Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-10-2010) 04-02-2011, n. 4155

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 6.2.2009, il Tribunale di Lecce, in composizione collegiale, dichiarò C.R., F.A., Co.Gi. e P.J. responsabili del reato di tentata rapina aggravata in concorso e li condannò alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa ciascuno.

Avverso tale pronunzia proposero gravame gli imputati, e la Corte d’Appello di Lecce, con sentenza del 30.11.2009, in parziale riforma della decisione di primo grado riconosceva agli stessi le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti e rideterminava la pena infiltra in anni due di reclusione ed Euro 600,00 di multa ciascuno, concedendo a tutti il beneficio della sospensione condizionale limitatamente alla pena detentiva.

Ricorre per cassazione il difensore degli imputati C. e Co., deducendo con il primo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. e), per mancanza, illogicità e contraddittorietà delle motivazioni, essendo la motivazione in punto responsabilità meramente apparente, in quanto la Corte ha negato che, nella fattispecie, si sia realizzata la fattispecie della desistenza volontaria, senza dare contezza delle ragioni per cui è giunta a tale conclusione, e lo stesso dicasi a proposito della valutazione delle deposizioni dei testi G., I. e Ga..

Rileva, in particolare, il difensore che l’unica telefonata interessante, registrata sui tabulati acquisiti, è quella di nove secondi con la quale C., una volta deciso di non portare a termine il "colpo" progettato, chiamò, dall’interno del villino, il P., che si trovava all’esterno a fare da palo. La Corte, a riguardo, è incorsa in un gravissimo errore logico, ignorando peraltro quanto puntualmente rilevato alle pagine 3 e 4 dei motivi d’appello, perchè non ha assolutamente valutato che, anche se il vice brigadiere Ga. avesse detto il vero sul fatto che fosse il C. (e non il P.) "il palo", nessuna incidenza causale avrebbe avuto la conversazione eventualmente intercorsa in quei nove secondi, con il ritenuto allertamento sulla presenza dei Carabinieri in favore dei complici, considerato che il teste Ga. aveva visto i correi saltare dal muretto prima ancora di aprire lo sportello ed interrompere la telefonata effettuata dal C..

Per questo motivo, gli imputati avrebbero dovuto comunque essere assolti dal reato loro ascritto per desistenza volontaria. Con il secondo motivo, lamenta l’assoluta carenza di motivazione in ordine alla richiesta di concessione della non menzione della condanna.

Ricorre per cassazione l’imputato F.A., deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per contraddittorietà ed illogicità della motivazione in riferimento alla valutazione degli elementi di prova, considerato che l’unica cosa certa che è emersa dall’istruttoria dibattimentale è che in data (OMISSIS) alle ore 17,15 circa una pattuglia dei Carabinieri scorgeva tre ragazzi che avevano scavalcato un muro di cinta di un’abitazione, e che dai tabulati telefonici non risulta alcuna telefonata effettuata dal telefono in uso al P. ed in entrata sul telefono in uso al C., come invece erroneamente affermato dal teste Ga.. Tra i quattro imputati è intervenuta una sola telefonata, che è quella effettuata da C. (all’interno della villa come affermato da tutti e quattro gli imputati) al P., per avvisarlo che erano pronti ad uscire dalla villa e che andasse a prenderli. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), per errata interpretazione della legge penale e mancata motivazione in relazione all’art. 56 c.p., comma 3, in quanto la Corte leccese non ha fornito alcuna motivazione sul mancato riconoscimento dell’istituto della desistenza.

Ricorre per cassazione l’imputato P.J., deducendo, con il primo motivo, la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, evidenziando, con le stesse argomentazioni degli altri coimputati, che la Corte avrebbe dovuto assolverlo dal reato ascrittogli per desistenza volontaria. Con il secondo motivo, lamenta l’assoluta carenza di motivazione in ordine alla richiesta di concessione della non menzione della condanna.

Tutti i ricorrenti chiedono pertanto l’annullamento della sentenza.
Motivi della decisione

I due motivi del ricorso del F., e il primo motivo dei ricorsi di C., Co. e P., peraltro identici anche nell’esposizione, possono essere trattati congiuntamente, in quanto tutti attinenti alla sussistenza nella fattispecie della desistenza volontaria, e quindi al vizio di motivazione sul punto.

Le doglianze dei ricorrenti, laddove censurano la congruità dell’argomentare del giudicante, sono infondate e non possono pertanto trovare accoglimento.

La Corte territoriale ha, infatti, risposto esaurientemente a tutti i rilievi sollevati dalla difesa, e ha illustrato con motivazione ampia ed esente da evidenti vizi logici le ragioni per le quali è giunta all’affermazione di responsabilità, all’esito di un approfondimento del quadro probatorio, e degli elementi che avrebbero potuto essere oggetto di interpretazione alternativa, in base a un corretto esame del contenuto degli atti processuali e in considerazione del complessivo contesto probatorio, puntualmente descritto in sentenza.

