Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con il ricorso principale la V. s.r.l. impugna l’ordinanza con cui il Comune di Inverigo le ha ingiunto la demolizione parziale di un balcone ed il pagamento di una sanzione pecuniaria per la volumetria realizzata in eccesso e ritenuta non sanabile e domanda, altresì, il risarcimento dei danni che ha subito in conseguenza della nota prot. n. 17726 del 19.11.2004, con cui il Comune ha diffidato la società concessionaria dal procedere all’allacciamento della rete del gas del Cantiere di Via Alpetto, in considerazione dell’esistenza di un procedimento di accertamento di abusività delle opere.
Con un primo ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente impugna il provvedimento prot. 6933 del 16.5.2006 con cui il Comune ha rigettato l’istanza di accertamento di conformità, poiché la ricorrente ha realizzato una maggiore volumetria (pari a circa 248 mc) rispetto alla volumetria disponibile sul lotto.
Queste le censure dedotte:
I. violazione artt. 3, 10 e 10 bis, l. n. 241/1990; eccesso di potere per carenza e genericità di motivazione e per difetto di istruttoria;
II. violazione dell’art. 36, d.P.R. n. 38072001 anche in relazione all’art. 9, l. n. 122/98, all’art. 2, l.r. n. 22/99 ed agli artt. 1, 2 e 67, l.r. n. 26/95; violazione dell’art. 3, l. n. 241/1990 ed eccesso di potere per incompletezza, contraddittorietà e carenze istruttorie.
Con un secondo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente impugna l’ordinanza n. 47 del 18.7.2006 con cui il Comune di Inverigo ha disposto l’annullamento parziale della concessione edilizia n. 41/02 per i seguenti motivi:
I. eccesso di potere per erroneità e carenza di motivazione nonché per genericità e contraddittorietà tra distinte parti dello stesso provvedimento;
II. eccesso di potere per carenza ed erroneità di motivazione e di verifiche istruttorie nonché per contraddittorietà sotto ulteriore profilo anche con riferimento agli artt. 3 e 10, lett. b), l. n. 241/1990 ed al principio del rispetto del giusto procedimento;
III. eccesso di potere per erroneità di motivazione; violazione degli artt. 3 e 10, lett. b), l. n. 241/1990 sotto ulteriore profilo, nonché per mancata applicazione degli artt. 2.11, 6.3 e 13 delle n.t.a. del p.r.g.
IV. violazione e mancata applicazione dell’art. 34, d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 1, c. 2, l. reg. Lombardia n. 19/1992.
L’amministrazione intimata si è costituita in giudizio e, oltre a dedurre l’infondatezza nel merito della domanda, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per acquiescenza, avendo la ricorrente provveduto al pagamento, senza alcuna riserva, delle sanzioni irrogate e per avere essa stessa chiesto, con nota del 3.5.2006, la conversione della sanzione demolitoria in quella pecuniaria.
Questo Tribunale, con sentenza parziale n. 4664 del 16 settembre 2009, ha dichiarato il ricorso principale improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse – in quanto, per effetto della presentazione dell’istanza di permesso di costruire in sanatoria e del successivo provvedimento di diniego, l’ordinanza di demolizione n. 26/2005 ha perso la propria efficacia lesiva – ed ha respinto la domanda di risarcimento dei danni.
Ai fini della decisione dei ricorsi per motivi aggiunti, questo Tar ha disposto una verificazione per quantificare la misura della volumetria realizzata in eccesso rispetto a quanto autorizzato con permesso di costruire n. 41/2002.
La verificazione è stata affidata, dapprima, alla Direzione Generale Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia e, successivamente – avendo la Regione Lombardia comunicato di non essere in grado di adempiere all’incombente istruttorio – dalla Direzione regionale della Lombardia dell’agenzia del territorio.
Con nota depositata nella segreteria del Tribunale il 18 agosto 2010, l’Agenzia del territorio ha trasmesso la relazione esplicativa, contente l’esito della verificazione.
All’udienza del 17 novembre 2010, il ricorso è stato ritenuto per la decisione.
Va, preliminarmente, respinta l’eccezione, formulata dalla difesa dell’amministrazione resistente, di inammissibilità del ricorso per intervenuta acquiescenza.
Il pagamento delle somme ingiunte può ragionevolmente collegarsi alla volontà della ricorrente di sottrarsi al pregiudizio ulteriore che sarebbe potuto derivare dalla esecuzione forzata posta in essere in base al provvedimento stesso, oltre che di conseguire il certificato di abitabilità. Ciò vale ad escludere che nell’avvenuto pagamento possa ravvisarsi acquiescenza con il conseguente venir meno dell’interesse ad insorgere avverso il provvedimento di diniego di accertamento di conformità ed il provvedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 41/2002 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 agosto 2005, n. 4424).
