Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 02-12-2010) 04-02-2011, n. 4369 Circolazione stradale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il PROCURATORE DELLA REPUBBLICA presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, il PROCURATORE GENERALE presso la Corte d’Appello di Messina, su istanza della parte civile, e la stessa parte civile L. P.G. ricorrono in cassazione avverso la sentenza, in data 2.02.2010, del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto con la quale, in riforma della sentenza di condanna emessa nei confronti di F.S. dal Giudice di Pace di Novara di Sicilia il 25.06.2009 in ordine al delitto di lesioni colpose gravissime con violazione delle norme sulla circolazione stradale, ha assolto il medesimo ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2 perchè il fatto non sussiste. Per esaminare appieno la portata dei ricorsi, basati tutti su di una approfondita esposizione di motivi, è necessario, sia pure sinteticamente, riportare l’impianto motivazionale della sentenza impugnata.

Il Tribunale premette che il G.d.P., sulla base delle deposizioni testimoniali della persona offesa, L.P.G., e dei testi B.M. (ritenuto unico testimone oculare) e D. A. (agente di P.G. che ha effettuato il sopralluogo), ha così ricostruito la dinamica del sinistro a seguito del quale il L. P. ha riportato lesioni gravissime: in data (OMISSIS) il L. P. percorreva con la propria moto Ducati, unitamente ad altri motociclisti, la S.S. (OMISSIS) con direzione monte – mare nella zona di (OMISSIS); nell’affrontare una curva verso destra, il L. P. aveva difficoltà ad impostare la traiettoria, e pertanto rallentava vistosamente, fino quasi a fermarsi nei pressi della linea di mezzeria della carreggiata, tanto da poggiare anche il piede a terra; nel mentre, sopraggiungeva da dietro la moto Honda condotta dal F. che, non rispettando la distanza di sicurezza rispetto alla moto che lo precedeva e viaggiando ad una velocità eccessiva, tenendo altresì una condotta di guida connotata da imperizia, consistita nel premere il freno della ruota anteriore in curva e così perdendo il controllo del mezzo, finiva per colpire con la ruota anteriore quella posteriore della Ducati che lo precedeva, determinando il disarcionamento del L.P. dalla propria moto che, sbalzato in aria, finiva per ricadere all’indietro con la schiena sulla ruota anteriore della moto Honda (oramai a terra) che lo trascinava altresì per alcuni metri fino ad urtare contro il guard-rail posto a delimitazione della carreggiata nella corsia opposta. Ritenuto, pertanto, che il sinistro è stato cagionato da condotta imprudente, imperita e negligente del F., ed acclarato altresì il nesso di causalità tra la condotta di guida colposa dell’imputato e le gravi conseguenze patite dal L.P. (che nell’occorso dell’incidente ha riportato lesioni irreversibili alla colonna vertebrale con conseguente paraplegia degli arti inferiori), ritenuta altresì non attendibile e contraddittoria la ricostruzione della dinamica del sinistro operata dall’imputato (secondo cui il L.P. già era caduto a terra prima del suo sopraggiungere, essendo poi il F. scivolato nel tentativo di evitare la moto Ducati già a terra, senza tuttavia urtare nè la moto che lo precedeva, nè il L.P.) il primo giudice ha affermato la penale responsabilità dell’imputato.

A seguito dell’appello proposto da quest’ultimo e dal responsabile civile, il Tribunale, in composizione monocratica, ha ribaltato la valutazione delle risultanze probatorie giungendo, sia pure ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2 all’assoluzione del F..

L’impugnata sentenza nella premessa rileva che unico elemento di prova certo ed obiettivo risultano le foto raffiguranti il luogo del sinistro ed i mezzi coinvolti; il rimanente scarno materiale istruttorio è costituito dalle dichiarazioni, opposte e discordanti, della persona offesa e dell’imputato, nonchè dei testi indicati dal G.d.P.. Partendo dall’esame del B., il quale, essendo l’unico teste oculare, avrebbe dovuto fornire elementi di prova decisivi, il Tribunale rileva come la deposizione dello stesso non risulta per nulla lineare e non priva di contraddizioni, se si considerano le diverse dichiarazioni dallo stesso rese nelle diverse fasi del giudizio, che sono contrastanti tra loro e prive pertanto dei necessari requisiti della coerenza, linearità, costanza e precisione, avendo rilasciato ben tre diverse versioni dell’accaduto:

prima nel verbale di s.i.t. innanzi agli Ufficiali di P.G., dopo poche ore i fatti (acquisite agli atti di udienza con il consenso delle parti), poi quella resa al difensore di parte civile ex art. 391 bis c.p.p. (anch’essa acquisita agli atti dibattimentali) ed infine la deposizione testimoniale dinanzi al G.d.P..

