Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-10-2010) 04-02-2011, n. 4193 Durata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 19 maggio 2010 il Tribunale di Caltanissetta rigettava l’appello proposto nell’interesse di P.G. avverso l’ordinanza emessa il 20 marzo 2010 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gela con la quale veniva rigettata l’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare in relazione all’ordinanza emessa il 10 dicembre 2009 per il delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso relativa al periodo dal 2002 al 2005 nonchè per il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, previa retrodatazione dell’inizio della custodia cautelare in coincidenza con l’esecuzione dell’ordinanza emessa il 15 gennaio 2007 per il delitto di estorsione aggravata ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, commesso nell’anno (OMISSIS).

Il Tribunale ha escluso sia la sussistenza di una connessione qualificata ex art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b tra il reato associativo e l’estorsione aggravata dal metodo mafioso sia la desumibilità degli elementi posti a fondamento della seconda ordinanza già al momento dell’emissione della prima, trattandosi di indagini distinte originate da diverse notizie di reato e fondate su diversi elementi (per il reato di estorsione, oggetto della prima ordinanza di custodia cautelare, le dichiarazioni della persona offesa; per il reato associativo le intercettazioni telefoniche e le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia tra i quali L. e T., sentiti in epoca successiva alla prima ordinanza).

Avverso la predetta ordinanza il P., personalmente e tramite il difensore, ha proposto, ricorso per Cassazione.

Con il ricorso presentato personalmente si deduce:

1) la violazione dell’art. 310 c.p.p., art. 297 c.p.p., comma 3 e art. 125 c.p.p. e il vizio della motivazione con riferimento all’immotivata mancata acquisizione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa nell’agosto 2004 in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p., richiesta con l’atto di appello;

2) l’erronea applicazione dell’art. 297 c.p.p. e la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in quanto l’estorsione del 2003, contestata con la prima ordinanza custodiale, era già "delineata" sin dalla costituzione dell’associazione criminale oggetto della seconda ordinanza, associazione operante dal 2002 ai danni di commercianti i quali avevano dichiarato di essere stati "vessati" sin dall’anno 1991;

3) l’erronea applicazione dell’art. 297 c.p.p. e la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione al mancato riconoscimento della desumibilità degli elementi posti a base della seconda ordinanza custodiale sin dall’emissione della prima, poichè la diversità dei procedimenti e degli organi di polizia che avevano condotto le indagini non sarebbe a tal fine rilevante secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte;

contesta, comunque, che nella seconda ordinanza si facesse riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori L. e T. a suo carico, rese successivamente alla richiesta del pubblico ministero di applicazione della misura custodiale.

Con il ricorso presentato dal difensore si deduce l’errata applicazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3 in quanto i clan operanti nel territorio di (OMISSIS) erano notoriamente dediti principalmente alle estorsioni e le dichiarazioni dei collaboratori L. e T., assunte dopo l’emissione della prima ordinanza, erano ultronee rispetto agli elementi già a conoscenza della Procura in ordine al reato associativo contestato con la seconda ordinanza custodiale; la diversità dei procedimenti e degli organi di polizia che avevano effettuato le indagini e l’esistenza di due distinte comunicazioni di notizie di reato sarebbero irrilevanti, trattandosi comunque di attività investigative coordinate dallo stesso pubblico ministero; le esigenze cautelari soddisfatte nell’ambito del primo procedimento dovrebbero quindi valere, secondo il difensore, anche nel successivo.

Il primo motivo del ricorso proposto personalmente dal P. è generico e, comunque, manifestamente infondato poichè l’acquisizione di un’ulteriore ordinanza custodiale emessa nell’anno 2004, che non sembra peraltro riferirsi alla persona del ricorrente perchè relativa a fatti commessi quando il P. era minorenne, è stata implicitamente ritenuta superflua dal Tribunale del riesame.

Devono considerarsi, infatti, implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e inconciliabili con la ricostruzione del fatto recepita e con le valutazioni giuridiche sviluppate (Cass. sez. 4, 24 ottobre 2005 n. 1 149, Mirabilia; sez. 4, 4 giugno 2004 n.36757, Perino). Nè, peraltro, il ricorrente fornisce elementi di chiarezza sull’utilità dell’acquisizione dell’ordinanza emessa nell’anno 2004, apparentemente relativa a indagati diversi e a condotte criminose commesse in tempi diversi ("…se il medesimo g.i.p. ha ritenuto di firmare l’ordinanza del 2004 717/04 R.G.i.p. che tratta le stesse condotte criminogene associative ora ricontestate nel proc. 35/05, basandosi sulle dichiarazioni del 2003 dei fratelli C. e tale F., non può sostenere che ai fini dell’emissione dell’o.c.c. 35/05 doveva completare l’escussione di altri collaboratori…").