Né determina acquiescenza la dichiarazione contenuta nella nota del 3.5.2006, con cui la ricorrente ha chiesto all’amministrazione l’applicazione della sanzione pecuniaria in alternativa alla demolizione parziale del fabbricati realizzati in violazione della disciplina sulle distanze: tale atto è unicamente finalizzato ad ottenere l’applicazione di una sanzione meno gravosa ma non ha affatto palesato in modo chiaro ed incondizionato la volontà della ricorrente di accettare tutte le conseguenze derivanti dal provvedimento di annullamento parziale del permesso di costruire n. 41/2002, oltretutto, all’epoca, non ancora adottato dall’amministrazione.
Con il primo ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento con cui il Comune ha rigettato l’istanza di accertamento di conformità per violazione degli artt. 3, 10 e 10 bis, l. n. 241/1990 in quanto l’amministrazione non avrebbe valutato le istanze e le memorie presentate dalla V. s.r.l. nel corso del procedimento.
La censura è infondata.
A seguito della nota del 22.4.2006, con cui l’amministrazione ha comunicato, ai sensi dell’art. 10 bis, l. n. 241/1990, le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza di accertamento di conformità, la ricorrente ha inviato alla p.a. una nota del 3.5.2006 nella quale ha espressamente affermato di prendere atto del diniego e di non formulare osservazioni al riguardo.
Alcun particolare onere motivazionale incombeva, pertanto, in capo all’amministrazione.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta l’illegittimità dell’atto per violazione dell’art. 36, d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 3, l. n. 241/1990 ed eccesso di potere per incompletezza, contraddittorietà e carenze istruttorie.
Contesta, in particolare, la ricorrente la quantificazione del volume oggetto del diniego di sanatoria che, a suo avviso, sarebbe stato conteggiato erroneamente, non avendo la p.a. preso in considerazione la previsione di cui all’art. 3 delle n.t.a. (secondo cui per il calcolo delle volumetrie può essere assunta, in luogo della quota naturale del terreno, la quota sistemata attorno agli edifici per il dislivello di 1 mt.), l’art. 1.2, l. Regione Lombardia n. 26/1995 sul risparmio energetico, l’art. 9, l. n. 122/1989, l’art. 2, l. Regione Lombardia n. 22/1999 e l’art. 67, l. Regione Lombardia n. 12/2005 (concernenti deroga volumetrica per i box pertinenziali posti al piede dei vari edifici).
Per effetto di tali norme, la difformità volumetrica non sanabile non sarebbe pari a mc 248, come affermato dall’amministrazione comunale, ma si ridurrebbe a soli mc 18,41.
La verificazione effettuata dalla Direzione regionale della Lombardia dell’Agenzia del territorio ha appurato che la volumetria realizzata in eccesso ammonta a complessivi mc 421,98.
Per alcuni edifici (C2, E, F1+F2, G), l’Agenzia del territorio ha però accertato l’identità tra la volumetria realizzata e quella assentita con permesso di costruire n. 41/2002.
Il provvedimento impugnato, nella parte in cui nega il rilascio del permesso di costruire in sanatoria con riferimento a tali costruzioni, è illegittimo, non avendo tali fabbricati una volumetria maggiore rispetto a quella assentita.
Nella restante parte, il provvedimento è invece esente da censure essendo confermato, dagli esiti della verificazione, l’eccesso volumetrico.
Né il Collegio condivide le censure formulate dalla ricorrente in merito all’operato dell’Agenzia del territorio.
È, in particolare, corretta l’applicazione data dall’Agenzia del territorio dell’art. 3 delle n.t.a. (ai sensi del quale "è da intendersi quota naturale del terreno quella originaria preesistente, oppure quella sistemata attorno all’edificio, purché contenuta nel limite del dislivello massimo di 1,00 m rispetto alla quota originaria").
L’Agenzia ha computato la volumetria dei fabbricati A, B, C, D ed H al lordo dei volumi compresi tra la quota originaria del terreno e quella sistemata attorno all’edificio, senza alcuna detrazione, e ciò perché l’altezza media ponderata eccede il limite di 1, 00 m.
Per i fabbricati E, F e G la volumetria è stata computata al netto dei volumi posti sotto la quota sistemata attorno all’edificio in quanto l’altezza media ponderata non eccede il limite di 1,00 m.
Non viola alcun criterio di ragionevolezza ma è, al contrario, pienamente rispettoso della lettera della norma tecnica, considerare, ai fini del computo della volumetria, i volumi compresi tra la quota originaria del terreno e quella sistemata attorno all’edificio, laddove il dislivello ecceda il limite massimo di 1,00 m.
La norma è difatti chiara nel consentire di fare riferimento alla quota sistemata del terreno solo ove il dislivello si mantenga nel limite indicato e non può, dunque, essere letta come volta a prevedere un limite generale di tolleranza di dislivello pari ad un metro.