In primo luogo, i giudici di merito – premesso che i quattro imputati, sulla base di quanto dai medesimi ammesso, si erano recati in via (OMISSIS) per commettere una rapina all’interno della villa del M. – hanno correttamente ritenuto che la loro condotta (consistita nell’introdursi in più persone nel giardino di proprietà altrui, travisati da passamontagna e armati di pistola a salve, con un complice rimasto all’esterno in attesa, a bordo di una vettura) integra appieno quel complesso di atti idonei e diretti in modo non equivoco a compiere una rapina, in caso di presenza – come nella fattispecie è stato poi verificato – di persone in casa. In secondo luogo, ritenendo la piena attendibilità degli operanti, e quindi delle loro, dichiarazioni, attentamente analizzate alla luce dei rilievi difensivi (v. pagg. 3 – 15 della sentenza), ha escluso che gli imputati abbiano volontariamente desistito dall’azione delittuosa. Osserva, sul punto, la Corte che il vicebrigadiere Ga. ha descritto nel verbale di arresto esattamente ciò che ebbe modo di constatare personalmente, allorchè si recò sul posto con auto "civetta" e su richiesta di altra pattuglia (ossia che il C. era a bordo della vettura e stava parlando al telefono, i tre complici stavano scavalcando il muretto, e il F. consegnava i due passamontagna e la pistola al conducente del mezzo), e che "le insinuazioni difensive su una subdola manipolazione dei fatti da parte dei carabinieri non trovano riscontro nella logica", nè può ipotizzarsi che il Ga. fosse incorso in un clamoroso errore sull’individuazione dell’effettivo conducente, sol perchè conosceva di persona il C. e sapeva che aveva in uso una Fiat Bravo (v. pag. 12 della sentenza). Neppure assume rilevanza per confutare le dichiarazioni degli operanti la circostanza che, dai tabulati acquisiti, risulta una sola telefonata alle ore 17.15.54 in partenza dall’utenza del C. verso quella del P., ma non la chiamata a parti invertite; la telefonata in questione è stata, infatti, confermata sia dal P. che dal C. (il quale, in sede di esame, ha affermato di aver sentito la vibrazione, ma di non aver risposto perchè, a suo dire, oramai prossimo a scavalcare il muretto), e dal verbale di arresto risulta, poi, che un immediato riscontro da parte degli operanti sui cellulari in possesso degli imputati consentì loro di rilevare che dal cellulare in possesso del P. alle ore 17,16 era partita una telefonata verso l’utenza del C. (utenza memorizzata sotto il nome "(OMISSIS)") e che tale telefonata è avvenuta successivamente a quella effettuata dal C., sul cui cellulare l’orario era sfalsato di due minuti in avanti. "L’ammissione del C. in ordine alla vibrazione sul suo telefono conferma (poi) inconfutabilmente l’assunto del vicebrigadiere Ga., in ordine all’intervento dell’auto civetta proprio mentre il conducente della Fiat Bravo stava armeggiando con il cellulare" (v. pag. 11 della sentenza). Considerato, a dimostrazione del fatto che l’avvistamento fu reciproco e pressocchè contestuale, che la telefonata effettuata dal C., a borda dell’autovettura in funzione di palo, avvenne pochissimo tempo dopo la segnalazione alla centrale operativa da parte della pattuglia già presente in zona e a bordo di autovettura con i colori di istituto; che l’auto civetta che si trovava in zona con a bordo il brigadiere Ga. sopraggiunse nel giro di qualche minuto e che il brigadiere Ga. ebbe così modo di rilevare i tre complici in fuga dalla villa e il F. che consegnava i passamontagna e la pistola al "palo" C., logicamente la Corte territoriale ha dedotto, nella ricostruzione dei fatti, che la telefonata effettuata dal C. (poco prima dell’intervento degli operanti) era rivolta ad avvertire il P. e gli altri complici, che si trovavano all’interno del giardino della villa, della presenza nelle vicinanze di una pattuglia dei Carabinieri, e che pertanto la desistenza non poteva ritenersi volontaria, in quanto determinata da cause indipendenti dalla loro volontà. L’esimente della desistenza nel tentativo richiede, infatti, che la determinazione del soggetto agente di non proseguire nell’azione criminosa si concreti indipendentemente da cause esterne che impediscano comunque la prosecuzione dell’azione o la rendano vana (v., tra le tante, Cass. Sez. 2^, sent. n. 41484/2009 Rv.

245233).

Sono invece fondati i motivi di ricorso di C., Co. e P. in ordine all’omessa valutazione della richiesta di concessione del beneficio della non menzione.

Nei rispettivi atti d’appello, i ricorrenti sopra indicati avevano richiesto, in subordine, la riduzione della pena inflitta in primo grado con i benefici della sospensione della pena e della non menzione. Nella sentenza impugnata, la Corte di merito ha ridotto per tutti la pena a due anni e seicento Euro di multa e concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena detentiva essendo gli imputati incensurati, ma ha disatteso la richiesta del beneficio della non menzione della condanna, senza illustrarne le ragioni, pur essendo in astratto concedibile il beneficio ai sensi dell’art. 175 cpv. c.p., (essendo stata applicata una pena detentiva non superiore a due anni e una pena pecuniaria di Euro seicento, che, ragguagliata a norma dell’art. 135 c.p. e cumulata alla pena detentiva, priverebbe complessivamente i, condannati della libertà personale per un tempo non superiore a trenta mesi).

Sul punto, quindi, la sentenza impugnata deve essere annullata; va disposto l’annullamento senza rinvio ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. l) (cfr. Cass. Sez. 2^, sent. n. 24742/2010 Rv. 247747; Sez. 5^, sent. n. 21049/2003 Rv. 229233), in quanto dalle sentenze di merito e dai documenti di cui la Corte può prendere visione risulta che i ricorrenti C., Co. e P., ai quale è stata sospesa la pena, sono incensurati e non emergono elementi per formulare una prognosi sfavorevole; ne consegue che può essere loro concesso alle condizioni di legge anche il beneficio della non menzione della condanna nei certificati del casellario a richiesta di privati.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso nei confronti di F.A., l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente a C. R., Co.Gi. e P.J., limitatamente all’omessa statuizione sul richiesto beneficio della non menzione della condanna, beneficio che concede. Rigetta nel resto i ricorsi di C., Co. e P.. Rigetta il ricorso di F. A., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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