Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-10-2010) 04-02-2011, n. 4195 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 1 febbraio 2010 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Crotone rigettava la richiesta del pubblico ministero di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di L.L. in ordine al reato di associazione per delinquere (capo H) e ad altri reati a lui ascritti individualmente (capo C: artt. 81 e 314 c.p.; capo D: art. 490 c.p., art. 61 c.p., n. 2) e in concorso con il figlio L. G. ed altri soggetti (capo A: artt. 81, 110 e 353 c.p. e art. 640 c.p., comma 2; capo B; artt. 81, 110 e 356 c.p., art. 640 c.p., comma 2 e art. 479 c.p.; capo E: artt. 81, 110 e 353 c.p. e art. 640 c.p., comma 2; capo G: artt. 81, 110 e 323 c.p. e art. 640 c.p., comma; capo L: L. n. 17 del 1982, artt. 1 e 2; capo M: art. 81 cpv. c.p., artt. 110, 323 e 479 c.p.). Detti reati, secondo la ricostruzione accusatoria, sarebbero stati commessi nell’ambito di un accordo criminoso diretto ad un sistematico accaparramento degli appalti relativi alla fornitura di materiale didattico, supporti informatici e arredi per gli istituti scolastici posto in essere da L.L., responsabile del Centro Servizi amministrativi di Crotone, a favore delle società del figlio L.G., con il concorso di numerosi dirigenti scolastici.

Il Tribunale di Catanzaro, in accoglimento parziale dell’appello proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza di rigetto emessa dal giudice per le indagini preliminari, disponeva nei confronti di L.L. l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, con divieto di comunicazione telefonica e telematica con persone diverse dalle persone che lo assistevano o che con lui coabitavano, limitatamente ai reati contestati ai capi A, B, C, D, E, G, H, ed M. L.L. ha proposto, tramite il difensore, ricorso per Cassazione.

Con il primo motivo si deduce l’erronea applicazione della legge penale ( art. 606 c.p.p., lett. b), con riferimento all’art. 273 c.p.p., D.Lgs. n. 59 del 1998, D.I. n. 44 del 2001, art. 34, artt. 353, 640, 356, 479, 314, 490, 323 e 416 c.p. e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 273 c.p.p. e artt. 353, 640, 356, 479, 314, 490 e 416 c.p.; in particolare secondo il ricorrente:

a) – non si sarebbe tenuto conto che il D.I. n. 44 del 2001, art. 34 prevede la comparazione almeno tra tre offerte nel caso che gli acquisti, gli appalti e le forniture abbiano un valore eccedente Euro 2.000,00 o, anche, il diverso limite preventivamente fissato dal consiglio d’istituto; nel caso in esame non si sarebbe proceduto a verificare se i diversi consigli d’istituto interessati avessero preventivamente stabilito un limite diverso;

b) – non si sarebbe tenuto conto che, oltre ai dirigenti scolastici asseritamente compiacenti e coindagati, i quali avevano assunto gli impegni di spesa, spettava ai direttori servizi generali e amministrativi (D.S.G.A.) dei singoli istituti (non sottoposti ad indagini) la liquidazione delle spese previo accertamento, nel caso di acquisto di beni, della regolarità della fornitura sulla base dei titoli e dei documenti giustificativi; non si sarebbe inoltre considerato che se gli acquisti delle singole scuole sono disciplinati dal D.I. n. 44 del 2001, quelli effettuati dal C.S.A., oggi Ufficio scolastico regionale (U.S.R.), o da altro Ufficio scolastico sono disciplinati dal Decreto direttoriale 5 febbraio 2002 che all’art. 4 lett. i, m, n indica quale soglia massima l’importo di Euro 130.000,00 (oggi elevato a Euro 137.234,00, oltre I.V.A., per singolo anno), soglia che nel caso specifico non sarebbe stata superata essendo oggetto di contestazione vendite in favore del C.S.A. per Euro 90.000,00, compresa I.V.A., nell’arco di cinque anni;

c) – quanto ai beni forniti al C.S.A. di Crotone, per l’importo di Euro 75.000,00, pagati con fondi delle singole scuole, erroneamente si sarebbe affermato che i beni in questione, non rinvenuti, erano stati oggetto di fatturazione per operazioni inesistenti, essendo allegato agli atti un verbale di consegna da parte di L.L. al dott. M.G. del 16 aprile 2009; il materiale non rinvenuto presso il C.S.A. di Crotone sarebbe quello trasmesso alla Direzione Generale Regionale di Catanzaro Lido in data 11 dicembre 2006 e verificato da T.E. e S.G. (consegnatario regionale);

