Cass. civ. Sez. III, Sent., 10-03-2011, n. 5700 Societa’ di intermediazione mobiliare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Zeus Sim s.p.a., società di intermediazione immobiliare autorizzata – nel vigore della L. n. 1 del 1991 – a svolgere l’attività di consulenza in materia di valori mobiliari, ha presentato – in data 13 febbraio 1996 – alla Consob istanza di estensione della autorizzazione per essere – in particolare – autorizzata a esercitare anche le attività di cui alle lett. c) (gestione di patrimoni), d) (raccolta di ordini di acquisto o di vendita di valori mobiliari) e f) (sollecitazione del pubblico risparmio) ai sensi della L. n. 1 del 1991, art. 1, comma 2.

Non essendo intervenuta la richiesta autorizzazione, con atto 20 marzo 1997 la Zeus Sim ha convenuto in giudizio innanzi al tribunale di Firenze la Consob chiedendo che, dichiarato illegittimo il comportamento tenuto dalla convenuta, quest’ultima fosse condannata a risarcire i danni subiti consequenzialmente da essa attrice, nella misura ritenuta di giustizia, eventualmente, mediante condanna generica.

Costituitasi in giudizio la Consob ha resistito alle avverse domande chiedendone il rigetto, atteso, da una parte, che non era configurabile una responsabilità ex art. 2043 c.c. della pubblica amministrazione, per avere essa concludente svolto con puntualità e precisione l’esame dei presupposti vantanti dalla Zeus Sim per la concessione della autorizzazione richiesta, dall’altra, che l’inerzia della controparte nell’assumere le iniziative giudiziarie consentite avverso gli atti (o omissioni) della Consob ritenute illegittime non poteva essere superata con l’attribuzione di responsabilità risarcitorie a carico della Commissione, da ultimo e che mancava ogni nesso causale tra i danni lamentati e l’attività istituzionale di essa concludente e che – comunque – non esisteva prova del danno reclamato.

Svoltasi l’istruttoria del caso l’adito tribunale con sentenza 11 gennaio 2002 pur dichiarando la illegittimità del comportamento della Consob ne ha escluso la responsabilità risarcitoria, con rigetto delle domande attrici, compensate le spese di lite.

Gravata tale pronunzia in via principale dalla Zeus Sim s.p.a. e, in via incidentale, dalla Commissione Nazionale per la Società e la Borsa, la Corte di appello di Firenze, con sentenza 1 agosto 2005 ha rigettato l’appello principale, con condanna di parte Zeus Sim al pagamento delle spese del grado.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia ha proposto ricorso la Zeus Sim s.p.a., affidato a 6 motivi e illustrato da memoria.

Resiste, con controricorso la Commissione Nazionale per la Società e la Borsa.
Motivi della decisione

1. La richiesta formulata dalla Zeus per la autorizzazione all’esercizio delle attività di intermediazione di cui alla L. n. 1 del 1991, art. 1, lett. c, d e f, – hanno evidenziato i giudici di appello – pervenne alla Consob in data 13 febbraio 1996, ma poichè la stessa era carente del decreto del tribunale di Firenze, di omologazione della deliberazione dell’assemblea straordinaria di modifica dell’oggetto sociale, richiesto dall’art. 8 del regolamento Consob n. 5386 del 1991, ai sensi dell’art. 4, comma 6, lett. C di detto regolamento, il termine di 90 giorni previsto dalla L. n. 1 del 1991, art. 9, comma 11, per l’adozione del provvedimento richiesto ha iniziato a decorrere dalla data di ricevimento del decreto di omologazione del Tribunale, e cioè dal 1 marzo 1996.

Quindi, hanno altresì evidenziato i giudici di secondo grado:

– in data 11 marzo 1996 la Commissione ha richiesto un parere alla Banca d’Italia, e la comunicazione della Consob alla Zeus in data 20 maggio 1996 di essere in attesa, dell’indicato parere ha determinato, ai sensi dell’art. 9, comma 11, della legge indicata, una proroga di 30 giorni del termine di durata del procedimento istruttorie, a far data dalla ricezione del parere, che è stato reso in data 24 giugno 1996, con conferma dei dubbi sul rispetto dei requisiti patrimoniali minimi;

– in data 1 luglio 1996 la- Consob ha comunicato alla Zeus il rigetto dell’istanza.

