Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-11-2010) 04-02-2011, n. 4169

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Genova ricorre per Cassazione avverso la sentenza 16.2.2010 con la quale il Tribunale di Genova condannava, a seguito di giudizio abbreviato, K.K. alla pena di anni due e mesi due di reclusione e 600,00 Euro di multa per la violazione dell’art. 628 c.p., art. 61 c.p., n. 5, e art. 11 bis c.p.; L. n. 110 del 1975, art. 4, art. 110 c.p., art. 61 c.p., nn. 5 e 11 bis; art. 628 c.p., art. 61 c.p., n. 5.

Fatti commessi in (OMISSIS) con la recidiva specifica plurireiterata e infraquinquiennale.

L’ufficio del Pubblico Ministero richiede l’annullamento della decisione impugnata lamentando vizi di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e).

In particolare l’ufficio ricorrente censura di contraddittorietà la decisione del giudice di accordare all’imputato le attenuanti generiche valutate in misura equivalente alle circostanze aggravanti, perchè il giudicante ha affermato di ritenere di così operare al fine di meglio adeguare la pena alla gravità del fatto, riconoscendo altresì pregio alla dichiarazioni confessorie rese peraltro in relazione all’episodio di rapina meno grave. La parte ricorrente lamenta quindi che il giudicante, accordando le attenuanti generiche, non ha indicato elementi positivi della condotta del prevenuto idonei a giustificare la scelta. Il motivo è manifestamente infondato.

Il Tribunale ha ritenuto di accordare le attenuanti generiche sulla base di due diverse giustificazioni: 1) atteggiamento parzialmente collaborativo dell’imputato; 2) esigenza di adeguare la pena da infliggersi nel caso concreto alla effettiva gravità dei reati contestati. La seconda delle giustificazioni indicate è illegittima, perchè il giudice può accordare le attenuanti generiche esclusivamente sulla base dei parametri indicati dall’art. 133 c.p., fra i quali non rientra quella di pervenire ad un migliore adeguamento della pena. Pertanto, sotto questo profilo la censura mossa dal Procuratore generale appare corretta. Non è invece accoglibile la censura in relazione al primo motivo posto a base della decisione in esame. La valutazione dell’atteggiamento processuale dell’imputato rientra fra i parametri previsti dall’art. 133 c.p., e può essere legittimamente preso in considerazione ai fini della concedibilità delle attenuanti generiche.

Sotto questo diverso profilo, la decisione appare del tutto corretta, non è contraddittoria con altra parte della decisione, ed è espressione di una valutazione di merito, come tale non sindacabile in questa sede, posto che lo stesso ufficio ricorrente non contesta la esistenza del fatto storico (parziale ammissione degli addebiti) assunto dal giudicante per giustificare la propria decisione.

Con un secondo motivo l’Ufficio ricorrente lamenta che il giudice riconoscendo la continuazione fra tutti i reati ascritti, ha aumentato la pena in misura inferiore a quella stabilita dall’art. 81 cpv. c.p., comma 4. Sul punto il Tribunale ha giustificato la propria scelta, rilevando che l’imputato non risultava essere già stato "ritenuto recidivo reiterato con precedenti sentenze definitive".