Il Tribunale, che si è dilungato nell’evidenziare le molteplici contraddizioni presenti nelle varie ricostruzioni fornite dal teste B., ed, evidenziate altresì le difformità con quanto dichiarato dalla persona offesa (che ha omesso ogni riferimento ad un suo errore di manovra nell’impostazione della curva), giunge alla conclusione che, anche a voler sorvolare su dette contraddizioni, il quadro complessivo della ricostruzione del sinistro non è chiaro.

Di fronte alle molteplici contraddizioni delle diverse versioni fornite dal teste B., che ne inficiano fortemente l’attendibilità intrinseca del narrato, alle contraddizioni tra quanto dichiarato da tale teste e la p.o. portatore di evidenti e rilevanti interessi economici, al mancato riscontro obbiettivo di quanto dichiarato rispetto agli effettivi danni riportati dai mezzi coinvolti ed alle tracce rilevate sull’asfalto, la ricostruzione della dinamica del sinistro operata dal primo giudice, secondo il Tribunale, perde di credibilità, e, dunque, in conclusione, rileva che si è trattato di due sinistri autonomi, difettando la prova di un contatto tra i due motocicli, presupposto necessario per potere poi verificare se lo stesso sia stata la causa della caduta del L. P. e delle conseguenze dannose riportate sulla sua persona, potendosi, tutt’al più, ipotizzare un contatto tra le due moto solamente una volta che le stesse erano già a terra, e quindi con nessuna incidenza causale sulla caduta del L.P..

Il PROCURATORE DELLA REPUBBLICA pone a base del ricorso i seguenti motivi:

a) mancato vaglio di prove decisive; palese contraddittorietà ed illogicità della motivazione, errore sui dati di fatto; mancata motivazione su elementi di prova essenziali ai fini della decisione;

travisamento dei fatti e dei risultati dei mezzi di prova.

A parte una censura di ordine generale all’impugnata sentenza, nel particolare, il ricorrente, con riguardo alla omessa e corretta valutazione degli elementi di prova, rileva che il Tribunale sembra voler squalificare la portata probatoria della testimonianza di D.A., agente della Polstrada, portatosi sul luogo dei fatti nella immediatezza del sinistro, sol perchè il teste è collega di lavoro della persona offesa, ponendosi così, da un lato, il sospetto della genuinità delle dichiarazioni, e, dall’altro, mostrando di non comprendere esattamente le modalità di intervento del sottufficiale, che, in realtà, si era recato sul luogo del sinistro su comunicazione, e non autonomamente, delle ore (OMISSIS). Il sospetto di una non genuinità delle dichiarazioni del D. si riverbera sulla ricostruzione dei fatti atteso che il Tribunale ritiene che la deposizione è fondata su valutazioni meramente personali e a posteriori. In tal modo vengono pretermesse tre circostanze rilevanti deducibili dalla testimonianza:

a) l’esistenza dell’urto tra le ruote dei due motocicli;

b) il punto della carreggiata ove il contatto avvenne;

c) il dato di fatto che la moto condotta dall’imputato ebbe a trascinarsi sull’asfalto andando ad arrestare la propria corsa dopo aver impattato il corpo del L.P.. In particolare, per quanto riguarda l’esistenza del punto d’urto tra i due motocicli, il giudice di appello non tiene conto nè delle dichiarazioni del menzionato teste D. nè di quelle del teste B. nè, tanto meno, quelle dello stesso L.P., che su tale circostanza appaiono essere del tutto convergenti. Dunque, per il ricorrente, l’azzeramento di tali dichiarazioni su un punto decisivo nella ricostruzione palesa una illogicità ermeneutica non comprensibile.

Ancora si sostiene che il Tribunale, non avendo aderito alla ricostruzione del sinistro ritenuta nella sentenza di primo grado, propone una sua ricostruzione disancorata da elementi di fatto sino al punto da essere apodittica e senza alcun sostegno logico ed argomentativo. Per altro, il mancato ricorso alla perizia tecnica, richiesta dalle parti, avrebbe potuto dare al giudicante la forza argomentativa alla opzione che egli ha mostrato di privilegiare e che invece appare non solo non provata ma pure smentita dalle risultanze processuali di cui il giudicante non tiene assolutamente in conto. Il Tribunale attribuisce alla motivazione del G.d.P. una ricostruzione del tutto diversa da quella da lui in effetti ritenuta. Il primo giudice non ha affatto affermato che il L.P. venne sbalzato in aria e, quindi, del tutto inutile ed illogica appare la dissertazione del giudice di appello sulla massa corporea del L. P. e sull’assenza di danni sulla parte anteriore della Honda.