d) – quanto all’utilizzazione di fondi di un istituto scolastico per le esigenze di altri istituti o uffici, si tratterebbe di una prassi non anomala perchè utilizzata a livello nazionale fino all’anno 2008 e, quindi, fino all’entrata in vigore del provvedimento di adeguamento della contabilità speciale dell’Ufficio scolastico provinciale (U.S.P.); in prossimità della scadenza dell’esercizio finanziario il Ministero dell’Istruzione assegnava fondi direttamente alle contabilità speciali dell’U.S.P. capoluogo di regione, che li allocava presso le singole scuole quali depositane tesoriere; la liquidazione delle somme da parte dell’U.S.P. o della Direzione generale regionale avveniva poi con il previo assenso del Consiglio d’istituto interessato;

secondo il ricorrente il Tribunale di Catanzaro, senza prendere in considerazione la normativa di settore, avrebbe quindi acriticamente recepito le conclusioni investigative della Guardia di Finanza, senza tener conto delle fonti dichiarative favorevoli e senza valutare la genuinità delle fonti eteroaccusatorie; nell’ordinanza impugnata si sarebbero valorizzate le dichiarazioni rese da S.F., Lo.Pa. e Lo.Fo. introdotte dal pubblico ministero attraverso la documentazione prodotta prima dell’udienza camerale (i tre non avevano riconosciuto le firme apposte sulle singole offerte comparate con quelle della società facente capo a L.G.), senza considerare che l’ipotizzata associazione criminosa – una volta esclusa la partecipazione dei Lo., di S. e dei singoli dirigenti scolastici – non comprenderebbe il numero minimo di tre soggetti partecipi dell’ipotizzato accordo delinquenziale.

Con il secondo motivo si deduce l’assenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alle esigenze cautelari ( art. 274 c.p.p., lett. c) in quanto il Tribunale, pur escludendo l’esistenza di indizi in ordine all’associazione segreta (nell’abitazione di L.L. era stato trovato l’elenco di appartenenti ad una loggia massonica) ipotizzata al capo L, non avrebbe tenuto conto dei documenti prodotti dalla difesa ( decreto 5 novembre 2008 di collocamento a riposo di L.L. per raggiunti limiti di età; documentazione relativa alla messa in liquidazione o non attività delle società facenti capo a L.G.) nè del fatto che le condotte criminose sarebbero comunque cessate nell’anno 2008.

Il primo motivo è infondato.

Con il ricorso si espongono doglianze sull’inquadramento giuridico delle condotte contestate senza tener conto della dettagliata motivazione dell’ordinanza impugnata nella quale, a sostegno della gravità indiziaria, si indicano specificamente le anomalie ricorrenti nelle singole gare in cui erano risultate aggiudicatane le due società riconducibili a L.G.. In particolare il giudice di merito ha ricostruito, in maniera dettagliata e documentata, il sistematico accaparramento degli appalti di fornitura di materiale didattico, arredi e supporti informatici a favore delle società (Enigma Research s.r.l e Askmore) riconducibili a L. G. nel periodo compreso tra il 2003 e il 2007, periodo nel corso del quale il padre L. era responsabile del Centro servizi amministrativi di (OMISSIS). Il Tribunale ha posto in adeguato rilievo, attraverso una circostanziata e precisa esposizione dei risultati dell’attività investigativa svolta dalla Guardia di Finanza, che le numerose acquisizioni contabili e documentali e le sommarie informazioni rese dalle persone informate avevano consentito di accertare, oltre a episodi di forniture fittizie a istituti scolastici di merci fatturate, che in svariati casi le gare in cui erano risultate aggiudicatane le società facenti capo a L. G. erano state precedute da intese collusive con le ditte (apparentemente) concorrenti sull’entità delle offerte e, inoltre, che in molte procedure delle tre offerte presentate (il numero minimo richiesto) due erano riconducibili a L.G. e la terza ad un altro soggetto con il quale era stata preventivamente concordata l’entità dell’offerta più vantaggiosa. Dalle indagini svolte dalla Guardia di Finanza era emerso, inoltre, che il gruppo di persone a vario titolo coinvolto nel considerevole numero di reati accertati era costituito da L.L. (che subordinava l’erogazione di fondi alle scuole per il finanziamento di progetti didattici all’invito delle società del figlio G. alle gare di appalto), da L.G. (il quale direttamente entrava in contatto con i dirigenti degli istituti scolastici), da vari dirigenti d’istituto (i quali, contravvenendo a quanto previsto dal D.I. n. 44 del 2001, art. 34, procedevano all’affidamento diretto anche nei casi in cui l’appalto superava la soglia dei Euro 2.000,00 o, comunque, ritenevano più vantaggiosa l’offerta presentata dalle società di L.G. nonostante ciò apparisse ictu oculi non veritiero), dai titolari di ditte (quasi sempre le stesse, mai aggiudicatarie) che partecipavano alle gare solo formalmente avendo preventivamente comunicato a L.G. l’entità della loro offerta. Correttamente, anche attraverso un espresso e puntuale richiamo ai principi della giurisprudenza di legittimità in materia di associazione per delinquere, è stata ravvisata la gravità indiziaria in relazione agli specifici reati contestati a L. L. (tranne quello contestato al capo L) nonchè al reato associativo, in considerazione del considerevole numero di reati commessi con identiche modalità e dell’intesa di commetterne una serie indeterminata nel quadro di una stabile struttura organizzativa di persone consapevolmente partecipi del comune programma criminoso, con precisa suddivisione dei ruoli e con modalità esecutive collaudate nell’arco di ben quattro anni.

