Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 01-12-2010) 04-02-2011, n. 4375 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Catanzaro, con ordinanza resa all’udienza camerale del giorno 10.07.2009, liquidava a M.F. la somma di Euro 22000,00 a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione dapprima sofferta in regime di custodia in carcere giusta ordinanza del GIP del Tribunale di Catanzaro del 23.07.2004 e poi in regime di arresti domiciliari dal 7.10.2004 al 10.11.2004 per delitti da cui è stato assolto dalla Corte di appello di Catanzaro con sentenza del 12.10.2006, divenuta definitiva, per non avere commesso il fatto.

Avverso la sopra indicata ordinanza proponeva ricorso per Cassazione il M. e concludeva chiedendone l’annullamento.

L’Avvocatura Generale dello Stato in rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze produceva tempestiva memoria e concludeva chiedendo di volere dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ovvero di rigettarlo.
Motivi della decisione

Il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 314, 315 e 643 c.p.p., perchè la somma indicata – pari ad Euro 22000,00 a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione subita – è stata fissata senza alcuna motivazione reale, senza indicare alcun parametro per fissare il valore degli elementi ritenuti indennizzabili, senza tenere in considerazione le ulteriori sofferenze personali e familiari patite dal ricorrente a causa della privazione della libertà personale, in relazione altresì alla personalità dell’imputato, alla sua incensuratezza, alla gravità delle contestazioni che gli sono state mosse (usura aggravata dalla L. n. 203 del 1991, art. 7) e, soprattutto, al danno economico dallo stesso subito in conseguenza della carcerazione. Si contesta in sostanza il difetto di motivazione in ordine ai criteri e all’iter logico seguiti per giungere alla valutazione finale dell’indennità liquidata. Il ricorrente denuncia inoltre violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione agli artt. 314, 315 e 91 c.p.p., in quanto la controversia di cui è processo riguarda il regolamento di interessi patrimoniali tra il privato, titolare del diritto alla riparazione e lo Stato e conseguentemente il carico delle spese deve essere regolato secondo il principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c..

Il ricorso non è fondato.

Tanto premesso si osserva che il diritto a equa riparazione per l’ingiusta detenzione, regolato dagli artt. 314 c.p.p. e segg., trova fondamento nella condizione soggettiva della persona sottoposta a detenzione immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro sistematico di riferimento è un quadro di diritto civile ma non è quello dell’art. 2043 cod. civ. che appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa un danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è piuttosto quello della riparazione legata ad eventi che producono il sorgere, quali conseguenze di principi di solidarietà e di giustizia distributiva, di responsabilità da atto lecito (la distinzione tra responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043 cod. civ. e responsabilità per atto lecito è ben chiarita da Cass. SS.UU. civ. 11/6/2003 n. 9341). E’ ben fermo, in materia, l’assetto delle regole generalissime che disciplinano l’onere della prova civile ex art. 2697 c.c. posto che il procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione, quantunque si riferisca ad un rapporto obbligatorio di diritto pubblico e comporti perciò il rafforzamento dei poteri officiosi del giudice, è tuttavia ispirato ai principi del processo civile, con la conseguenza che l’istante ha l’onere di provare i fatti costitutivi della domanda, la custodia cautelare subita e la successiva assoluzione (Corte Cass. Sez. 4 sent. n. 23630 02/04/2004 – 20/05/2004). La liquidazione del danno, a fronte della natura riparatoria e indennitaria della misura apprestata dall’ordinamento, avviene secondo criteri di equità. Infatti in tema di riparazione per ingiusta detenzione, il parametro equitativo per la liquidazione dell’indennizzo – valutato sulla base delle conseguenze personali e familiari subite – è funzionale alla modulazione concreta dello stesso all’interno del rapporto tra i parametri aritmetici previsti, ma non consente al giudice di superare il tetto massimo della liquidazione, scaturente dai parametri aritmetici.

I richiamati criteri di equità riguardano ovviamente non la prova dei danni patiti, ma la mera quantificazione dell’indennizzo spettante a fronte della loro variegata natura.