Deriva da quanto precede – hanno ancora precisato i giudici di appello – che:

– il provvedimento, da ritenere legittimo perchè mai impugnato, ma seguito da altra istanza del 24 luglio 1996, (che nessuna rilevanza può avere ai fini della presente controversia) è stato reso nei termini di legge, che vanno visti nei confronti della Consob e non della Banca d’Italia, come erroneamente ritenuto dal primo giudice;

– con l’ulteriore conseguenza che nessuna responsabilità può essere attribuita alla Consob per l’emissione di un provvedimento negativo, non impugnato, nei termini di legge, e non potendo ottenersi attraverso una domanda di risarcimento danni per comportamento legittimo un risultato analogo a quello che si sarebbe potuto ottenere con la rituale impugnazione del provvedimento ritenuto illegittimo.

Ciò comporta – hanno concluso quei giudici – il rigetto dell’appello, non senza rilevare ulteriormente la carenza di nesso di causalità fra il comportamento della Consob ed il danno pretesamente subito dall’appellante, per la mancata utilizzazione del suo patrimonio informatico e dell’avviamento, ove si consideri che ciò dipende esclusivamente dalla decisione di quest’ultima di porsi in liquidazione, non correlata al comportamento della Consob, poichè la Zeus ben avrebbe potuto continuare a svolgere l’attività di consulenza per la quale era attrezzata e al cui scopo erano stati predisposti patrimonio informatico e avviamento, liberalizzata dallo stesso provvedimento in virtù del quale era stata cancellata dall’albo delle SIM. 2. La ricorrente censura la sentenza impugnata de-nunziando, con il primo motivo, violazione della L. 2 gennaio 1991, n. 1 e, in particolare degli artt. 3 e 9 nonchè del regolamento Consob 2 luglio 1991 n. 5386 e del regolamento della Banca d’Italia 2 luglio 1991 e contraddittoria motivazione su punto essenziale della controversia, atteso, da una parte, che alla data del 1 luglio 1996 allorchè cioè la Consob ha comunicato alla Zeus il rigetto dell’istanza i termini per provvedere erano già decorsi, considerato che non doveva essere sollecitata alcuna opinione della Banca d’Italia, tenuto presente che l’autorizzazione della Consob non è in alcun modo condizionata dalla legge al parere della Banca d’Italia che non ha competenza nella fase della autorizzazione all’intermediazione mobiliare, dall’altra, tenuta presente l’errore della corte di merito nell’affermare che il provvedimento adottato dalla Consob è da ritenere legittimo, perchè mai impugnato, atteso sia che un provvedimento non risulta mai essere stato emanato, sia che esso non potrebbe essere considerato legittimo per il solo fatto di non essere stato impugnato.

3. Il motivo non può trovare, accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

3.1. Quanto, in primis, alle denunziate violazioni di legge si osserva che:

– la L. n. 1 del 1991, art. 3, comma 1, prevede, espressamente – per quanto rilevante al fine del decidere – che la vigilanza sulle società di intermediazione mobiliare è esercitata dalla CONSOB per quanto riguarda gli obblighi di informazione e correttezza e la regolarità delle negoziazioni di valori mobiliari e dalla Banca d’Italia per quanto riguarda i controlli di stabilità patrimoniale;

– la L. n. 1 del 1991, art. 9, comma 11, dispone, ancora, che fatti salvi i diversi termini previsti dalla presente legge e da altre disposizioni di legge, la CONSOB e la Banca d’Italia devono adottare gli atti che per legge o regolamento sono tenute a rilasciare su istanza degli interessati entro novanta giorni dalla ricezione dell’istanza medesima. Detto termine può essere prorogato per non più di due volte e per un massimo di trenta giorni per ciascuna volta a decorrere dalla data di ricezione dei dati e delle notizie richiesti. Quando gli atti di competenza della CONSOB o della Banca d’Italia sono adottati, previo parere di altre autorità, i termini rimangono sospesi tra la data della richiesta di parere e la data di ricezione dello stesso. Gli atti si intendono rilasciati qualora le relative istanze indirizzate alla CONSOB o alla Banca d’Italia non siano espressamente respinte entro i suindicati termini;

