Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-03-2011, n. 5719 Contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 7.3.2006, il Tribunale di Ascoli Piceno aveva respinto l’opposizione proposta da V.E. avverso l’ordinanza ingiunzione con cui l’INPS aveva inflitto ad esso opponente la sanzione pecuniaria di L. 1.640.000 perchè, quale titolare di impresa ortofrutticola, in violazione della L. n. 389 del 1989, art. 1, per il periodo compreso tra il (OMISSIS), aveva assoggettato a contribuzione, nei confronti di dipendenti assunti con contratto a tempo determinato, retribuzioni inferiori a quelle previste dal c.c.n.l. stipulati dalle organizzazioni sindacali di categoria più rappresentative su base nazionale, pure avendo fatto valere il diritto al beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali di cui al D.P.R. n. 218 del 1978 e ss. modifiche.

La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 21.1.2009, notificata il 15.9.2009, respingeva il gravame del V..

Sosteneva, in sintesi, che nessuno sgravio poteva concedersi per le imprese operanti nella provincia di Ascoli Piceno per periodi successivi al 31.12.1990 e che a nulla rilevava che la L. n. 510 del 1996, art. 5, avesse dettato una particolare disciplina in materia di contratti di riallineamento retributivo e di regolarizzazione retributiva e contributiva per le imprese operanti nei territori di cui alle zone di cui alla L. n. 1203 del 1957, art. 92, posto che la decisione della Commissione CEE 88/318 del 2 marzo 1988 aveva rilevato che per alcune province, quali quella di Ascoli Piceno, nelle quali erano previsti gli aiuti di cui alla L. n. 218 del 1978, non erano più sussistenti le condizioni per l’applicazione di detto art. 92. Il beneficio a suo tempo invocato avrebbe potuto essere richiesto solo per il periodo compreso tra il 19 ed il 31.12.1990.

Rilevava, poi, che, ai fini della fiscalizzazione degli oneri sociali di cui alla L. n. 389 del 1989, il D.L. n. 129 del 1990, convertito in L. n. 210 del 1990 ed il D.L. n. 510 del 1996, convertito in L. n. 608 del 1996, avevano consentito la sospensione della condizione di corresponsione dell’ammontare retributivo di cui al D.L. n. 338 del 1989, art. 6, comma 9, lett. a), b) e c), convertito in L. n. 389 del 1989; che, però, ai fini della detta normativa, l’opponente avrebbe dovuto allegare e provare di avere recepito l’accordo provinciale di allineamento retributivo, di avere rispettato le forme e i tempi prestabiliti dalle disposizioni in esame e di avere stipulato entro dodici mesi dalla entrata in vigore della L. n. 448 del 1998, gli accordi territoriali ed aziendali di recepimento; di avere raggiunto e mantenuto il detto riallineamento. Nella specie – osservava la corte territoriale – il contratto aziendale non era tale da provare l’avvenuto riallineamento in riferimento al livello del lavoratore a tempo determinato e che non era documentato il deposito del contratto aziendale nei termini di cui alla D.L. n. 129 del 1990, art. 2 bis cpv.

Propone ricorso per cassazione il V., affidando l’impugnazione a due motivi.

L’INPS è rimasto intimato ed ha solo prodotto procura in calce al ricorso notificato.
Motivi della decisione

