Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza n.22769/2009 Fisco, tributi, compensi fuori busta, onere della prova, civile (2009-11-20)

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

SENTENZA

Svolgimento del processo

[…] impugnava l’avviso di accertamento ai fini dell’IRPEF per il periodo d’imposta 1991 emesso, in relazione a compensi "fuori busta" corrispostigli quell’anno come lavoratore dipendente dalla […], a seguito della verifica eseguita presso quest’ultima dalla Guardia di finanza di Como.

La Commissione tributaria provinciale di Imperia accoglieva il ricorso.

Rilevava che, evidenziatosi, in sede di verifica presso la società un rilevante ammanco, erano state raccolte le dichiarazioni prima dell’impiegata […] e quindi, a distanza di mesi, dei responsabile amministrativo della […], dalle quali era emerso che parte delle some mancanti erano state corrisposte, come compensi fuori busta, ai dipendenti di vari cantieri, fra cui quello di […]. I documenti extracontabili esibiti, posti a fondamento dell’accertamento, di univoca provenienza da persone addette e preposte all’amministrazione della società indagata, venivano ritenuti, infatti, "costituire una semplice presunzione che, in mancanza di riscontri più diretti facenti capo al contribuente, non poteva assumere il valore di prova dell’effettiva riscossione di compensi fuori busta e quindi dell’evasione contestata".

La Commissione tributaria regionale di Genova, adita in appello dall’ufficio finanziario, rigettava il gravame. Riteneva infatti fosse assente qualsiasi prova, non essendo stato prodotto "il processo verbale, con eventuali allegati oltre alle dichiarazioni degli interrogati… anche unitamente ad uno stralcio o una fotocopia, sia pure incompleta, del brogliaccio", che avrebbero consentito al contribuente una più adeguata presa di conoscenza, ed eventualmente una difesa di merito, e quindi ad esso giudice d’appello "la possibilità di esame di un materiale probatorio più o meno esaustivo sul quale esprimere il proprio convincimento".

L’ufficio finanziario si era invece limitato "ad una labiale asserzione dei fatti, mai allegando supporti documentali". Attese altresì le doglianze generiche dell’appellante circa il "negato rilievo probatorio della documentazione extra-contabile, mai messa peraltro a disposizione" del giudice nè in primo grado che in appello, "gli elementi, probatoria sia pur presuntivi, vengono a mancare di quel carattere di gravità, univocità e rilevanza che debbono contraddistinguerli per addivenire a livello di prova".

Avverso la decisione propongono ricorso per cassazione i Ministero delle finanze e l’Agenzia delle entrate sulla base di un motivo.

Il contribuente non ha svolto attività difensiva nella presente sede.

All’udienza del 7 dicembre 2007 veniva disposta la riunione al ricorso, originariamente rubricato al r.g.n. 7635 del 2001, e già fissato in Camera di consiglio – a seguito della quale era disposta ex art. 291 cod. proc. civ., la rinnovazione della notifica, ritualmente eseguita agli eredi del contribuente, deceduto nel […] -, dell’atto relativo alla rinnovazione della notifica, che per un disguido, al momento del deposito, era stato iscritto a ruolo con il numero di r.g. 23017 del 2006, come se si trattasse di un nuovo ricorso.

Motivi della decisione

I ricorsi, del tutto identici, essendo l’iscrizione a ruolo del "secondo" frutto di errore, vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione.

Con l’unico motivo l’amministrazione ricorrente, denunciando "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, commi 3 e 4, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3", censura la sentenza sostenendo, per un verso, che il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39, conferirebbero valore di prova, in relazione alla rettifica del reddito, anche a contabilità informale ed occulta, sicchè il rinvenimento di una seconda contabilità informale costituirebbe indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non registrati nella contabilità ufficiale, valido per sorreggere l’accertamento induttivo ai fini delle imposte dirette e dell’IVA ;

per altro verso, per avere la CTR omesso di chiedere, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 3, il deposito dei documenti emergenti dagli allegati all’avviso di accertamento, ivi compreso il verbale di sommarie informazioni a carico di […] che richiamava tutta una serie di documenti comprovanti la fondatezza dell’accertamento.

Il ricorso è infondato.

Quanto all’asserita violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, invero, il giudice d’appello non ha affatto negato l’utilizzabilità degli atti indicati (processo verbale con eventuali allegati, dichiarazioni degli interrogati R. e dell’amministratore della società, fotocopia sia pure incompleta del brogliaccio) – dai quali emergerebbe la "seconda contabilità informale" -, atti che secondo l’amministrazione conterrebbero la prova della maggiore pretesa avanzata con l’atto impositivo – da parte del giudice d’appello, al fine dichiarato di formare, in base agli stessi, il proprio convincimento. Ma si è, piuttosto, limitato a riscontrare l’omessa produzione di tale seconda contabilità informale, definendo di conseguenza del tatto privi di qualsiasi supporto probatorio gli elementi indiziari posti dall’ufficio a fondamento della sua pretesa.

La mancata esibizione di idonea documentazione è stata inequivocabilmente avvalorata dall’amministrazione con la censura concernente la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, commi 3 e 4, ovverosia per il mancato esercizio di poteri istruttori ufficiosi da parte del giudice di secondo grado.

In proposito questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui, a fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove in forza dei poteri istruttori attribuitiglidal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, perchè tali poteri sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell’onere probatorio principale e vanno esercitati, al fine di dare attuazione al principio costituzionale della parità delle parti nel processo, soltanto per sopperire all’impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra parte (Cass. n. 2847 del 2006, n. 10267 del 2005, n. 4040 e n. 8439 del 2004, ex pluribus).

Alla stregua di tale principio è corretta la sentenza impugnata, la quale ha ritenuto che l’appello andava rigettato in assenza di qualsiasi prova, attese altresì le doglianze generiche in ordine al negato rilievo probatorio della documentazione extra contabile, mai messa peraltro a disposizione della commissione di primo e secondo grado, di talchè gli elementi probatori, ancorchè presuntivi, "venivano a mancare di quel carattere di gravità, univocità e rilevanza che debbono contraddistinguerli per addivenire a livello di prova".

In base a queste considerazioni il ricorso va rigettato.

Non occorre provvedere in merito alle spese di giudizio, atteso che la parte vittoriosa non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2009.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 28 OTTOBRE 2009

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