Attesa, dunque, la correttezza di questo conteggio, il diniego di sanatoria – con riferimento ai fabbricati A, B1+B2, C1, D ed H – è da ritenersi pienamente legittimo: anche ove non si considerasse, nel computo della volumetria, il maggior spessore dei solai, in applicazione delle disposizioni della l. reg. Lombardia n. 26/1995 sul risparmio energetico, non si addiverrebbe, comunque, per nessuno di questi fabbricati, ad un azzeramento dell’eccesso volumetrico (cfr. relazione allegata alla domanda di accertamento di conformità).
Con il secondo ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente impugna l’ordinanza n. 47 del 18.7.2006 con cui il Comune di Inverigo ha disposto l’annullamento parziale della concessione edilizia n. 41/02.
Con ordinanza 15 marzo 2007, n. 23, il Comune di Inverigo ha riconosciuto l’erroneità del richiamo alla distanza tra edifici contenuto nell’ ordinanza n. 47 con riferimento ai due fabbricati I e P ed ha ritenuto di non dover considerare, ai fini della determinazione della sanzione, le superfici relative alle porzioni di tali fabbricati realizzate a distanza inferiore a m. 5 dai confini.
Poiché, quindi, con riferimento a tali fabbricati, dall’annullamento in autotutela del titolo abilitativo non deriva alcuna conseguenza sanzionatoria, va dichiarata, in questa parte, la cessazione della materia del contendere.
Non può, poi, portare all’annullamento dell’atto impugnato la circostanza che nella comunicazione di avvio del procedimento, le opere sono state qualificate come realizzate in difformità rispetto alla concessione edilizia mentre con l’ordinanza impugnata sono state ritenute conformi al titolo abilitativo, che è, però, stato annullato in autotutela per non corretta rappresentazione dello stato dei luoghi.
L’erroneità dell’indicazione fornita dall’amministrazione nella comunicazione di avvio del procedimento non ha comunque impedito alla ricorrente di comprendere le ragioni poste alla base del procedimento né di poter partecipare all’iter procedimentale, avendo la stessa dettagliatamente argomentato in merito alla contestata violazione delle norme sulle distanze, con nota del 3.5.2006.
Non è, parimenti, fondata la censura proposta con il terzo motivo di ricorso: l’amministrazione ha, difatti, adeguatamente dato conto delle ragioni giustificative poste alla base del provvedimento impugnato, richiamando l’erroneità della rappresentazione dello stato dei luoghi nelle planimetrie allegate al titolo edilizio ed indicando, per ogni fabbricato, la violazione contestata e le norme tecniche attuative alle quali ha dato applicazione, senza che fosse, dunque, necessaria una puntuale replica a tutte le osservazioni formulate dalla ricorrente.
È infondata anche la contestazione relativa alle modalità di calcolo della distanza con riferimento agli edifici N ed O.
L’art. 2.11 delle n.t.a., nel prevedere che nel caso di edifici non fronteggianti la distanza si misura tra gli spigoli nella proiezione orizzontale delle parte, attribuisce rilievo alla distanza radiale tra gli spigoli. D’altro canto la stessa ricorrente, nella nota del 3.5.2006, ha utilizzato questa stessa modalità di calcolo ed ha, altresì, riconosciuto che i due fabbricati si pongono ad una distanza inferiore ai previsti 10 m. dagli edifici confinanti (cfr. doc. n. 5 depositato in giudizio dall’amministrazione, all. 5).
Quanto alla censura con cui viene contestata l’applicazione della norma che prevede il rispetto della distanza di m. 10 con riferimento all’edificio A va dichiarata la cessazione della materia del contendere: la stessa amministrazione, in sede di adozione dell’ordinanza 23 del 15.3.2007, ha, difatti, riconosciuto che la confinante costruzione accessoria ha un’altezza fuori terra pari a m. 2,50 e, pertanto, non è soggetta alla distanza minima di 10 m., come dispone l’art. 13, c. 2, lett. a delle n.t.a.
È, infine, infondato l’ultimo motivo con cui la ricorrente lamenta la violazione e mancata applicazione dell’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001.
Tale disposizione non trova invero applicazione nel caso di specie: a fronte dell’annullamento in autotutela di un permesso di costruire, il testo unico dell’edilizia prevede che venga irrogata la sanzione prevista dall’art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 (Interventi eseguiti in base a permesso annullato) e non quella di cui all’art. 34 (Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire).
Per le ragioni esposte, il ricorso va in parte accolto ed in parte respinto; in parte va dichiarata la cessazione della materia del contendere.
In considerazione della reciproca soccombenza, le spese di lite sono integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo accoglie, in parte lo respinge ed in parte dichiara cessata la materia del contendere.
Per l’effetto, annulla il provvedimento prot. 6933 del 16.5.2006 nei limiti di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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