– l’articolo 7, della deliberazione della Commissione nazionale per le società e la borsa 2 luglio 1991, n. 5386 (in Suppl. ordinario alla Gazz. Uff. n. 173, del 25 luglio), recante l’approvazione del regolamento di esecuzione di alcune norme della L. 2 gennaio 1991, n. 1 – applicabile nella specie ratione temporis – prevede, infine, in tema di istruttoria della domanda, che la Consob, ricevuta la domanda, provvede all’accertamento dei requisiti previsti dalla legge per il rilascio delle autorizzazioni richieste e per l’iscrizione all’albo, sulla base: … c) degli ulteriori elementi informativi e della ulteriore documentazione che la Consob ritiene di acquisire dalla società richiedente e e) degli ulteriori elementi conoscitivi che la Consob ritiene di acquisire da altri soggetti, anche esteri (comma 1) e che, definita l’istruttoria, la Consob accoglie o respinge la domanda con provvedimento che è comunicato alla società richiedente (comma 3).

Pacifico il quadro normativo (e regolamentare) sopra delineato è palese che i giudici di merito non sono incorsi nelle violazioni di legge denunziate.

Essendo, infatti, indiscusso che la Consob, ricevuta la domanda, provvede all’accertamento dei requisiti previsti dalla legge per il rilascio delle autorizzazioni richieste e per l’iscrizione all’albo, sulla base tra gli altri, degli ulteriori elementi informativi e della ulteriore documentazione che la Consob ritiene di acquisire dalla società richiedente nonchè degli ulteriori elementi conoscitivi che la Consob ritiene di acquisire da altri soggetti è evidente – in contrasto con gli apodittici assunti di parte ricorrente – che la Consob legittimamente ha sollecitato:

– prima, la stessa società ricorrente a integrare (come del resto richiesto dall’art. 8 del regolamento n. 538 6 del 1991) la propria domanda mediante la produzione del decreto del tribunale di Firenze relativo alla omologazione della decisione dell’assemblea straordinaria deliberante la modifica dell’oggetto sociale (fatto pervenire alla Consob il 1 marzo 1996);

– poi (in data 11 marzo 1996), la Banca d’Italia a esprimere un parere sulla domanda di estensione della autorizzazione presentata dalla Zeus.

Sempre al riguardo è pacifico altresì:

– da una parte, che con nota 20 maggio 1996 la Commissione ha comunicato alla Zeus di essere in attesa che quest’ultima fornisse alla Banca d’Italia le sollecitate informazioni, al fine di poter ricevere dall’istituto il richiesto parere;

– dall’altra, che la Banca d’Italia ha provveduto a comunicare il parere in questione il 25 giugno 1996;

– da ultimo, che il 1 luglio 1996 la Consob ha comunicato alla Zeus l’avvenuto rigetto della domanda di ampliamento.

Deve concludersi, pertanto, che il termine di 90 giorni – di cui alla L. n. 1 del 1991, art. 9, comma 11, – decorrente dal 13 febbraio 1996 data nella quale è stata presentata la domanda di ampliamento è stato una prima volta prorogato di trenta giorni con decorrenza dal 1 marzo 1996 (per non avere la Zeus allegato alla domanda il decreto del tribunale di Firenze di omologazione della deliberazione di mutamento del proprio oggetto sociale), mentre, successivamente è rimasto sospeso tra l’11 marzo 1996 e il 25 giugno 1996 in attesa del parere della Banca d’Italia.

Essendo stato adottato il provvedimento finale, di rigetto dell’autorizzazione, il 1 luglio 1996 è palese la infondatezza del primo motivo, prima parte, del ricorso.

3.2. Alla luce di quanto non controverso in giurisprudenza, si osserva che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza (cfr. art. 366 c.p.c.)- deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 13 giugno 2007, n. 13845).

Non controversi i principi che precedono, è palese che qualora si deduca – come nella specie – che la sentenza oggetto di ricorso per cassazione è censurabile sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per essere sorretta da una contraddittoria motivazione è onere del ricorrente, a pena di inammissibilità, trascrivere, nel ricorso, le espressioni tra loro contraddittorie ossia inconciliabili contenute nella parte motiva della sentenza impugnata che si elidono a vicenda e non permettono, di conseguenza, di comprendere quale sia la ratio decidendi che sorregge la pronunzia stessa.