Vero è, invece, che la Honda del F. ha colpito scivolando sul proprio fianco destro sia la moto che il L.P. stesso, e l’imputato, a sua volta, si trovava in fase di scivolamento, finendo, poi, per schiacciare il L.P. contro il guard-rail. E’, avuto riguardo alle lesioni riportate dal L.P., illogica ed incomprensibile appare la motivazione del Tribunale, laddove afferma che le stesse appaiono derivare da un incidente autonomo in cui il L.P. ebbe la "…tragica sfortuna di urtare violentemente con la schiena a terra o verosimilmente e molto più probabilmente contro uno dei pali di ferro di sostegno del guard-rail…."; ma se il l.

P. è aggrappato in fase di scivolata al proprio mezzo – circostanza questa ammessa anche dallo stesso imputato – se il L. P. non è stato e non poteva essere scaraventato in aria da alcuna forza; se il L.P. aveva, verosimilmente, tra sè ed il guard-rail la propria motocicletta nell’impatto con la quale avrebbe sicuramente riportato danni e ferite ma non quelle alla schiena, deve dedursi in via logica ed in linea con basilari regole ermeneutiche, di esperienza, di ordinaria ricostruzione di dinamiche di sinistri, che sia stata una forza cinetica particolare a sospingere il L. P. contro il guard-rail, schiacciandolo contro la piantana di sostegno e cagionandogli lesioni alla colonna vertebrale.

Inaccettabile è ogni altra ricostruzione che non tenga conto della risultanze del dibattimento e di semplici regole di ricostruzione del fatto. Inaccettabile perchè illogica, contraddittoria ed in divergenza dai fatti rappresentati agli atti processuali la motivazione sul punto operata dal giudicante di secondo grado. b) inosservanza delle norme di cui agli artt. 192, 500, 503 c.p.p.;

vizio logico di motivazione circa l’attendibilità dei testi, illogicità della motivazione sulle dichiarazioni testimoniali, mancata motivazione su elementi di prova essenziali ai fini della decisione.

La sentenza, argomenta il ricorrente P.M., non consente di verificare la griglia critica attraverso la quale il giudicante ha condotto l’analisi delle testimonianze, e addirittura la motivazione stessa appare carente se non mancante proprio perchè si sottrae all’analisi del contenuto delle articolazioni testimoniali. Con riferimento alla parte lesa L.P.G., l’impugnata sentenza non conduce alcuna analisi critica delle sue dichiarazioni, limitandosi a compararne la portata con quelle rilasciate dell’imputato (che, per inciso, si sottrae all’esame chiesto dalla difesa di p.c.) ed indicandole di ovvio segno opposto. Poi più nulla. Nessuna analisi, nessuna valutazione, nessun elemento offerto dalla testimonianza del L.P. viene passato al vaglio logico o anche solo storico. Le dichiarazioni della parte lesa non hanno costituito argomento di motivazione, scompaiono dalla storia processuale, relegate su uno sfondo confuso cui di tanto in tanto si fa riferimento, senza concedere ad esse alcuna valenza sia pure (si sottolinea) in negativo. La omessa valutazione delle dichiarazioni della parte lesa rende la sentenza gravemente carente e la spinge al segno di una intrinseca mancanza di motivazione su un aspetto a dir poco decisivo della intera vicenda processuale. Quanto, poi, all’analisi apportata alle dichiarazioni del teste B. la relativa valenza probatoria, per il Procuratore ricorrente, viene stroncata con un procedimento argomentativo contraddittorio e manifestamente illogico, operando una scelta degli indicatori di inattendibilità del tutto arbitraria, accostando, ad esempio, l’uso di "nomignoli" a fronte di una asserita non conoscenza delle persone coinvolte, ovvero l’indicazione di tre metri ovvero di un metro quale misura della distanza tra i due mezzi ed evitando di dare una spiegazione plausibile di tale modo di narrare del teste. Dunque, per il ricorrente, manifestamente illogica appare la sentenza nella parte in cui esclude l’attendibilità del teste B. avuto riguardo alla complessità delle sue dichiarazioni così come emergono dagli atti del processo. Infine, anche delle dichiarazioni rese dall’imputato, il giudice di appello non fa alcuna analisi e non ritiene di doverle analizzare in chiave critica o anche in chiave di apprezzamento. Tali dichiarazioni, appaiono, invece, di assoluto spessore e meritavano un’analisi che ne avrebbe confermato una chiara valenza probatoria basta riportare la sua affermazione :"…..nella fase di scivolamento, nonostante avessi cercato di arrestare la mia moto, non riuscivo ad evitare di urtarlo con la mia ruota anteriore in un punto imprecisato".