Alla opzione interpretativa seguita dal Tribunale che ha richiamato a sostegno taluni precedenti del giudice di legittimità, il ricorrente oppone la considerazione per la quale "…tutta la normativa introdotta dalla L. n. 251 del 2005, in materia di recidiva è caratterizzata, specie per quanto attiene alla fase esecutiva ed a quella del processo di sorveglianza, ad una immediata applicazione con riferimento alla sentenza da eseguire od in relazione alla quale potrebbero applicarsi i benefici previsti dall’ordinamento penitenziario, senza alcun riferimento, esplicito o implicito, ad una precedente sentenza in cui sia stata applicata la recidiva ex art. 99 c.p.. E ciò non ostante che gli effetti negati per il condannato siano ben più gravi di quelli derivanti dall’applicazione dell’art. 81 c.p., comma 4". L’argomento adoperato dal ricorrente a sostegno della propria tesi con la quale giunge a definire "palesemente errata" la linea giurisprudenziale segnata da ultimo dalla decisione 31735/2010 della IA sez. Pen. della Corte di Cassazione, appare del tutto eccentrico rispetto al vero tema in questione che è la corretta interpretazione dell’art. 31 c.p., comma 4, secondo il suo tenore letterale, così come stabilisce la prima parte dell’art. 12 delle preleggi. Sotto questo punto di vista vale la pena di riportare il ragionamento formulato nella citata decisione e che questo collegio ritiene di condividere: "…L’interpretazione letterale dell’art. 81 c.p., comma 4, e la consecutio temporum delle voci verbali ivi impiegate ("reati…commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99 c.p., comma 4") consente di riferire la norma impugnata al caso in cui l’imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una precedente sentenza definitiva e non, come affermato nella sentenza impugnata, all’ipotesi in cui l’imputato venga dichiarato recidivo reiterato in rapporto agli stessi reati uniti dal vincolo della continuazione, del cui trattamento sanzionatorio si discute. Una conclusione del genere è avvalorata dall’interpretazione logico-sistematica della nuova disciplina introdotta dalla L n. 251 del 2005 che ha modificato gli artt. 99, 81 e 69 c.p.. Qualora, infatti, si accedesse all’interpretazione prospettata nell’impugnata sentenza la recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, verrebbe ad operare due volte, sia pure sotto profili diversi: a) ai fini della limitazione del giudizio di bilanciamento a mente dell’art. 69 c.p., comma 4: b) ai fini dell’aumento di pena per la continuazione a norma dell’art. 81 c.p., comma 4. Tale soluzione sarebbe lesiva dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3) e si porrebbe in contrasto con l’art. 25 Cost., comma 2, che sancisce un legame indissolubile tra la sanzione penale e la commissione di un "fatto", e con l’art. 27 Cost., commi 1 e 3, che esige l’individualizzazione della pena, giacchè solo mediante l’adeguamento della risposta punitiva alle caratteristiche del singolo caso, è possibile rendere personale la responsabilità penale e far sì che la pena assolva ad una funzione rieducativa (Corte Cost ord. n. 193 del 2008 e n. 171 del 2009). Ne consegue che il nuovo, rigoroso assetto sanzionatorio richiede altrettanto rigore interpretativo da parte del giudice nell’analisi di una disciplina al fine di preservarne l’intrinseca razionalità e la rispondenza ai precetti costituzionali. Sulla base di quanto sinora esposto è possibile affermare che il limite di aumento minimo per la continuazione, pari ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave ( art. 81 c.p., comma 4 novellato dalla L. n. 251 del 2005, art. 5) trova applicazione nei soli casi in cui l’imputato sia stato ritenuto recidivo con una sentenza definitiva emessa antecedentemente alla data di commissione dei reati per i quali si procede (cfr. in tal senso Cass., Sez. 1^, 2 luglio 2009, n. 32625, rv. 244843)…".

La interpretazione del dettato dell’art. 81 c.p, comma 4, come riportata nella sentenza citata appare condivisibile in quanto poggia sul dato letterale della norma ed è conforme ad un indirizzo ormai affermato in diverse decisioni v. Cass. Sez. 1^ 32625/2009; Cass. Sez. 1^ 17928/2010 che si pongono in un rapporto di coerenza con la sentenza 193/2009 della Corte Costituzionale. A fronte delle argomentazioni giuridiche poste a base della decisione impugnata, fondate proprio sulla interpretazione del dato testuale dell’art. 81 c.p., la parte ricorrente non ha indicato argomenti efficaci ed idonei a far modificare la interpretazione della suddetta norma, essendosi limitata ad esaminare altri e diversi aspetti dell’applicazione della disciplina introdotta dalla L. n. 251 del 2005, che peraltro nulla risolvono per una lettura dell’art. 81 c.p., comma 4, che sia diversa da quella del tenore letterale.

Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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