Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-10-2010) 04-02-2011, n. 4151 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 20.12.2007, il Tribunale di Catanzaro dichiarò T.A. responsabile dei reati di cui agli artt. 110 e 81 c.p., art. 628 c.p., comma 3, n. 1, art. 61 c.p., n. 2, art. 614 c.p., art. 81 c.p., L. n. 1423 del 1956, art. 9, e unificati i reati sotto il vincolo della continuazione lo condannò alla pena di anni cinque di reclusione ed Euro 2000,00 di multa.

Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza del 15.10.2009, confermava la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo: 1) la violazione dell’art. 606 c.p.p, lett. c) ed e), in relazione all’art. 546 c.p.p., ovvero per assoluta carenza di motivazione, in quanto non viene espresso alcun giudizio sulle censure difensive, per le quali dopo una indicazione sommaria delle stesse si rimanda tout court ed illogicamente alla sentenza del giudice di prime cure; 2) nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), e) e c), in afferenza all’art. 192 c.p.p., e all’omessa rinnovazione del dibattimento, nonchè illogicità e contraddittorietà delle motivazione in riferimento all’irritualità dell’atto di ricognizione fotografica, già fisiologicamente inutilizzabile in quanto nemmeno consacrato da una ricognizione, o da un riconoscimento in udienza, e da valutarsi nel senso sicuramente più favorevole per l’imputato, specie laddove figurano non poche perplessità sulle capacità cognitive della persona offesa, che oltre ad essere una persona anziana, era affetta da deficit psico – cognitivo.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente si duole della assoluta mancanza di motivazione in ordine alle censure sollevate in appello e, in particolare, alla richiesta di revoca dell’ordinanza di rigetto della richiesta di perizia emessa dal Tribunale di Catanzaro, nonchè sull’istanza di rinnovazione del dibattimento finalizzata a disporre quindi perizia medico – legale sulla persona di C.N., e alla irritualità del riconoscimento fotografico effettuato dalla C. in data 14.5.2004.

Il motivo è manifestamente infondato.

Premesso che la rinnovazione del dibattimento nel giudizio d’appello è istituto del tutto eccezionale, in quanto – vigendo nel sistema accusatorio il principio processuale che l’indagine istruttoria trova la sua naturale collocazione soltanto nel dibattimento di primo grado, nel regolare contraddittorio formatosi e nel rispetto delle preclusioni probatorie – soltanto la rilevanza e la decisività dei fatti, non potuti provare in primo grado, nelle ipotesi di legge e nel concorso delle richieste condizioni, possono consentire la rinnovazione del dibattimento (v., tra le tante, Cass. Sez. 2^, sent. n. 8106/2000 Riv. 216532), e che il provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria in appello può essere motivato anche implicitamente in presenza di un quadro probatorio definito, certo e non abbisognevole di approfondimenti indispensabili (Cass. Sez. 4^, Sent. n. 47095/2009 Rv. 245996), rileva il Collegio che la Corte territoriale ha implicitamente rigettato la richiesta avanzata dalla difesa, confutando con argomentazioni ampie ed esenti da vizi logici le deduzioni difensive in ordine all’asserita incapacità di intendere e di volere della C., nel momento in cui sono state raccolte le dichiarazioni, di cui ai verbali peraltro acquisiti al dibattimento sull’accordo delle parti. I giudici di merito hanno quindi evidenziato che dalla documentazione medica in atti si evince che la patologia da sindrome arteriosclerotica da cui risultava affetta la C. si riferisce ad epoca (23.4.2007) di molto successiva a quella di raccoglimento della deposizione (14.5.2004);

che il Maresciallo A. ha riferito, nel corso del suo esame che la C., al momento della deposizione e della ricognizione, non aveva mostrato alcun segno di incapacità di intendere e di volere; e che la relazione del Dott. V. non era idonea a supportare le argomentazioni difensive a riguardo, riportandosi sul punto alla motivazione della sentenza di primo grado trattandosi di questione già esaminata e risolta.

Per quanto concerne il riconoscimento fotografico, è sufficiente rammentare che lo stesso non è regolato dal codice di rito e costituisce un accertamento di fatto utilizzabile in giudizio in base ai principi di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice, e che la certezza della prova non discende dal riconoscimento come strumento probatorio, ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione (v., tra le tante, Cass. Sez. 5^, sent. n. 22612/2009 Rv. 244197;

Sez. 4^, sent. n. 45496/2008, Rv. 242029). I giudici d’appello, con motivazione esente da vizi logici, hanno affermato che dalla lettura dell’atto non è riscontrabile alcun vizio afferente le modalità di redazione del verbale di riconoscimento, specificando pure che elementi di dubbio "non possono essere desunti dalla presenza nel fascicolo fotografico di una fotografia riproducente l’effigie del fratello dell’imputato". Nè incombeva alla Corte alcun obbligo di descrizione fattuale della prova e di confutazione di tutti i vizi denunciati dall’appellante (presenza di fotografie in copia nell’album fotografico allegato agli atti, e non sottoscrizione da parte della C. della foto del T.), in considerazione della loro palese infondatezza e genericità. A ciò aggiungasi che la parte offesa, nel verbale in questione, aveva dichiarato di riconoscere senza ombra di dubbio alcuno, in una delle trenta effigi fotografiche, quella di T.A., da lei già conosciuto come "(OMISSIS)".

Con il secondo motivo, il ricorrente, pur avendo formalmente denunciato l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 192 c.p.p., e il vizio di motivazione (fondandoli sulla irritualità del riconoscimento fotografico, sulla violazione delle norme in ordine alla valutazione delle prove e alla rinnovazione del dibattimento in appello, e sulla carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione) ha, tuttavia, nella sostanza, svolto ragioni che costituiscono una critica del logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di appello con la finalità di ottenere una nuova valutazione delle prove stesse; e ciò non è consentito in questa sede.

La Corte territoriale, con motivazione congrua ed esente da evidenti vizi logici, ha risposto a tutti i motivi d’appello, e ritenuto l’attendibilità della parte offesa e del riconoscimento dalla stessa effettuata, rilevando altresì che le censure difensive in punto di accertamento della penale responsabilità costituiscono mera riproposizione di argomentazioni già prospettate avanti al Tribunale, e dallo stesso rigettate. A riguardo, rammenta il Collegio che è giurisprudenza consolidata di questa Corte che, se vengono dedotte con l’impugnazione questioni già esaminate e risolte, oppure questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione può motivare "per relationem" e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati (v. Cass. Sez. 4^, sent. n. 38824/2008 Rv.

241062; Sez. 5^, Sent. n. 3751/2000 Rv. 215722).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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