I motivi posti a base del ricorso del PROCURATORE GENERALE e di quelli esposti dalla costituita PARTE CIVILE possono essere riportati congiuntamente tenuto conto del fatto che il primo ha fatto esplicito riferimento a quelli della seconda. a) Art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c), d) ed e) con particolare riferimento alla norme di cui all’art. 590 c.n. e all’art. 583 c.n., comma 2, art. 526 c.p.p., comma 1, artt. 190 – 192 c.p.p., art. 546 c.p.p., lett. e); mancato vaglio di prove decisive (oggetto di corretta valutazione del giudice di prime cure); palese contraddittorietà ed illogicità della motivazione; errore su elementi di fatto e di diritto insussistenti;

mancata motivazione su elementi di prova essenziali ai fini della decisione; travisamento della prova.

Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Barcellona in composizione monocratica ha annullato la sentenza emessa nel giudizio di primo grado, completamente stravolgendone il contenuto e la motivazione, facendo tuttavia riferimento ad elementi inesistenti e non provati ed omettendo, invece, di valutare quelle prove che, al contrario, avevano giustamente indotto il Giudice di Pace ad emettere sentenza di condanna.

E’ palese la contraddittorietà e l’erroneo iter logico del Giudice dell’appello, laddove viene attribuita alla sentenza di primo grado una ricostruzione della dinamica, inespressa, invece, nel richiamato provvedimento. In sostanza si apportano le medesime censure esposte dal Procuratore della Repubblica, circa una ricostruzione della dinamica del sinistro attribuita al G.d.P. non rinvenibile, invece, nella sentenza di primo grado, e si censura la omessa valutazione della testimonianza del teste D., il quale ha fornito elementi essenziali, in punto di fatto (l’avvenuto tamponamento della moto Honda ai danni della Ducati) ed è stato ritenuto, con considerazioni non aderenti alle carte processuali, non veritiero, con riferimento al suo rapporto di colleganza con la p.o., alle modalità del suo intervento sui luoghi del sinistro. Viene trascurata ogni valutazione ed analisi su elementi oggettivi in atti e, in particolare: sui rilievi tecnici, sullo schizzo planimetrico, sul verbale di contravvenzione elevato all’imputato per violazione dell’art. 149 C.d.S.. Risultano, sulla base delle dichiarazioni del teste D. e dei rilievi, confermate tre circostanze essenziali sui cui il giudice di appello erroneamente dichiara di non avere elementi di prova: l’esistenza dell’urto tra le gomme delle due moto, la circostanza che la moto del F. di colore blu, ebbe a trascinarsi sull’asfalto andando ad arrestare la propria corsa addosso al L.P., così sospingendolo lungo il piantone del guard-rail e contribuendo, quindi, alla causazione dell’evento lesivo. In particolare, per quanto riguarda l’urto, depongono in maniera convergente le dichiarazioni del D., del B. e del L.P. e da quanto ammesso dallo stesso imputato, oltre a quanto rilevasi dalle relazioni e dai verbali della Polstrada e dai rilievi sullo stato dei luoghi. Al contrario, si argomenta, non emerge dagli atti alcun elemento, testimonianza o altra prova o fonte di prova di segno contrario. Palesemente illogica, meramente assertiva ed ipotetica, destituita di ogni fondamento tecnico, nonchè contraddetta pure dalla documentazione fotografica in atti è la ricostruzione proposta nella sentenza impugnata con specifico riferimento all’assenza di un urto tra le due moto o di un urto di intensità tale da determinare una spinta in avanti della Ducati con il disarcionamento del L.P.. Tale argomentazione per i ricorrenti è palesemente priva di alcun riscontro e parimenti carente di ogni spiegazione di carattere tecnico. L’erroneo iter logico seguito dal decidente risulta essere l’unico elemento fondante la pronuncia di assoluzione, non supportato da alcun diverso elemento probatorio, anzi, smentito da tutti gli elementi processuali assunti nel corso del dibattimento. Illogica ed infondata, in punto tecnico, è l’affermazione del Tribunale secondo cui l’ipotesi dell’urto tra le due moto sarebbe plausibile solo se si ipotizzasse un contatto tra le due ruote in asse e con entrambe le moto in posizione verticale.

Si rileva che, pur non essendo emersa con certezza l’esatta inclinazione avuta dalle due moto nell’attimo dell’urto, è risultato che le stesse avessero la medesima angolazione, avendo eseguito la medesima identica traiettoria nell’affrontare la curva, essendo l’una in scia dell’altra, ed avendo i rispettivi conducenti commesso, pur nella frazione di secondo in cui i fatti ebbero a svilupparsi, la medesima manovra. Sul punto appaiono decisivi i rilievi della Polstrada e le dichiarazioni del B.. Dagli accertamenti tecnici e dalle tracce sull’asfalto, emerge, poi, che entrambe le moto scivolarono con la medesima inclinazione scarrocciando lungo la medesima direttrice d’urto.