In tale contesto, che descrive una generalizzata situazione di condotte illegali finalizzate a favorire le società del figlio del responsabile del Centro servizi amministrativi di Crotone, i rilievi difensivi relativi alla possibile fissazione di un limite superiore a quello di Euro 2.000,00 da parte dei diversi consigli d’istituto risultano del tutto generici, perchè privi di riferimenti a specifiche situazioni in contrasto con le emergenze investigative.

Quanto alla mancata sottoposizione alle indagini dei direttori dei servizi generali e amministrativi dei singoli istituti, si tratta di un’osservazione riguardante un fatto (l’eventuale concorrente responsabilità di altri soggetti) del tutto privo di rilevanza con riferimento alla posizione del ricorrente. Il riferimento al decreto direttoriale 5 febbraio 2002 è anch’esso generico poichè, sulla base degli atti trasmessi a questa Corte, non risulta che per gli acquisti di beni e servizi cui si fa riferimento nell’ordinanza impugnata si sia proceduto da parte del C.S.A., ai sensi dell’art. 4 del citato decreto direttoriale, all’acquisto di beni e servizi in economia nel limite di Euro 130.000,00 o comunque che sia stato motivato, come prescritto in tale caso, il ricorso a procedure non concorsuali. Quanto alla tesi difensiva dell’effettiva consegna alla Direzione generale regionale di Catanzaro Lido in data 11 dicembre 2006 di materiale destinato a singoli istituti scolastici, il ricorrente in sostanza propone una diversa lettura delle risultanze investigative attribuendo al verbale di consegna citato nel ricorso un contenuto corrispondente a quello del materiale informatico formalmente destinato alle scuole, ma "dirottato" al C.S.A. cui non risultava essere stato consegnato (il Tribunale nell’ordinanza impugnata ha peraltro fatto puntuale riferimento, in proposito, alle dichiarazioni di G.M. e alla catagolazione effettuata il 15 luglio 2009 dalla Guardia di Finanza di tutti i mobili, arredi ed apparecchiature informatiche presenti presso l’Ufficio scolastico provinciale, già C.S.A., di Crotone, senza che il materiale formalmente acquistato dall’Istituto comprensivo C.M. G. di (OMISSIS) e allo stesso fatturato venisse rinvenuto o risultasse comunque preso in carico cartolarmente). Anche la riferita prassi dell’utilizzazione di fondi di un istituto scolastico per le esigenze di altri istituti o uffici costituisce, a parere della Corte, la mera prospettazione di una versione difensiva che, allo stato, non è idonea a smentire la valutazione del complessivo materiale indiziario scrupolosamente esaminato e valutato nell’ordinanza impugnata, con precisi riferimenti a documenti e dichiarazioni rese da persone informate che costituiscono una solida base per affermare la gravità del quadro indiziario a carico del ricorrente. Infondato è, inoltre, il rilievo relativo alla pretesa mancanza del numero minimo di tre persone per poter ravvisare gli estremi del reato di associazione per delinquere in quanto – pur escludendo, in ipotesi, S.F., Lo.Pa. e L.F. che non hanno riconosciuto le firme apposte sulle singole offerte comparate con quelle delle società facenti capo a L.G. – rimarrebbero gravemente indiziati, oltre a L. L., quanto meno L.G., P.M. e le altre persone che risultano indagate in ordine al reato di associazione per delinquere dall’imputazione provvisoria risultante dall’atto di appello del pubblico ministero. Quanto infine alle ulteriori doglianze difensive circa la sussistenza di gravi indizi in ordine al reato associativo, la Corte rileva che è consolidata la giurisprudenza di legittimità in tema di associazione per delinquere nel senso che la ripetuta commissione, in concorso con i partecipi al sodalizio criminoso, anche di un solo reato-fine integra, per ciò stesso, gravi, precisi e concordanti indizi in ordine alla partecipazione al reato associativo, superabili solo con la prova contraria che il contributo fornito non è dovuto ad alcun vincolo preesistente con i correi (Cass. sez. 2, 22 gennaio 2010 n.5424, Syndial; sez. 1, 20 gennaio 2010 n.6308, Ahmed; sez. 3, 16 ottobre 2008 n.43822, Romeo; sez. 5, 25 marzo 1997 n.6026, Puglia).

