi in giudizio, per complessivi Euro 2.500,00 (euro duemila e cinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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