Con il primo dei motivi di ricorso, il V. deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 218 del 1978, art. 1 del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1, comma 1, 6, comma 11, convertito, con modificazioni, in L. 7 dicembre 1989, n. 389; D.L. n. 258 del 1988, art. 2, comma 3,convertito in L. 5 agosto 1988, n. 337, ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Assume che il D.L. n. 338 del 1989, art. 6, comma 11, convertito in L. n. 389 del 1989, aveva previsto la sospensione della condizione di cui alla lett. c) del comma 9, consentendo la derogabilità del dettato del D.L. n. 338 del 1989, art. 1, comma 1, a favore delle imprese operanti nei territori indicati nel t.u – all’art. 1 – delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, approvato con D.P.R. n. 218 del 1978. Tale conclusione non era contraddetta dal dettato del D.L. n. 258 del 1988, art. 2, comma 3 convertito in L. n. 377 del 1988, che prevede che nelle province di Ascoli Piceno e Roma fino al 31.12.1990 sono concesse le agevolazioni finanziarie, contributive e fiscali nelle misure previste dal D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, artt. 59 e ss., in quanto ciò non implica l’esclusione dell’area territoriale de qua da ogni altra agevolazione del testo unico e dal novero delle aree contemplate al suo art. 1; peraltro, l’esonero dal minimale di cui al D.L. n. 388 del 1989, art. 1, non rientra tra gli sgravi di cui al D.P.R. 218 del 1978 art. 59. Pone, a conclusione della parte argomentativa dell’esposizione del motivo, quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

Con il secondo motivo lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso (rispetto degli adempimenti prescritti dalla normativa sul riallineamento) decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Rileva che, per quanto attiene al recupero contributivo per il quale è causa, relativo al periodo compreso tra il 1.9 ed il 31.12.1990, la sentenza ha dichiarato che non si era verificata la condizione per la deroga del minimale contributivo, consistente nel recepimento, da parte dell’azienda, con accordo aziendale, dei programmi di riallineamento fissati dagli appositi contratti provinciali, in particolare affermando che le retribuzioni orarie concordate in sede aziendale erano sensibilmente inferiori a quelle pattuite a livello provinciale. Assume, esso ricorrente, di contro, che le retribuzioni orarie stabilite dai contratti provinciali, prese in considerazione dalla Corte territoriale sono comprensive di maggiorazioni, laddove, per quanto riguarda i contratti aziendali, l’importo retributivo di partenza è costituito solo dalla paga base e contingenza, e che, in relazione alla sussistenza di tali divergenza dei parametri di comparazione, la sentenza non spiega per quale ragione debbano apprezzarsi come diversi gli importi di partenza come stabiliti, rispettivamente, dal contratto provinciale e da quello aziendale, omettendo anche di procedere a rendere tali valori omogenei attraverso il calcolo delle maggiorazioni laddove non comprese (ovvero sugli importi riportati dal contratto aziendale), con ciò incorrendo in un vizio di motivazione, sia sotto il profilo della carenza, sia sotto quello della contraddittorietà.

Il primo dei motivi deve essere disatteso, osservandosi, quanto al vizio delineato, che la tesi riproposta con lo stesso mira a sostenere che la sentenza ha violato e falsamente applicato la normativa di cui al D.L. n. 338 del 1989 e che, in particolare, la disposta derogabilità del dettato del D.L. citato, art. 1, comma, che, "al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e sulla base di un programma graduale di riallineamento", è stabilita a favore delle "imprese operanti nei territori indicati nel t.u. delle leggi sugli interventi del Mezzogiorno approvato con D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 e ss. modifiche ed integrazioni, art. 1 e nel D.P.R. 9 novembre 1976, n. 902, art. 7 e ss. modifiche ed integrazioni" non sia esclusa per la provincia di Ascoli Piceno, nella quale ricade l’azienda del V.. La tesi della estensione delle ulteriori agevolazioni fiscali non sarebbe contraddetta, a dire del ricorrente, dal disposto del D.L. 11 luglio 1988, n. 258, art. 2, comma 3, che riguarda, per quanto attiene la restrizione dell’ambito temporale di applicazione, le misure previste dal testo unico delle leggi sugli interventi del Mezzogiorno approvato con D.P.R. n. 218 del 1978, artt. 59, 63, 69, 70, 101, 102 e 105 e non quelle sulla fiscalizzazione degli oneri sociali.