In definitiva la liquidazione dell’indennizzo previsto a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione va disancorata da criteri o parametri rigidi e deve, al riguardo, procedersi con equità, valutandosi la durata della custodia cautelare e, non marginalmente, le conseguenze personali, familiari, patrimoniali, morali, dirette o mediate, che siano derivate dalla privazione della libertà. A tal riguardo, dato di partenza della valutazione indennitaria, che va necessariamente tenuto presente quantomeno come dato di partenza, è costituito dal parametro aritmetico costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2, e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta detenzione subita, dovendosi poi procedere alla liquidazione dell’indennizzo, entro il tetto massimo del quantum liquidabile, con apprezzamento di tutte le conseguenze pregiudizievoli che la durata della custodia cautelare ingiustamente subita ha determinato per l’interessato (Cass. Sez. 4^ sent. N. 30317 del 21/06/2005).

Nella fattispecie di cui è processo il provvedimento impugnato applica correttamente i sopra indicati principi.

In particolare la Corte di Appello di Catanzaro liquida l’indennizzo nella misura di 22.000,00 Euro, tenendo conto sia della durata della custodia cautelare ingiustamente patita e delle ulteriori conseguenze negative connesse all’ingiusta carcerazione sofferta. La determinazione consegue ad una valutazione caratterizzata da logicità ed adeguata motivazione perchè l’applicazione del criterio aritmetico determina il quantum dell’indennizzo in una somma leggermente inferiore (Euro 21486,00) a quella liquidata dalla Corte territoriale, tenuto conto che, in base ai criteri sanciti da questa Corte, un giorno di detenzione carceraria equivale ad Euro 235,83 ed un giorno di detenzione domiciliare alla metà di tale somma. Nel caso di specie inoltre l’ordinanza impugnata ha adeguatamente motivato in ordine ai parametri utilizzati, che l’hanno determinata a liquidare una somma di poco superiore a quella determinata secondo il parametro aritmetico nella sua massima estensione, tenendo conto degli ulteriori danni conseguenti alla detenzione, in quanto il danno economico era privo di riscontro e i sintomi ansioso – depressivi di cui alle relazioni acquisite non erano ricollegabili con certezza alla sofferta detenzione. Il criterio aritmetico deve essere infatti tenuto presente quanto meno come dato di partenza della valutazione indennitaria, dovendo il giudice,allorquando intenda discostarsi sensibilmente dalla misura dell’indennizzo in tal modo determinabile,fornire adeguata motivazione. Nella fattispecie di cui è processo l’operazione di calcolo è stata eseguita con idonea ed adeguata motivazione in applicazione dei principi enunciati da questa Corte, in quanto l’ordinanza impugnata ha esplicitato i motivi che l’hanno portata a liquidare una somma di poco superiore al criterio aritmetico nella sua massima estensione ed ha adeguatamente motivato in relazione alla mancata applicazione di coefficienti di aumento facendo specifico riferimento agli atti del procedimento. Anche il secondo motivo di ricorso relativo alla mancata condanna dell’amministrazione convenuta al pagamento delle spese di lite non è fondato. Il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è infatti a contraddittorio necessario, in quanto si instaura con la notifica della domanda, a cura della cancelleria,al ministero dell’economia, ma non a carattere contenzioso necessario,poichè l’amministrazione intimata può non costituirsi o costituirsi aderendo alla richiesta del privato, ovvero rimettersi al giudice. Ne consegue che in questi ultimi casi,non essendovi contrasto di interessi da dirimere, non vi è soccombenza dell’amministrazione e non può essere pronunciata la sua condanna alla rifusione delle spese. Qualora, invece, l’amministrazione si costituisca, svolgendo una qualsiasi eccezione diretta a paralizzare o ridurre la pretesa dell’istante e veda rigettate le sue deduzioni, il contraddittorio si connota del carattere contenzioso e il giudice deve porre le spese a carico dell’amministrazione soccombente o, se ne sussistono le condizioni, dichiararle parzialmente o totalmente compensate (cfr., Cass. Sezioni Unite, Sent. n. 34559 del 2002).

Pertanto nell’ordinanza impugnata correttamente sono state compensate tra le parti le spese di giudizio, dal momento che l’amministrazione non ha sollevato alcuna eccezione diretta a paralizzare il procedimento e non si è opposta all’accoglimento della domanda secondo equità.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Si ritiene di compensare le spese tra le parti del presente giudizio in considerazione della genericità della memoria dell’Avvocatura generale dello Stato, che si limita sostanzialmente a riportare la giurisprudenza di questa Corte.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Compensa le spese tra le parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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