Poichè nella specie parte ricorrente pur denunziando nella intestazione del motivo in esame "contraddittorietà insanabile della motivazione" si è astenuto, totalmente – nella successiva parte espositiva – dal trascrivere le proposizioni presenti nella sentenza impugnata tra loro contraddittorie, è evidente che nella parte de qua il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

4. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando violazione della L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 9 e dell’art. 4 del regolamento 2 luglio 1991 n. 5586. Violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241. Omessa motivazione su punto decisivo della controversia, per avere affermato, che la Consob ha adottato un provvedimento formale di rigetto della propria istanza, totalmente prescindendo dal considerare che la comunicazione inviata, come risulta da due espressioni di questa riportate nel ricorso, hanno contenuto meramente interlocutorio.

5. Il motivo non può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

5.1. Giusta quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice e da cui senza alcuna motivazione, totalmente prescinde la difesa della parte ricorrente, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di cassazione).

Viceversa, la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (in termini, Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

Pacifico quanto precede si osserva che nella specie parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato le molteplici disposizioni di legge indicate nella intestazione del motivo, non solo – in ispregio del precetto di cui all’art. 366 c.p.c. – omette totalmente di indicare quale sia stata la interpretazione data dalla sentenza impugnata delle ricordate disposizioni e quale, in concreto, quella corretta, alla luce degli insegnamento giurisprudenziali e dottrina.

E’ palese, di conseguenza, già per tale aspetto la inammissibilità della censura.

5.2. Anche a prescindere da quanto sopra, comunque, si osserva che il motivo – ben lungi dal prospettare violazioni di legge rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, – si esaurisce nel censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, e in particolare della comunicazione del 1 luglio 1996 della Consob, interpretazione a parere della ricorrente inadeguata, atteso che i giudici di merito hanno ritenuto che tale comunicazione contenga un provvedimento di rigetto della loro istanza, mentre, in realtà, è meramente interlocutoria.

E’ evidente, pertanto, anche sotto tale ulteriore profilo la inammissibilità del motivo.

5.3. Quanto all’ulteriore profilo di censura sviluppato nel motivo, e – in particolare – in merito alla interpretazione data dai giudici del merito alla comunicazione 1 luglio 1996, giusta quanto assolutamente pacifico, alla luce di una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice e da cui, ancora una volta, totalmente prescinde la difesa della parte ricorrente si osserva che l’accertamento e la valutazione delle circostanze di fatto, come l’interpretazione degli atti negoziali, al pari dell’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune, sono riservati al giudice di merito e censurabili in sede di legittimità solo per vizi di motivazione e per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (Cass. 13 novembre 2007, n. 23569).

Non diversamente, l’interpretazione di un atto amministrativo a contenuto non normativo, risolvendosi nell’accertamento della volontà della P.A., ovverosia di una realtà fenomenica e obiettiva, è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e immune dalla violazione di quelle norme – in particolare, l’art. 1362 c.c., comma 2, gli artt. 1363 e 1366 c.c. – che, dettate per l’interpretazione dei contratti, sono applicabili anche agli atti amministrativi, tenendo peraltro conto della natura dei medesimi nonchè dell’esigenza della certezza dei rapporti e del buon andamento della pubblica amministrazione.

In tale prospettiva, la parte che denunzi in cassazione l’erronea interpretazione, in sede di merito, di un atto amministrativo, è tenuta, a pena di inammissibilità del ricorso, a indicare quali canoni o criteri ermeneutici siano stati violati; e, in mancanza, l’individuazione della volontà dell’ente pubblico è censurabile non già quando le ragioni addotte a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì allorchè esse si rivelino insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica (in termini, ad esempio, Cass. 23 luglio 2010, n. 17367. Non diversamente, Cass. 10 aprile 2009, n. 8770; Cass. 15 dicembre 2008, n. 29322, tra le tantissime).

In particolare, la interpretazione di un atto negoziale o di un provvedimento amministrativo non normativo, è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione.