Del tutto illogica e non sorretta da alcun elemento di fatto è l’argomentazione del Tribunale svolta per confutare l’ipotesi dello scontro tra le due moto basata sull’assenza di danni alla moto Honda dovuta alla ricaduta del corpo del L.P. sulla moto stessa, in quanto è la stessa p.o. ad affermare di essere "andato a finire" sulla ruota della moto e non su altre parti della stessa. Del resto, si ripete, la ricostruzione secondo cui "il L.P., sbalzato in aria dall’urto, sia ricaduto con forza sulla parte anteriore della Honda ormai a terra" non è stata affatto esposta dal giudice di primo grado ma era contenuta nei motivi di appello. Per gli stessi motivi, altrettanto manifestamente illogico appare il rilievo relativo alla mancanza di danni alla parte posteriore della Ducati, derivante da un’erronea lettura della documentazione fotografica.

Infatti, da questa si rileva come sia assolutamente impossibile un qualsiasi contatto tra la gomma anteriore della Honda ed il porta targa o i gruppi ottici della Ducati, allocati molti centimetri più in alto rispetto al battistrada della gomma posteriore della moto, nonchè in posizione d’urto incompatibile con la conformazione della gomma anteriore della moto Honda. Emerge, dunque, l’ulteriore travisamento del fatto e delle prove in cui è incorso il Tribunale e l’inesistenza assoluta di motivazione sul punto. Ancora carente di riscontri rispetto alla dinamica dei fatti è la parte della motivazione relativa alla assenza di ulteriori danni fisici, dovuti al presunto urto con la moto Honda, sulla persona del L.P. sintomatica della non compatibilità della tesi accusatoria. Per i ricorrenti la motivazione risente della mancata lettura dei dati oggettivi e cioè delle cartelle cliniche ed appare manifestamente contraddetto da quanto emerso dalle dichiarazioni rese dalla p.o. che ha riferito di aver riportato uno strappo da abrasione sulla scapola destra ed un urto alla parte superiore del casco conseguente all’urto con il guard-rail. Altrettanto illogico ed infondato è il rilievo, frutto di un travisamento del fatto, del giudice di appello secondo cui le due moto hanno avuto corsie di decelerazione autonome, in quanto contraddetto da tutti gli atti processuali e non ancorato ad alcun elemento oggettivo o soggettivo. E’ emerso infatti, al contrario, che le moto scivolarono lungo la stessa traiettoria, ma, soprattutto, che la moto Honda dell’imputato arrestò la propria corsa proprio contro il corpo del L.P., sospingendolo lungo il guard-rail. Ciò è provato dai rilievi e dalle tracce, riportati nello schizzo planimetrico, e dalle deposizioni della p.o., dei testi B. e D.. b) art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) d) ed e) con particolare riferimento alle norme di cui agli artt. 192, 500 e 503 c.p.p.; vizio logico di motivazione da parte del giudice circa la credibilità ed attendibilità dei testi; illogicità della motivazione sulle dichiarazioni rese dal teste, resa evidente dal contenuto delle dichiarazioni medesime; violazione dell’art. 546 c.p.p., lett. e).

L’esposizione di tali motivi è sostanzialmente analoga a quella del ricorso del Procuratore della Repubblica con riguardo alla mancata valutazione delle dichiarazioni della parte offesa con conseguente inesistenza di un apprezzamento sulla sua credibilità. Con ciò il Tribunale non si è affatto uniformato alla giurisprudenza di legittimità in materia. La persona offesa, pur quando invochi in sede penale l’accertamento del fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno, assume la qualità di testimone con contenuti e modalità non diversi da quelli che connotano le posizioni di persone estranee agli interessi implicati. E’ onere del giudice, semmai, al fine di assolvere pienamente al dovere motivazionale, operare un prudente e rigoroso controllo sulla credibilità della persona offesa, attraverso la ricerca di elementi esterni di riscontro che la rendano non solo intrinsecamente ma anche estrinsecamente attendibile. Tale attività, per il caso di specie, è stata illegittimamente omessa con la conseguente illegittima inutilizzabilità delle dichiarazioni della p.o. tacciate apoditticamente come condizionate da sottesi interessi economici.

Con riguardo alla valutazione della testimonianza di B. A. vengono apportate le stesse critiche oggetto del ricorso del P.M.. Altrettanto dicasi per la omessa valutazione dell’atteggiamento processuale dell’imputato sottrattosi all’esame dibattimentale salvo poi chiedere di rendere spontanee dichiarazioni solo dopo la discussione. In sentenza non viene fatto alcun riferimento all’ammissione dell’imputato di aver urtato la moto che lo precedeva resa nelle spontanee dichiarazioni. Nessun riferimento alla confessione resa nell’immediatezza al teste B. ed agli altri motociclisti presenti. c) art. 606, comma 1, lett. d) ed e) con particolare riferimento alla mancata assunzione di una prova decisiva; manifesta contraddittorietà della motivazione rispetto a quanto contenuto in diversi punti del medesimo provvedimento impugnato.

La sentenza è contraddittoria nella parte in cui afferma di non aver elementi sufficienti per ricostruire la dinamica dell’incidente laddove tutto il materiale probatorio era, al contrario, certamente sufficiente a dimostrare la penale responsabilità dell’imputato.

Il tribunale, contraddittoriamente, espone un’ampia premessa circa l’utilità di una perizia per poi dichiarare che allo stato non avrebbe potuto fornire elementi utili in ordine alla dinamica del sinistro. L’assunto è contraddetto da elementi certi in base ai quali ben si sarebbe potuto affidare un incarico peritale quali la documentazione fotografica, lo schizzo planimetrico dei luoghi, le cartelle cliniche e le numerose dichiarazioni testimoniali.

Il RESPONSABILE CIVILE , con memoria depositata tempestivamente, eccepisce l’inammissibilità del ricorso della Parte civile e del Procuratore Generale in quanto presentati fuori termine. In subordine, si eccepisce l’inammissibilità degli stessi ricorsi e di quello del Procuratore della Repubblica poichè attinenti al merito e, dunque, vertenti su motivi diversi da quelli consentiti dalla legge.
Motivi della decisione

Il terzo motivo (contrassegnato dalla lettera c) esposto nel ricorso della parte civile è fondato ed assorbe, come innanzi meglio si preciserà, tutti gli altri motivi posti a base dei tre ricorsi, con il conseguente annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto in diversa composizione.

In via preliminare va valutata l’eccezione di inammissibilità per intempestività dei ricorsi del Procuratore Generale e della Parte Civile avanzata dal responsabile civile.

L’eccezione è infondata.

La sentenza del Tribunale è stata emessa in data 2.02.2010 con termine assegnato in dispositivo di giorni 60 per il deposito.

Ancorchè il deposito sia stato effettuato il 22.02.2010, tenuto conto del fatto che la notifica del relativo avviso è avvenuta per tutte le parti in data antecedente allo scadere dei 60 giorni fissato dal giudice, il termine di 45 giorni per impugnare, stabilito dall’art. 585 c.p.p., lett. c, è decorso dal 4 aprile 2010 (60 giorni dal 2.02.2010) con scadenza al 18.05.2010.

Ebbene, il ricorso della parte civile, diversamente da come rileva il responsabile civile, è stato depositato il 17.05.2010 (e non il 22 dello stesso mese) e quello del Procuratore Generale, depositato nella segreteria della Procura Generale, il 15.05.2010 è pervenuto il successivo 17. Dunque, entrambi i risorsi sono tempestivi.

Inoltre, destituito di fondamento è il rilievo secondo cui il termine assegnato al procuratore Generale per impugnare la sentenza, ai sensi dell’art. 585, comma 2, lett. d), decorre dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell’avviso di deposito con l’estratto del provvedimento. Si osserva che tale decorrenza è prevista, sia per l’imputato contumace che per il procuratore Generale, per quest’ultimo per tutti i provvedimenti emessi in udienza da qualsiasi giudice della sua circoscrizione diverso dalla corte d’appello, però, nel caso, come quello di specie, previsto dall’art. 544 c.p.p., comma 3, richiamato dall’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. c, qualora l’avviso di deposito della sentenza sia stato notificato in un momento antecedente alla scadenza del termine fissato dal giudice per il deposito, solo da questo e per tutte le parti, ivi compreso ovviamente il procuratore generale, decorre quello per impugnare (V. tra le tante da ultimo: Sez. 6, Sentenza n. 14356 del 05/02/2009 Rv. 243248).

Passando alla trattazione del terzo motivo del ricorso della Parte Civile, fatto proprio anche dal Procuratore Generale, è indubbio che il Tribunale abbia ricostruito la dinamica dell’incidente in maniera diversa, anzi, opposta a quella del Giudice di pace.

Nella parte narrativa si è esposto che il tribunale perviene alla conclusione che si è trattato di due sinistri autonomi, difettando la prova di un contatto tra i due motocicli, presupposto necessario per potere poi verificare se lo stesso sia stata la causa della caduta del L.P. e delle conseguenze dannose riportate sulla sua persona, potendosi, tutt’al più, ipotizzare un contatto tra le due moto solamente una volta che le stesse erano già a terra, e, quindi con nessuna incidenza causale sulla caduta del L.P..

L’iter argomentativo attraverso cui il giudice di appello giunge a tale conclusione non resiste alle critiche mosse dai ricorrenti, ma soprattutto presenta una eclatante contraddittorietà che ne inficia la tenuta logica.

