Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-10-2010) 04-02-2011, n. 4194 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 26 aprile 2010 il Tribunale di Messina respingeva le richieste di riesame presentate nell’interesse di V.N. e D.S.F. avverso l’ordinanza emessa il 10 aprile 2010 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina, con la quale era stata disposta l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del V. e di quella degli arresti domiciliari nei confronti della D.S., in relazione al reato di usura per entrambi e per il V. anche in relazione al delitto di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 9.

I gravi indizi erano stati desunti dalle dettagliate dichiarazioni della persona offesa G.G., amministratore di una società esercente la vendita di mobili, circa il rapporto di natura usuraria instaurato con il V., il quale aveva preteso un interesse del 30% mensile per i prestiti a breve termine e del 10% mensile per i prestiti a lungo termine. Quanto alla D.S., dalle dichiarazioni del G. era emerso il suo ruolo di attiva collaboratrice nell’attività di usura con il coindagato, al quale era legata da un rapporto sentimentale.

Avverso la predetta ordinanza il V. ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) la violazione di legge in relazione alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e l’illogicità e contraddittorietà della motivazione, essendo stata attribuita attendibilità in maniera del tutto acritica alle dichiarazioni della persona offesa senza tener conto della versione difensiva resa dal V. dopo l’arresto per giustificare i suoi rapporti con il G.;

2) la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare prevista dall’art. 274 c.p.p., lett. c) in mancanza dell’esposizione di concrete e specifiche ragioni, al di là della violazione da parte del V. degli obblighi imposti dalla misura di prevenzione applicata nei suoi confronti, che giustificassero la misura cautelare più afflittiva.

Il primo motivo è inammissibile perchè generico e, comunque, manifestamente infondato. Il ricorrente si limita a contestare, in maniera del tutto superficiale, la valutazione contenuta nell’ordinanza impugnata circa la gravità degli indizi di colpevolezza emergenti dalle dettagliate dichiarazioni della persona offesa, la cui attendibilità intrinseca risulta essere stata positivamente valutata. Infatti il Tribunale del riesame ha posto in evidenza, con argomentazione razionale e logica, che la persona offesa G.G. non aveva dimostrato particolare animosità nei confronti del V. avendo reso le dichiarazioni accusatorie non spontaneamente, ma solo a seguito di convocazione da parte della Squadra mobile della Questura di Messina intervenuta sulla base di un’informazione confidenziale. Dette dichiarazioni – estremamente precise e dettagliate, come risulta dall’ordinanza impugnata che ne sintetizza il contenuto, e non messe in discussione specificamente dal ricorrente – avevano inoltre trovato riscontro, come affermato dal giudice di merito, nella documentazione (copie di assegni e scrittura privata di rateizzazione di un debito di Euro 60.000,00) prodotta dallo stesso G. nonchè dalla diretta osservazione da parte degli agenti operanti di un incontro avvenuto il (OMISSIS) tra il G. e il V., incontro all’esito del quale quest’ultimo era stato trovato in possesso delle banconote consegnategli dal G., dell’assegno non incassabile perchè privo di copertura che al G. avrebbe dovuto essere consegnato in cambio del denaro e di appunti manoscritti che confermavano il racconto della persona offesa riportando annotazioni riferibili ai prestiti usurari denunciati.

Il Tribunale del riesame non ha mancato inoltre di evidenziare, con argomentazioni immuni da vizi logici, che il V. aveva sostanzialmente confermato i prestiti effettuati al G. – di cui a suo dire sarebbe diventato socio occulto, con il riconoscimento di un guadagno fisso e indipendente dall’effettiva redditività dell’impresa, e che, comunque, la versione difensiva di un accordo con la persona offesa per scommesse sportive era confusa e priva di qualunque elemento di conferma. Il ricorrente si limita, per contro, a prospettare con estrema genericità una rilettura in fatto degli elementi indiziari già presi in considerazione e analiticamente valutati nella loro complessiva gravità dal Tribunale del riesame, che ha adeguatamente giustificato le conclusioni circa la sussistenza della gravità indiziaria attraverso una puntuale valutazione delle emergenze investigative e una motivazione coerente e lineare, conforme ai principi di diritto che governano le risultanze probatorie ed esente da contraddizioni e manifeste illogicità (Cass. Sez.Un. 22 marzo 2000 n. 11, Audino; sez. 4, 3 maggio 2007 n.22500, Terranova). Va ribadito, infatti, che il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro lato, la valenza sintomatica degli indizi senza coinvolgere il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. (Cass. Sez.Un.30 aprile 1997 n.6402, Dessimone; sez. 120 marzo 1998 n. 1700, Barbaro).

Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale ritenuto la sussistenza del pericolo di reiterazione criminoso prendendo non solo in considerazione le circostanze dell’arresto in flagranza che aveva interrotto la condotta usuraria nei confronti del G., ma anche indicando ulteriori significativi elementi quali gli appunti sequestrati che riguardavano rapporti di natura verosimilmente usuraria con altri soggetti, il decreto di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno emesso anche in relazione al coinvolgimento del V. in diversi procedimenti per usura, il rinvenimento nell’abitazione dell’indagato di materiale (tra cui il timbro di una struttura ospedaliera, fogli intestati all’Azienda ospedaliera Piemonte e bollettari medici) riconducibile ragionevolmente ad attività illecite, la disponibilità di uno "studio legale", i precedenti penali per spendita di monete false e per usurpazione di titoli. Nell’ordinanza impugnata risulta, pertanto, indicata una serie di elementi, concreti e specifici, tali da consentire di affermare, con ragionevole certezza, che il V. potesse commettere delitti della stessa specie di quello per cui si procedeva e di ravvisare con congrua motivazione la sussistenza dell’esigenza cautelare prevista dall’art. 274 c.p.p., lett. c) che – anche nella formulazione novellata dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, art. 3 – può essere correttamente dedotta dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla personalità dell’agente. La motivazione è congrua anche con riferimento al giudizio di esclusiva adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere che, per quanto specificamente riguarda l’esigenza di prevenzione di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), può essere ritenuta soltanto quando elementi specifici, inerenti al fatto, alle motivazioni di esso ed alla personalità del soggetto indichino quest’ultimo come propenso all’inosservanza degli obblighi connessi di una diversa misura (Cass. sez. 2, 21 ottobre 1997 n. 5699, Primerano; sez. 1, 15 luglio 2010 n. 30561, Micelli). Infatti il giudice di merito ha posto in evidenza, a questo riguardo, il perseverare del V. nella condotta criminosa nonostante i precedenti penali e la sottoposizione a misura di prevenzione, elementi che giustificano adeguatamente la ritenuta propensione dell’indagato all’inosservanza degli obblighi connessi all’applicazione di una diversa misura cautelare e l’affermazione di inadeguatezza, in particolare, della misura cautelare degli arresti domiciliari.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *