Cass. civ. Sez. III, Sent., 10-03-2011, n. 5695 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 16 settembre – 26 ottobre 1999 il Tribunale di Cassino dichiarava la responsabilità concorsuale di B.B. e I.L. nella causazione del sinistro stradale nel quale era deceduto S.M. e li condannava, in solido con B.E., S.p.A. Milano Assicurazioni quale incorporante della Card S.p.A. e S.p.A. Nuova MAA Assicurazioni, al risarcimento dei conseguenti danni a favore dei congiunti S.D., D.I., S.L. e S.S..

Con sentenza in data 14 dicembre 2004 – 1 aprile 2005 la Corte d’Appello di Roma liquidava diversamente i danni.

La Corte territoriale osservava per quanto interessa: la responsabilità dei due conducenti doveva essere affermata ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 2; il decesso immediato del de cujus impediva agli eredi di acquisire il risarcimento del danno patrimoniale, biologico e morale del medesimo; il danno morale e il danno patrimoniale vantati jure proprio dai congiunti dovevano essere liquidati in misura superiore; occorreva liquidare anche il danno per la ritardata corresponsione del dovuto.

Avverso la suddetta sentenza i S. e la D. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., comma 3, dell’art. 83 c.c., comma 3, dell’art. 163 c.c., comma 3, n. 2 e dell’art. 2328 c.c.; nullità della sentenza e del procedimento; omessa motivazione o, in subordine insufficiente motivazione, circa un unto decisivo della controversia rilevatale d’ufficio.

I ricorrenti eccepiscono la invalidità della procura in forza della quale la società Milano ha proposto appello sotto un duplice profilo: a) è stata rilasciata da un procuratore e non dal rappresentante legale: della società; b) era stata rilasciata per il giudizio di primo grado.

Quest’ultima tesi è smentita già da quanto riferito dagli stessi ricorrenti. Infatti la procura recita testualmente: "Deleghiamo a rappresentarci e difenderci nel presente giudizio e in quello eventuale di appello…). Dunque essa prevedeva l’eventualità del giudizio di appello ed ere conferita anche per esso. Inoltre, la circostanza che sia stata apposta in calce all’atto di appello della stessa Milano, ne rende inequivocabile la riferibilità al relativo giudizio.

Ma ugualmente infondata è anche la prima censura, proposta solo in questa sede. Infatti è orientamento consolidato (confronta, per tutte, Cass. Sez. 3^, n. 9980 del 2010) che la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso che l’ente sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto, poichè i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa. Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione relativa da parte della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica.

Il secondo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. con conseguente nullità della sentenza; omessa o, in subordine, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti e peraltro rilevabile d’ufficio.

Con questa censura viene riproposta la tesi dell’inammissibilità dell’appello della Milano per genericità e aspecificità dei motivi e per indeterminatezza del petitum.

La censura è infondata poichè la Corte territoriale non ha omesso di pronunciarsi su un motivo di appello, ma solo su un’eccezione che ha implicitamente ritenuto infondata. E’ noto che (Cass. n. 10696 del 2007) ad integrare gli estremi della omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessario che sia completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile in riferimento alla soluzione del caso concreto: il che non si verifica quando la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione. Oscuro il riferimento dei ricorrenti al petitum, la Corte d’Appello ha dimostrato di avere ben compreso le doglianze dell’appellante e, d’altra parte, la salutazione circa il rispetto dell’obbligo di indicare specificamente le critiche rivolte contro la sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., va compiuta tenendo presente le argomentazioni addotte dal giudice di primo grado.

Il terzo motivo lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c.; nullità della sentenza e del procedimento; omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia rilevabile d’ufficio. Il riferimento è al motivo d’appello, di cui viene asserita la non specificità, della Milano relativo al risarcimento del danno biologico jure ereditario.

Ma, quando l’appellante lamenta un errore di diritto, per soddisfare il requisito della specificità dei motivi di gravame, prescritto dall’art. 342 c.p.c., è necessario e sufficiente che l’atto d’appello invochi l’applicazione di un principio di diritto diverso rispetto a quello enunciato nella sentenza impugnata (Cass. Sez. 3^, n. 4371 del 2009).

Quanto riferito dai ricorrenti dell’avversa censura è sufficiente a dimostrare il rispetto del requisito suddetto.

Il quarto motivo denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti e rilevabile d’ufficio; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1224, 1283, 2056, 2058 c.c. La questione trattata è il lucro cessante per il ritardato indennizzo o la mancata liquidazione degli interessi come liquidato dalla sentenza impugnata.

Il vizio di motivazione ricorre solo allorchè, a causa di argomentazioni contraddittorie intrinseche al provvedimento impugnato, o per insufficiente indicazione delle ragioni giustificative della decisione, non sia possibile ricostruire l’iter logico seguito dal giudice di merito.

Le argomentazioni addotte a sostegno della censura non dimostrano la sussistenza della situazione sopra delineata.

Il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di "errori di diritto" individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006).

Nella specie le argomentazioni dei ricorrenti non hanno i requisiti indicati, ma sostanzialmente mirano ad una diversa decisione di merito.

Il quinto motivo lamenta omessa motivazione o, in subordine, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti e rilevabile d’ufficio;

violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1224, 1283, 2056, 2058 c.c. La questione trattata è la quantificazione del danno morale. Già la sostanziale identità della rubrica con quella del motivo precedente frustra le finalità dell’art. 366 c.p.c., n. 4.

Le scarne argomentazioni a sostegno non dimostrano nessuno dei vizi denunciati e, ancora una volta, mirano ad ottenere una più soddisfacente decisione di merito.

Il sesto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1283 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.;

nullità della sentenza; omessa o, in subordine, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalla parte. La censura attiene agli interessi composti non attribuiti dal primo giudice: Si assume che nelle comparse di costituzione e risposta nel grado di appello, in via incidentale, i ricorrenti avevano riproposto la questione.

Tuttavia essi non dimostrano che essa avesse formato un autonomo e specifico motivo di appello incidentale. D’altra parte la sentenza impugnata ha affrontato il tema degli interessi determinandone entità e decorrenza.

Pertanto il ricorso va rigettato. Nulla spese.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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