Pertanto onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato.

Con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536).

Pacifico quanto precede si osserva – altresì – che il motivo di ricorso per cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve essere inteso a far valere carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nella attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ra-gioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, mentre non può,invece, essere inteso – come ora pretende il ricorrente incidentale – a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggetto della parte e, in particolare, non si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti (cfr. Cass. 27 ottobre 2006, n. 23087).

5.4. Facendo applicazione dei riferiti principi al caso di specie è agevole osservare che parte ricorrente censura la sentenza – quanto alla interpretazione data alla comunicazione 1 luglio 1996 – assumendo che da due proposizioni contenute nella stessa – e non adeguatamente tenute presenti dai giudici di secondo grado – era evidente che la comunicazione non conteneva affatto un provvedimento di rigetto della sua istanza.

In ispregio del principio della autosufficienza del ricorso per cassazione, peraltro, la ricorrente non ha riportato in ricorso tutta la comunicazione 1 luglio 1996 – onde consentire a questa Corte di apprezzare se la mancata denunciata valutazione di due frasi in essa contenute avrebbero condotto, senza dubbio, a una diversa soluzione della lite – ma unicamente alcuni passaggi della comunicazione in discussione ed è palese, di conseguenza la inammissibilità della deduzione.

5.5. Anche a prescindere da quanto precede, comunque si osserva che letta nella sua integrità (e, quindi, non solo nelle parti estrapolate dalla difesa della ricorrente e riportate in ricorso e dalle quali potrebbe, in tesi, trovare conforto quanto invocato dalla stessa difesa) la comunicazione in discussione ha – chiaramente e inequivocabilmente – un significato ben diverso da quello che pretende di attribuirle la difesa della ricorrente.

La comunicazione in discussione, infatti, testualmente, recita:

– la lettera della scrivente in data 20 maggio u.s., oltre ad essere del tutto idonea a prorogare il termine di cui trattasi, era volta ad ottenere l’acquisizione dei necessari elementi relativi alla situazione economico-patrimoniale di codesta società, trattandosi nella specie di valutare l’eventuale autorizzazione all’esercizio di ben tre ulteriori attività;

– peraltro, dalle evidenze agli atti della scrivente, nonchè dal parere della Banca d’Italia qui pervenuto il 25 giugno u.s., risulta che codesta società, a fronte di un capitale sociale sottoscritto e versato di L. 2.320.000.000, ha registrato negli ultimi esercizi perdite a seguito delle quali il patrimonio netto al 31.12.95 è risultato pari a L. 2.050.000.000;

– tale patrimonio netto risulta dunque inferiore all’importo minimo di capitale che, per le attività di cui alle lettere c), d), e) ed j) del citato art. 1, comma 1 deve, essere complessivamente di L. 2.320.000.000, come prescritto dal regolamento emanato dalla Banca d’Italia il 2.7.91;

– stante la descritta situazione, non sussistono i requisiti necessari per l’estensione chiesta da codesta Sim, atteso che detti requisiti sono prescritti in relazione alla autorizzazione oggetto della istanza, e non già all’effettivo esercizio delle attività di cui trattasi".

E’ di palmare evidenza, pertanto, la manifesta infondatezza del motivo.

L’ultima delle espressioni sopra trascritte e, in particolare, la precisazione "stante la descritta situazione, non sussistono i requisiti necessari per l’estensione chiesta da codesta Sim, atteso che detti requisiti sono prescritti in relazione alla autorizzazione oggetto della istanza, e non già all’effettivo esercizio delle attività di cui trattasi» non può che significare che tale comunicazione contiene un non equivoco provvedimento di rigetto dell’istanza.

6. Considerazioni di ordine logico – a questo punto dell’esposizione – impongono di esaminare, con precedenza, rispetto ai restanti, il quarto motivo di ricorso.

Con lo stesso la ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando violazione degli artt. 2043 e 1223 c.c. Violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 191 c.p.c. e segg. e dell’art. 278 c.p.c., per avere i giudici di appello affermato che non esiste alcun nesso di causalità tra la condotta della Consob e i danni lamentati da essa concludente.

