Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-10-2010) 04-02-2011, n. 4150 Ricorso Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 22.11.2007, il Tribunale di Marsala, in composizione monocratica, assolveva L.V.V. dai reati di truffa e minaccia in danno di T.F. perchè il fatto non sussiste.

Avverso tale pronunzia propose appello la parte civile T. F., e la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza del 10.11.2009, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato l’imputato L.V.V. al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile, danni per la cui liquidazione ha rimesso le parti innanzi al competente giudice civile.

Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo: 1) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per errata interpretazione della legge penale in relazione all’art. 640 c.p., e art. 61 c.p., n. 7, non sussistendo i presupposti e le condizioni oggettive e soggettive del reato di truffa e, comunque, per mancanza di dolo.

Infatti, dalle risultanze processuali non risulta che la parte offesa sia stata indotta in errore dal L., risulta al contrario che la parte cessionaria abbia liberamente e secondo le regole della domanda ed offerta determinato ed accettato le condizioni dell’affare propostogli, valutando l’utilità dell’affare nel suo aspetto oggettivo e nella condizione di soggetto esperto nel medesimo settore commerciale; 2) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per errata interpretazione della legge penale in relazione agli artt. 192 e seg. c.p.p., non avendo la Corte territoriale opportunamente verificato e oggettivamente riscontrato il contenuto delle dichiarazioni dei testi S.R., T.G. e della stessa parte offesa T.F., in quanto portatori di interessi, così come affermato dal primo giudice; 3) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento al contenuto della sentenza del primo giudice e con riferimento altresì all’apporto istruttorio, in quanto dalla disamina delle dichiarazioni rese dai testi e dalle stesse parti offese – come giustamente rilevato dal Tribunale di Marsala – non sussistevano i presupposti e le condizioni della norma contestata.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
Motivi della decisione

Con il primo e secondo motivo il ricorrente ha dedotto formalmente l’erronea interpretazione della legge penale in relazione all’art. 640 c.p., e art. 61 c.p,., n. 7, nonchè con riferimento agli artt. 192 e seguenti c.p.p.. Con il terzo motivo si è prospettato il vizio di motivazione, sotto il profilo della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, del travisamento dei fatti, e della violazione delle norme sulla valutazione della prova, in relazione al contestato reato di truffa in danno di T.F..

In sostanza, il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale, a differenza del primo giudice, non ha adeguatamente verificato e oggettivamente riscontrato le dichiarazioni della parte offesa e dei testi S.R. e T.G., rispettivamente fidanzata e fratello della parte offesa, e portatori di interessi propri, quindi del tutto inattendibili, nè ha tenuto conto del fatto che dalle altre risultanze processuali non è in alcun modo emerso che il T. sia stato indotto in errore dal L.. E’ invero emerso il contrario, ovvero che il T. ha liberamente, e secondo le regole della domanda e dell’offerta, determinato ed accettato le condizioni dell’affare propostogli.

Le censure sono del tutto inammissibili posto che le deduzioni circa l’erronea interpretazione e applicazione di norme penali sono solo formali, e si muovono non già precise contestazioni di illogicità argomentativa, ma solo doglianze di merito, non condividendosi dal ricorrente le conclusioni attinte ed anzi proponendosi versioni più persuasive di quelle dispiegate nella sentenza impugnata.

Le doglianze sono quindi formulate in termini di una inammissibile richiesta di rivalutazione di fatti.

Osserva, a riguardo, il Collegio che la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), che in ragione delle modifiche apportate dalla L. n. 46 del 2006, art. 8, consente, per la deduzione dei vizi di motivazione, il riferimento agli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", riguarda anche gli atti a contenuto probatorio ed introduce un nuovo vizio definibile come "travisamento della prova" consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato o omesso, abbia il carattere di decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica (Cass. Sez. 2^, 13994/2006; Sez. 2^, 45256/2007 Rv. 238515).

Resta fermo, però, che è a carico del ricorrente l’onere di specifica indicazione di tali atti e di illustrazione della necessità del loro esame ai fini della decisione, ovvero, per il caso in cui l’esame sia stato compiuto, della manifesta illogicità o contraddittorietà del risultato raggiunto.

In altri termini, al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Così definite le coordinate del controllo sulla motivazione, rileva il Collegio che il ricorrente non ha ottemperato a tale onere, limitandosi peraltro a svolgere ragioni che costituiscono una critica del logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di appello, mentre la Corte di merito, con motivazione congrua e priva di evidenti vizi logici, ha spiegato in modo esauriente le ragioni per le quali ha ritenuto la responsabilità ai fini civili del ricorrente, evidenziando sia la piena attendibilità della parte offesa e dei testi S. e T., che l’assenza di ragioni di risentimento da parte degli stessi diverse da quelle oggetto del procedimento: "ciò significa che si è di fronte al normale interesse di cui è portatrice la parte offesa nel processo penale, che, come è noto non può per giurisprudenza costante determinare a priori una valutazione di inattendibilità, seppure è necessaria una valutazione rigorosa di tutti gli elementi agli atti". La Corte ha, quindi, rilevato come la parte offesa, e i testi S. e T. G., abbiano dato una convincente spiegazione delle ragioni per le quali, stante l’antica amicizia tra T.F. e il L., non hanno effettuato accurati controlli sulla contabilità e sui documenti dell’azienda che andavano ad acquistare, rendendo poi dichiarazioni (circa il fatto che il L. si sia dichiarato titolare anche formale dell’azienda, in ordine alle trattative con esso intrattenute, e alle assicurazioni dallo stesso ricevute circa la redditività dell’azienda ceduta e l’assenza di debiti), che hanno trovato significativi riscontri nelle deposizioni dei testi Sp. (effettiva titolare dell’azienda unitamente al marito F.R., la quale ha dichiarato che l’azienda era in "affanno") e P. (commercialista dell’azienda, il quale ha dichiarato che l’imputato non aveva alcun rapporto giuridico con l’azienda, essendo solo la moglie del L. destinataria di una procura per la gestione, ma che lo stesso si comportava da effettivo titolare).

E contro tali valutazioni, dai motivi di ricorso sono formulate mere contestazioni di veridicità, in un impensabile tentativo di ottenere da questa Corte di legittimità un revisione di merito delle valutazioni stesse. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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