L’imputato ed il responsabile civile hanno insistito nella richiesta di un parziale rinnovo dell’istruttoria dibattimentale con l’espletamento di una perizia tecnica e medico legale, già chiesta in primo grado, finalizzata, da un lato, a ricostruire la dinamica del sinistro e, dall’altre, a verificare la compatibilità delle lesioni riportate dal L.P. con la dinamica del sinistro proposta dalla Pubblica Accusa.

Orbene, sul punto è lo stesso giudice monocratico ad affermare in premessa che: "indiscutibile appare la circostanza che la stessa (perizia) sarebbe risultata molto utile al fine di una corretta ricostruzione della dinamica dell’incidente: pur tuttavia, l’astratta utilità della stessa si scontra con un dato oggettivo ed evidente quale l’impossibilità in concreto di espletarla".

Si osserva che l’istituto della rinnovazione del dibattimento in appello costituisce istituto eccezionale che deroga al principio di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado, per cui ad esso può e deve farsi ricorso soltanto quando il giudice lo ritenga assolutamente indispensabile ai fini del decidere. La determinazione del giudice, in proposito, è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata (v. ex pluribus Cass. 4A, 10 giugno 2003, Vassallo).

A questo si aggiunga che il sindacato che la Corte di cassazione può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato su una richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere esercitato sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (v.

Cass. S.U. 23 novembre 1995, Fachini).

La motivazione della sentenza impugnata circa l’impossibilità ad espletare la perizia si basa sulle circostanze che i mezzi coinvolti nell’incidente non sono più reperibili e che, a distanza di quattro anni dall’epoca dei fatti (ovviamente con riferimento alla sentenza di appello), ogni traccia presente sull’asfalto utile alla ricostruzione della dinamica dei fatti risulterebbe persa; rileva il giudice di appello che, in una tale situazione, la perizia si sarebbe dovuta eseguire solamente sulla scorta dei rilievi effettuati dalla Polizia Stradale nell’immediatezza dei fatti, consistenti in n. 10 fotografie raffiguranti i mezzi coinvolti, nonchè in n. 6 fotografie raffiguranti lo stato dei luoghi e le tracce rinvenute sull’asfalto, e conclude con le testuali parole: "troppo poco, a parere di questo giudice, affinchè un’eventuale perizia possa fornire riscontri oggettivamente certi ed utili in ordine alla dinamica dell’incidente". Posta in questi termini la questione, tale motivazione potrebbe ritenersi esaustiva ed immune da censure di illogicità e, quindi, non soggetta al sindacato di legittimità.

Tuttavia, ciò che poi rende contraddittoria la motivazione è l’incoerenza tra il postulato (impossibilità di espletare la perizia ancorchè utile alla decisione) ed il deciso.

Nel ribaltare, infatti, la ricostruzione della dinamica del sinistro stradale proposta dalla Pubblica Accusa e fatta propria dal giudice di primo grado sulla base delle risultanze probatorie, analiticamente valutate (testimonianze e rilievi effettuati dalla P.G.), il Tribunale ha ritenuto che unico elemento di prova certo ed obiettivo risultano le fotografie raffiguranti il luogo del sinistro ed i mezzi coinvolti. E dall’analisi di tale documentazione desume che il quadro complessivo della ricostruzione del sinistro, emerso dalle testimonianze del B.M. e D.A., appare "quanto meno anomalo".

Rileva che è difficile ritenere che il L.P., pur seguito ad una distanza di 3 – 4 metri dal F., prima di essere urtato abbia avuto il tempo di frenare, raddirizzare la moto, poggiare i piedi per terra, perdere il controllo della Ducati che si sarebbe adagiata sul fianco destro, pur rimanendo il L.P. in piedi a cavalcioni del mezzo, venendo solo a questo punto travolto dalla moto Honda che seguiva: la minima distanza tra i due mezzi, infatti, imporrebbe di pensare cha al più piccolo tentativo del L.P. di frenare, subito sarebbe stato travolto dal F. (la distanza tra i due veicoli di pochi metri, infatti, anche a velocità ridotte avrebbe determinato il tamponamento in una frazione di secondo, che non avrebbe permesso al conducente della Ducati di effettuare le manovre descritte dal B.). Argomenta il Tribunale che, se davvero il sinistro si fosse verificato secondo le descritte modalità, si sarebbero dovuti riscontrare specifici danni sui mezzi coinvolti dovuti allo scontro tra la ruota anteriore della Honda con quella posteriore della Ducati (con conseguente rottura o deformazione del porta targa della moto o dei gruppi ottici e delle frecce) ed, inoltre, la caduta del L.P., sbalzato in aria dall’urto, sulla stessa moto Honda, in ragione del suo peso di circa 100 chili, avrebbe dovuto lasciare chiari segni, quali la rottura del cupolino o della carena entrambi di materiale plastico, ed invece, dall’esame della documentazione fotografica richiamata, non si rinviene la minima presenza di alcuno di questi danni.