7. Il motivo è inammissibile. Per carenza di interesse.

Giusta quanto assolutamente pacifico – presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, e da cui totalmente e senza alcuna motivazione totalmente prescinde la difesa del ricorrente – l’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 c.p.c. – va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata.

E’ inammissibile, pertanto, per difetto d’interesse, un’impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta quindi all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (Cass. 23 maggio 2008, n. 13377; Cass. 19 maggio 2006, n. 11844; Cass. 26 luglio 2005, n. 15623).

Pacifico quanto precede, non controverso, alla luce delle considerazioni svolte in margine al primo e al secondo motivo che è stato escluso, in radice, sia configurabile una responsabilità della Consob, per la omessa adozione, nei termini, di un provvedimento di rigetto (o di accoglimento) della istanza della Zeus Sim di essere autorizzata a esercitare ulteriori attività oltre quella per la quale già le era stata rilasciata la autorizzazione del caso e che abbia, di conseguenza, un qualche fondamento la pretesa risarcitoria fatta valere dall’odierna ricorrente, è evidente che è inammissibile, per difetto di interesse quanto esposto con il quarto motivo.

E’ certo – infatti – che anche nella eventualità le considerazioni ivi esposte avessero un qualche fondamento non per questo potrebbe mai pervenirsi alla cassazione della sentenza impugnata.

8. Con i restanti motivi la ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando, nell’ordine:

– da un lato, violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, dell’art. 2043 c.c. della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, all. E e dei principi generali in tema di responsabilità della pubblica amministrazione. Omessa motivazione su punto decisivo della controversia, per avere la Corte del merito disapplicato l’insegnamento della più recente giurisprudenza di questa Corte regolatrice (in particolare la sentenza n. 500 del 1999 nonchè quella pacifica successiva) e per non avere vagliato le censure fatta valere da essa ricorrente, estesamente esposte nel paragrafo 11 della comparsa conclusionale (terzo motivo);

– dall’altro, omessa motivazione su punti decisivi della controversia. Violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 97 della L. 20 marzo 2248, art. 5, all. E, e dei principi generali in tema di responsabilità della pubblica amministrazione, certo essendo che sussistevano le condizioni per l’accoglimento della proposta istanza di ampliamento delle attività autorizzate (quinto e sesto motivo).

9. Tutti tali motivi sono inammissibili.

Sotto diversi, concorrenti, profili.

9.1. Alla luce quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte, da cui totalmente – e senza alcuna motivazione – prescinde la difesa dei ricorrenti si osserva che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso.

Il singolo motivo, sia prima della riforma introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006, sia successivamente, assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore.

La tassatività e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).

Certo quanto sopra, certo che – giusta la testuale previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, – "le sentenze pronunciate in grado di appello in un unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione" esclusivamente sotto uno dei profili tassativamente indicati nello stesso comma 1 dell’articolo è evidente che è onere del ricorrente indicare, chiaramente, e senza possibilità di equivoci, per ogni motivo, sotto quale profilo del ricordato art. 360 c.p.c. è proposta la censura.

Ne è consentito al ricorrente rimettere al giudice adito – che ex art. 111 Cost., comma 2, non può che essere terzo e parziale – la scelta del motivo con cui si intende censurare la sentenza impugnata.

Nella specie – pur assumendosi che i giudici di secondo grado sono incorsi nella violazione o falsa applicazione delle molteplici norme di diritto analiticamente indicate nelle rubriche dei vari motivi – è agevole riscontrare – dal confronto tra la parte motiva della sentenza impugnata e degli argomenti sviluppati nei vari motivi, che le censure non riguardano – in realtà – la interpretazione delle ricordate disposizioni normative data dalla sentenza impugnata ma la circostanza – come più chiaramente è indicato nella memoria ex art. 378 c.p.c. – che la sentenza di appello avrebbe omesso di pronunciare su domande sottoposte al suo vaglio.

Certo quanto sopra, è palese la inammissibilità dei ricordati motivi.