Il secondo motivo è, invece, fondato e rende indispensabile l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente alla ritenuta esigenza cautelare. A fronte di condotte criminose commesse attraverso la strumentalizzazione delle funzioni pubbliche svolte da L.L., nessuna rilevanza risulta essere stata attribuita, nella valutazione della sussistenza del pericolo concreto di reiterazione della condotta criminosa, alla circostanza che il L., come risulta dalla documentazione prodotta dalla difesa al giudice di merito, sia stato collocato a riposo con decreto in data 5 novembre 1998 (mentre le società del figlio coindagato, come documentato dalla difesa, non risultano più operanti). E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte che il giudice della cautela – per affermare la persistenza del pericolo di reiterazione criminosa in riferimento a reati connessi alla funzione pubblica esercitata dall’imputato o indagato – deve dare adeguata e logica motivazione, ove la funzione pubblica non venga più svolta per sospensione o cessazione dal servizio, in ordine all’irrilevanza dell’attuale posizione di soggetto divenuto estraneo alla pubblica amministrazione, con riferimento alle concrete e specifiche circostanze di fatto che concorrono a evidenziare la probabile rinnovazione di analoghe condotte criminose (Cass. sez. 6, 16 dicembre 2009 n.1963, Rotondo; sez. 6, 28 gennaio 1997 n.285, Ortolano; sez. 6, 30 maggio 1995 n.2179, Stilo). Manca infatti nell’ordinanza impugnata l’indicazione di concreti elementi dai quali sia possibile desumere che l’indagato – tenuto del suo collocamento a riposo e, quindi, dell’allontanamento dall’ambiente scolastico di Crotone in cui era maturato il sistema collusivo – sia attualmente in condizione di reiterare la condotta criminosa. Inoltre le considerazioni contenute nell’ordinanza impugnata circa la distinzione tra l’attualità del fatto illecito e l’attualità delle esigenze cautelari, in particolare di quella prevista dall’art. 274 c.p.p., lett. c), sono del tutto generiche perchè prive di concreto riferimento alla particolare posizione di L.L.. Questa Corte ha più volte affermato in tema di misure cautelari (Cass. Sez.Un. 24 settembre 2009 n.40538, Lattanzi; Cass. sez. 2, 8 maggio 2008 n.21564, Mezzatenta; sez. 6, 15 gennaio 2003 n. 10673, Khiar Mohamed Zenab) che il riferimento al "tempo trascorso dalla commissione del reato" di cui all’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacchè ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari. Il giudice di merito nel caso in esame non risulta aver compiuto, nonostante fossero trascorsi circa tre anni dalla cessazione della condotta criminosa ascritta al ricorrente, uno specifico esame della personalità dell’indagato e delle condotte ascrittegli.

Dette carenze impongono l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente alla ritenuta esigenza cautelare, con rinvio al Tribunale di Catanzaro per un più approfondito esame circa l’effettiva sussistenza dell’esigenza cautelare prevista dall’art. 274 c.p.p., lett. c).

Il ricorso, nel resto, deve essere rigettato.
P.Q.M.

Annulla l’impugnata ordinanza limitatamente alla ritenuta esigenza cautelare, con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame sul punto.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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