Il D.L. 11 luglio 1988, n. 258, art. 2 comma 3 recante "modifiche alla L. 1 marzo n. 64, in attuazione della decisione della Commissione CEE/88/318 del 2 marzo 1988", convertito, con modificazioni, con L. 5 agosto 19888 n. 337, ha stabilito che "nelle province di Ascoli Piceno e Roma, fino al 31.12.1990 (…), sono concesse le agevolazioni finanziarie contributive e fiscali nelle misure previste dagli artt. 59, 63, 69, 70, 101, 102 e 105 del testo unico (delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, approvato con D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218) di cui al comma secondo, fermi restando i nuovi criteri e procedure fissati in materia dai provvedimenti di applicazione della L. 1 marzo 1986, n. 64.

Con riguardo alla disposizione della L. 1 ottobre 1996 n. 510, di conversione del D.L. 1 ottobre 1996, n. 608, è stato osservato da questa Corte che il senso della disposizione di cui alla L. n. 258 del 1988, art. 2, comma 3, non può che essere quello di restringere territorialmente i benefici indicati nelle citate norme e di escluderne definitivamente, dopo il 31.12.1990, le province di Ascoli Piceno e Roma e che a nulla rileva, pertanto, che la L. n. 608 del 1996 citata, art. 5, abbia dettato una particolare disciplina in materia di contratti di riallineamento retributivo e di regolarizzazione retributiva e contributiva per le imprese operanti nei territori di cui alle zone di cui all’art. 92, paragrafo 3 lett. A ("…le regioni ove il tenore di cita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di disoccupazione) della L. 14 ottobre 1057, n. 1203, di ratifica ed esecuzione del Trattato istitutivo della Comunità economica europea, La citata decisione della Commissione CEE/88/318 ha, invero, rilevato che in talune province (e tra esse quella di Ascoli Piceno), nelle quali erano previsti gli aiuti di cui alla L. n. 64 del 1986 e al D.P.R. n. 218 del 1978, ai sensi dell’art. 92 cit., secondo i dati per il 1985, non erano più sussistenti le condizioni per l’applicazione di detto art. 92 e che il legislatore nazionale, per quei territori, ha conseguentemente stabilito, con il citato art. 2, la data finale del 31.12.1990 per la spettanza dei benefici ivi indicati (in particolare, in tali termini, cfr. Cass. 9.7.2004 n. 12787).

Correttamente, pertanto, risulta rigettata la domanda con riguardo al periodo successivo al 31.12.1990.

Col secondo motivo, denunciando un vizio di motivazione, il V. sostiene che la dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto al beneficio e, tra essi, l’avere dato concreta attuazione "nel tempo" al contratto di riallineamento, circostanza contestata dall’I.N.P.S., era stata fornita dall’interessato, non avendo il giudicante correttamente valutato che gli elementi posti a fondamento del giudizio di comparazione tra contratto provinciale e aziendale fossero disomogenei.

Rileva, peraltro, la Corte che, quand’anche si fosse pervenuti a diversa soluzione in ordine alla questione della estensione o meno alla provincia di Ascoli Piceno dei benefici riguardanti la fiscalizzazione degli oneri sociali, la relativa possibilità sarebbe connessa in ogni caso all’accertamento positivo della sussistenza, anche per il periodo in questione (1.9.1990- 31.12.1990), delle condizioni per attuare la deroga prevista dal D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 6, comma 11, convenuto in L. n. 389 del 1989, deroga ribadita dal D.L. n. 519 del 1996, art. 5, comma 2, convertito in L. n. 608 del 1996, che ha riconosciuto i diritto alla sanatoria per le pendenze contributive e per sgravi e fiscalizzazione degli oneri sociali.