Altro elemento analizzato dal Tribunale, ritenuto di valenza oggettiva, è quello delle tracce rilasciate dai mezzi sull’asfalto:

unici segni evidenti risultano quelli di una lunga frenata fuori asse rispetto la curva che si conclude sulla corsia di marcia di senso opposto, nonchè quelli lasciati dalla striatura delle carene delle due moto sull’asfalto. Da tali segni, argomenta il giudice monocratico, oltre ad aversi la conferma dell’errore di guida e di una eccessiva velocità che ha portato entrambe le moto ad arrivare lunghe e ad invadere l’opposta corsia di marcia, può solo ricavarsi che le due moto dopo la caduta hanno avuto corsie di decelerazione autonome, la moto Honda più a nord e la Ducati più a valle, senza tuttavia potersi riscontrare un punto d’urto fra di esse.

Orbene, non c’è chi non veda, come il giudice di appello, prospettando la insufficienza dei dati, pur dallo stesso evidenziati, per conferire un incarico peritale, utilizza gli stessi per riproporre una diversa ed opposta ricostruzione della dinamica del sinistro, sostituendosi in tal modo al perito, contraddicendo, quindi, la sua asserzione iniziale circa l’impossibilità di effettuare una perizia ex actis.

Invero, l’imputato ed il responsabile civile, ritenuti responsabili, rispettivamente l’uno penalmente e l’altro civilmente, del sinistro, rendendosi conto che la sentenza del giudice di primo grado si poteva ribaltare solo proponendo una diversa scena dell’incidente rispetto a quella in essa desunta dalle testimonianze, e rendendosi, altresì, conto delle difficoltà di un’ indagine peritale per il tempo trascorso dai fatti, avevano avanzato la richiesta dell’espletamento di una perizia "meccanico – lesiva", finalizzata a ricostruire la dinamica del sinistro in base ad elementi ricavabili dai danni riportati dai veicoli coinvolti e dai rilievi tecnici effettuati dalla Polstrada e, contestualmente, a verificare, sulla base della documentazione medica, acquisita ed acquistite, se le lesioni riportate da entrambi i conducenti delle motociclette fossero riferibili e compatibili con l’incidente così ricostruito.

L’art. 220 c.p.p. stabilisce che la perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche.

Questa Corte ha affermato (V. Sez. 5, Sentenza n. 9047 del 15/06/1999 Ud. Rv. 214295) che il giudice può sicuramente giungere alle stesse conclusioni di certezza sulla base di altre prove che rendono superflua la perizia, e ritenere, quindi, che questa "non occorra", ma, in caso contrario, deve disporre la perizia senza che gli sia consentito avvalersi direttamente di proprie personali specifiche competenze "tecniche" scientifiche o artistiche" e ciò dovendo essere garantito alla parte il diritto di intervenire a mezzo di un consulente tecnico nel "processo" di acquisizione di quella particolare "certezza" e comunque quello di esaminare e contrastare, prima della decisione, ,a "prova" a suo carico; salvo, ovviamente una colta garantito il contraddittorio tecnico o scientifico, espletare in sentenza funzione di peritus peritorum.

Nella fattispecie è certo che le valutazioni effettuate dalla sentenza con riferimento a metodologie tipiche della dinamica dei corpi in movimento per quelle contratare quelle, contrarie, desunte dal giudice di primo grado sulla base di dichiarazioni testimoniali, e pervenire a conclusioni esattamente opposte, richiedevano non una competenza generica ma la specifica competenza propria di chi esercita l’esperto in infortunistica stradale con il contestuale apporto specifico del medico legale per la verifica della compatibilità delle lesioni personali riportate dai conducenti dei motoveicoli con una ricostruzione della dinamica del sinistro effettuata dal primo.

Ed è proprio sulla base di tali rilievi che il collegio non procede all’esame degli altri motivi prospettati dai ricorrenti, riguardanti sostanzialmente la valutazione delle dichiarazioni testimoniali, ritenute nella sentenza impugnata non attendibili proprio con riferimento alla ricostruzione della dinamica del sinistro come sopra riportata. Dunque, il Tribunale del rinvio sarà tenuto a valutazione la richiesta della rinnovazione dibattimentale in appello per il conferimento di un incarico peritale nei termini illustrati, procedendo in tal senso se riterrà opportuno provvedervi altri,enti, dovrà fornire congrua ed esaustiva motivazione del suo diniego, valutando per la decisione il compendio probatorio acquisito.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio AL Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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