Specie tenuto presente che la omessa pronuncia su una domanda, ovvero su un motivo di appello o su specifiche eccezioni fatte valere dalla parte, integra una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e, conseguentemente, è inammissibile il motivo di ricorso con il quale la relativa censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto, ovvero come vizio della motivazione (Tra le tantissime, Cass. 19 gennaio 2007, n. 1196; Cass., sez. un., 27 ottobre 2006, n. 23071; Cass. 6 aprile 2006, n. 8097; Cass. 23 febbraio 2006, n. 4019; Cass. 27 gennaio 2006, n. 1755; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1701; Cass. 11 novembre 2005, n. 22897).

9.2. Anche a prescindere da quanto precede e si ritenga di poter superare la sopra evidenziata causa di inammissibilità dei riferiti motivi non può tacersi che stante il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, allorchè si denunzia – con il ricorso per cassazione – che la sentenza ha omesso di pronunciare su una eccezione o su specifiche domande come, in pratica si addebita nella specie alla sentenza ora impugnata la parte ricorrente non può limitarsi – come ha fatto nel caso concreto la difesa della ricorrente – a riportare, in ricorso, quello che è a suo soggettivo parere era il contenuto dei propri scritti difensivi di merito, ma deve, a pena di inammissibilità, trascrivere, in ricorso le domande e eccezioni introdotte in causa e sulle quali il giudice di merito ha omesso di provvedere.

9.3. A tale ultimo riguardo, inoltre, non può tacersi che perchè sia configurabile il vizio di omessa pronunzia non solo lo stesso deve essere espressamente denunciato (primo profilo di inammissibilità dei motivi di ricorso ora in esame), ma deve essere rilevato tassativamente quale nullità della sentenza o del procedimento e non come violazione di legge, nè quale vizio della motivazione (secondo profilo di inammissibilità), precisando quali siano le domande non esaminate e dimostrando che tali domande erano state introdotte in causa con il rispetto del principio del contraddittorio, e, quindi, sin dal primo grado del giudizio (terzo profilo di inammissibilità).

Certo che nella specie si denunzia (peraltro nella, sola parte espositiva dei vari motivi) l’omesso esame di considerazioni svolte nella comparsa conclusionale d’appello (peraltro non trascritta ma di cui è riportata la soggettiva lettura datane dal difensore) è palesa anche tale ulteriore profilo di inammissibilità.

Come assolutamente pacifico in dottrina come in giurisprudenza, infatti, la comparsa conclusionale – in primo grado come in appello – ha carattere meramente illustrativo di domande, e eccezioni ove non si tratti di eccezioni rilevabili ex officio già proposte (Cass. 8 luglio 2010, n. 16152; Cass. 18 marzo 2010, n. 6533; Cass. 27 settembre 2007, n. 20319).

E’ di palmare evidenza, pertanto, che era onere del ricorrente – a prescindere da ogni altra considerazione – non limitarsi a censurare l’omesso esame di considerazioni svolte in comparsa conclusionale, ma dedurre -adeguatamente e espressamente – che trattavasi di domande sottoposte all’esame del giudice di appello nel rispetto del principio del contraddittorio (e, cioè, censure, già appartenenti alla causa per essere le stesse fatte valere prima con la citazione introduttiva, successivamente con l’atto di appello), trascrivendo i passaggi dei detti atti nei quali tali domande erano sviluppate e non limitandosi a fare riferimenti alle considerazioni svolte in comparsa conclusionale.

9.4. Le assorbenti considerazioni che precedono assorbono anche l’ulteriore profilo di inammissibilità costituito dall’eccepito (dalla difesa della controricorrente) giudicato interno.

In particolare i giudici di primo grado avevano evidenziato che la società ora ricorrente omise di impugnate nella debita sede giurisdizionale il provvedimento negativo portato a sua conoscenza con la lettera del 1 luglio 1996, scegliendo, viceversa di presentare una istanza modificativa della richiesta originaria, in data 24 luglio 1996, sulla quale è intervenuta archiviazione, essendo ritenuto dalla Commissione .. che l’intervento di una nuova disciplina legislativa che determinava il venir meno nella richiedente della qualifica di società di intermediazione mobiliare con richiedesse un formale provvedimento di reiezione. Provvedimento del pari non impugnato e non la ricorrente – senza ombra di dubbio – non ha censurato, in appello, tali accertamenti.

10. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso, in conclusione, deve rigettarsi con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 12.000,00 per onorari oltre spese prenotate a debito e oltre spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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