Deve osservarsi, tuttavia, che, come osservato nella sentenza emessa in sede di gravame, l’originaria opponente avrebbe dovuto allegare e provare – a termini del D.L. n. 129 del 1990 come convertito nella L. n. 210 del 1990, e, specificamente, del D.L. n. 510 del 1996 convertito nella L. n. 608 del 1996 – vertendosi nell’ipotesi della sanatoria per i periodi pregressi previsti dall’art. 5, comma 3, di quest’ultimo D.L. -; 1) di avere recepito l’accordo provinciale di riallineamento retributivo concluso fra le associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali locali dei lavoratori, aderenti o comunque collegate dal punto di vista organizzativo con le associazioni ed organizzazioni nazionali di categoria firmatarie del c.c.n.l. di riferimento; 2) di avere, altresì, rispettato le forme ed i tempi prestabilite dalle cennate disposizioni e di avere quindi programmato il graduale riallineamento dei trattamenti economici dei lavoratori ai livelli previsti nei corrispondenti c.c.n.l.; 3) di avere comunque stipulato, entro dodici mesi dall’entrata in vigore della L. n. 448 del 1998, gli accordi territoriali e quelli aziendali di recepimento e di averli quindi depositati, entro trenta giorni dalla conclusione, presso i competenti UPLMO, e la sedi provinciali INPS; 4) di avere, infine, raggiunto e mantenuto i riallineamento ai livelli retributivi previsti nei corrispondenti CCNL. Orbene, ha rilevato la corte territoriale che,la prescindere dalla considerazione che la documentazione versata in atti non ha soddisfatto l’onere probatorio di cui l’opponente era gravato, in quanto il contratto aziendale del 14.9.1989, si limitava ad evocare il Contratto Collettivo Provinciale di settore stipulato il 19.6.1989, ma non richiamava – nè tanto meno recepiva e rispettava – il successivo contratto aggiuntivo provinciale del 18.7 seguente, posto che le retribuzioni orarie concordate in sede aziendale erano sensibilmente inferiori rispetto a quelle pattuite a livello provinciale, e che, comunque, non era documentato il deposito del contratto aziendale in argomento presso gli uffici e nei termini indicati dal D.L. 129 del 1990, art. 2 bis cpv., convertito nella L. n. 210 del 1990.

In difetto di tali prove documentali relative al recepimento in sede aziendale dei contratti collettivi provinciali di settore, richieste per l’operatività della sanatoria invocata rispetto agli illeciti sanzionati con l’ordinanza ingiunzione opposta, era stato ritenuto superfluo ispezionare i documenti prodotti per la verifica dell’applicazione e del mantenimento del riallineamento ai livelli retributivi previsti nel c.c.n.l. nazionali, atteso che, anche ove comprovate, tali circostanze non sarebbero state in ogni caso sufficienti a realizzare la sanatoria medesima alla stregua del compendio normativo richiamato.

Rispetto a tali argomenti fondanti il rigetto del gravame, costituenti autonome statuizione e ratio decidendi, nulla ha osservato il ricorrente Al riguardo deve, invero, richiamarsi quanto in più pronunzie affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, enunciando il principio secondo il quale, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, "in toto" o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (cfr., in tal senso, Cass. sez. lav., 18.5.2006 n. 11660; Cass. 8.8.2005 n. 16602; Cass. 8.2.2006 n. 2811;

Cass. 22.2.2006 n. 3881; Cass. 20.4.2006 n. 9233; Cass. 8.5.2007 n. 10374; Cass. sez. 14.6.2007 n. 13906, conf. a Cass., sez. un. 16602/2005).

Orbene, nel caso esaminato, come sopra osservato, non risulta che il ricorrente abbia proposto specifica impugnazione avverso la statuizione autonoma e distinta, con la quale la corte territoriale ha affermato che non era stato comunque documentato il deposito del contratto aziendale presso gli uffici e nei termini indicati dal D.L. n. 129 del 1990, art. 2 bis cpv convertito nella L. n. 210 del 1990.

In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto deve essere respinto, laddove le spese dei presente giudizio, limitate unicamente a quelle relative alla discussione in udienza, in applicazione della regola della soccombenza, cedono a carico del ricorrente nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.

La Corte così provvede:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del giudizio, liquidate in Euro 10,00 per esborsi, Euro 1200,00 per onorario, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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