Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 20-10-2010) 04-02-2011, n. 4424 Arresto Custodia cautelare in carcere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Convalidatone l’arresto in flagranza del reato di concorso (con il convivente D.G.V.) in estorsione pluriaggravata continuata di natura camorristica ( L. n. 203 del 1991, art. 7) in danno di F.S., il procedente g.i.p. del Tribunale di Napoli con ordinanza del 3.10.2009 applicava ad D.A. la misura cautelare della custodia in carcere in ordine al predetto reato di estorsione, determinativo dell’arresto in flagranza, ed al connesso reato di concorso in usura aggravata continuata. Reati per i quali il g.i.p. riteneva la D. raggiunta da gravi indizi di colpevolezza nella concomitante sussistenza di immanenti esigenze cautelari (pericolo di recidività specifica) tutelabili con la sola restrizione carceraria ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, stante la qualificazione dei fatti estorsivi aggravati da modalità camorristiche.

Con provvedimento del 15.10.2009 il Tribunale del riesame di Napoli, adito ex art. 309 c.p.p., respingeva il gravame della D., confermando la misura carceraria.

Nel prosieguo delle indagini il g.i.p. con ordinanza in data 26.2.2010 rigettava l’istanza della D. di revoca e/o di sostituzione della misura cautelare carceraria con quella degli arresti domiciliari.

2. Pronunciando sull’appello interposto avverso quest’ultimo provvedimento reiettivo, il Tribunale distrettuale di Napoli con l’ordinanza del 31.5.2010, richiamata in epigrafe, ha rigettato l’impugnazione, limitata -per l’esistenza del precedente giudicato cautelare sugli indizi di colpevolezza (provvedimento del riesame del 15.10.2009)- ai soli profili concernenti le esigenze cautelari.

Nel confermare la cautela carceraria, il Tribunale ha rimarcato, per un verso, che la contestata aggravante delle modalità mafiose della più grave condotta estorsiva non consente, in ragione del precetto di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, di applicare, in costanza di esigenze cautelari, una misura diversa da quella della custodia in carcere ed ha evidenziato, per altro verso, che le esigenze cautelari e l’anzidetta correlata presunzione relativa non possono ritenersi superate dagli sviluppi delle indagini. Ciò con particolare riferimento tra l’altro – all’assenza di ogni utile dato che, al di là delle prospettazioni dell’indagata, accrediti una reale rescissione dei collegamenti della donna con gli ambienti criminali in cui si sono sviluppati i comportamenti delittuosi attribuitile.

3. L’ordinanza del giudice del riesame è stata impugnata per cassazione dal difensore di D.A.. Con il ricorso si deduce una unitaria censura per violazione di legge e insufficienza e illogicità della motivazione.

Il Tribunale ha erroneamente assunto il carattere assoluto della presunzione introdotta dall’art. 275 c.p.p., comma 3, ritenendo la previsione normativa insuperabile in rapporto al titolo del reato di estorsione qualificata ai sensi alla L. n. 203 del 1991, art. 7, trascurando di rilevare che la citata disposizione reca una clausola di "salvezza" che non preclude l’applicazione di meno afflittive misure restrittive, allorchè il quadro delle esigenze cautelari risulti oggettivamente affievolito.

Questa è la situazione della D., semplicisticamente liquidata dai giudici dell’appello cautelare, l’invocata misura cautelare domiciliare apparendo giustificata:

– dal fatto che il coindagato D.G., autore materiale delle condotte incriminate, continuerebbe a restare in carcere, la qual cosa implica il venir meno dei legami della D. con soggetti legati o contigui ad organizzazioni criminali;

– dallo stato di incensuratezza della D., immune da pendenze giudiziarie e non raggiunta da informative di p.g. che attestino sue frequentazioni con pregiudicati;

– dall’intento risarcitorio del danno verso la persona offesa mostrato dall’indagata a riprova della sua "inequivoca presa di distanza dal contesto nel quale sono maturati i fatti";

– dal proposito della donna di trasferirsi in altra area territoriale, attesa la disponibilità di un fratello ad accoglierla in casa in regime di custodia domiciliare, cui l’indagata si sottoporrebbe anche accettando forme di controllo elettroniche.

4. I rilievi censori espressi nell’interesse di D.A., in gran parte aspecifici (replicanti gli stessi motivi di appello pur valutati dal Tribunale), sono indeducibili, perchè imperniati su critiche di mero fatto che impingono il merito della regiudicanda destinato ad essere eventualmente apprezzato dal giudice di cognizione, ed altresì manifestamente infondati, perchè basati su premesse interpretative errate.

Per l’effetto l’impugnazione deve essere dichiarata inammissibile.

Rettamente il ricorso definisce come relativa la presunzione di pericolosità sociale recata dall’art. 275 c.p.p., comma 3 che prevede, in presenza di esigenze cautelari connesse alla contestazione di reati di particolare gravità, la custodia in carcere quale unica misura applicabile. Sbaglia, però, il ricorso nel congetturare che l’ordinanza del Tribunale accrediterebbe la diversa tesi del carattere assoluto della presunzione in parola.

Così certamente non è, sol che si presti attenzione ai contenuti espositivi della ordinanza impugnata, che non a caso si pone il problema della verifica della adeguatezza e della attualità cautelari della custodia carceraria della D. proprio alla luce dei dati di riferimento indicati dall’indagata ed oggi riproposti con il ricorso.

Deve puntualizzarsi, d’altro canto, che la obbligatorietà – relativa nei termini predetti – della custodia carceraria ex art. 275 c.p.p., comma 3 investe in particolare il provvedimento genetico della custodia cautelare, ma non anche o necessariamente le vicende successive della permanenza o meno delle esigenze cautelari, per le quali occorre pur sempre verificare la concretezza e l’attualità della pericolosità sociale dell’indagato, di guisa che – ove la stessa risulti affievolita – è ben possibile applicare una misura meno gravosa (cfr. Cass. Sez. 6,9.4.2010 n. 25167, Gargiulo, rv.

247595).

E’ in questa corretta dimensione prospettica che il Tribunale ha valutato la permanenza delle esigenze cautelari legittimanti la perdurante custodia in carcere della ricorrente, considerando – all’esito dell’esame dei dati descritti dall’indagata – non sorretta da idonei o decisivi elementi dimostrativi la testi dell’ipotizzata attenuazione delle esigenze cautelari. La valutazione del Tribunale è frutto di un giudizio di fatto articolato attraverso passaggi logici e corretti sul piano processuale, che lo sottraggono all’invocato scrutinio di legittimità. E’ appena il caso di osservare che l’indiscutibile gravità dei reati ascritti alla ricorrente e la disinvoltura e la determinazione con cui sono stati realizzati e reiterati nel tempo legittima la negativa prognosi comportamentale formulata dal Tribunale in funzione delle esigenze cautelari che involgono la posizione processuale dell’indagata.

Prognosi rispetto alla quale il pur non irrilevante stato di incensuratezza della ricorrente diviene una variabile indipendente, di per sè non idonea a vanificare o stemperare le esigenze cautelari socialpreventive (v. Cass. Sez. 3, 8.6.2010 n. 25633, rv. 247698).

L’inammissibilità del ricorso impone la condanna della D. al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che stimasi equo fissare nella misura di Euro 1.000,00 (mille). La cancelleria provvederà alle comunicazioni connesse allo stato di detenzione della ricorrente.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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