Il secondo e il terzo motivo del ricorso presentato personalmente dal P. e il ricorso presentato dal difensore, che sostanzialmente riassume le doglianze contenute nell’altro ricorso, sono del pari manifestamente infondati.

Va premesso che – secondo la più recente giurisprudenza in tema di c.d. contestazione a catena delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez.Un. 19 dicembre 2006 n. 14535, Librato) che ha recepito le indicazioni della sentenza n. 408 del 2005 della Corte costituzionale, dichiarativa della parziale illegittimità dell’art. 297 c.p.p., comma 3 – nel caso in cui vengano adottate in procedimenti diversi nei confronti dello stesso soggetto ordinanze cautelari riguardanti fatti tra i quali non sussiste la connessione qualificata e gli elementi giustificativi della seconda ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero.

Il Tribunale di Caltanissetta ha fatto puntuale applicazione di tale principio giurisprudenziale escludendo, con motivazione congrua e logicamente coerente, sia la ravvisabilità tra i fatti oggetto delle due ordinanze cautelari della c.d. connessione qualificata ex art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b) (medesimezza del disegno criminoso) sia, in via alternativa, la desumibilità degli elementi giustificativi della seconda ordinanza già al momento dell’emissione della prima ordinanza.

Nell’ordinanza impugnata, relativamente alla c.d. connessione qualificata, il giudice di merito ha posto in evidenza che la condotta estorsiva aggravata dall’aver agito mediante metodo mafioso, contestata al P. con la prima ordinanza custodiale, era circoscritta all’anno 2003 e che nessun specifico elemento consentiva di affermare che sin dal momento della costituzione dell’associazione per delinquere di stampo mafioso detta condotta fosse stata programmata dal ricorrente nelle sue linee essenziali. Il giudice di merito si è così uniformato alla consolidata giurisprudenza di legittimità, puntualmente richiamata nel provvedimento impugnato, secondo la quale l’unicità del disegno criminoso non può identificarsi con l’abitualità o professionalità nel delitto o con la generale tendenza a porre in essere determinati reati o comunque con una scelta di vita che implichi la reiterazione di determinate condotte criminose, poichè le singole violazioni devono costituire parte integrante di un unico programma deliberato nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine, richiedendosi, in proposito, la progettazione ab origine di una serie ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali (Cass. sez. 2, 7 aprile 2004 n. 18037, Tuzzeo). Pertanto correttamente nel provvedimento impugnato l’identità o analogia delle violazioni non sono state ritenute elementi idonei ad affermare che le condotte criminose contestate nell’ambito dei due distinti procedimenti al P. – il quale si era limitato a dedurre come le persone offese avessero dichiarato di essere state sottoposte ad estorsione sin dal 1991 (quando, peraltro, il P. aveva solo sette anni)- fossero il risultato di un’originaria ideazione e determinazione volitiva. Quanto all’elemento temporale, cui il ricorrente sembra annettere una particolare importanza, va rilevato che i tempi di commissione dei reati contestati nelle due ordinanze di custodia cautelare sono solo parzialmente coincidenti e che, comunque, il dato cronologico costituisce solo uno dei plurimi elementi valutabili ai fini della sussistenza dell’unicità del disegno criminoso. Del resto il mero riferimento alla contiguità cronologica degli addebiti ovvero all’identità o analogia dei titoli di reato, in mancanza di concreti e specifici elementi sull’unicità del disegno criminoso, non sono elementi sufficienti a far ritenere che i singoli episodi criminosi (nel caso concreto accertati nell’ambito di indagini sviluppatesi autonomamente, che avevano dato luogo a distinte e non sovrapponibili comunicazioni di notizie di reato) costituiscano l’attuazione, dilazionata nel tempo, di un progetto criminoso unitario, manifestandosi piuttosto come sintomi di un’abitualità criminosa e di una scelta di vita ispirata alla sistematica commissione di illeciti omogenei (Cass. sez. 7, 16 dicembre 2008 n.5305, D’Amato; sez. 5, 25 settembre 2009 n.49476, Notaro; sez. 5, 6 maggio 2010 n.21326, Faneli). Il giudice di merito ha, pertanto, dato adeguato conto dei criteri utilizzati per escludere la configurabilità dell’unitario disegno criminoso (e, quindi, negare i presupposti per la retrodatazione della data di inizio della custodia cautelare) che, comunque, costituisce una questione di fatto, rimessa quanto alla valutazione del materiale probatorio o indiziario all’apprezzamento esclusivo del giudice di merito che deve adeguatamente e logicamente motivare il proprio convincimento ed è incensurabile in sede di legittimità ove, come nel caso in esame, congniamente motivata (Cass. sez. 4, 18 gennaio 2010 n. 9990, Napolitano; sez. 1, 27 maggio 2008 n.22681, Camello;

sez. 4 13 giugno 2007 n.25094, Coluccia).

Quanto alle doglianze difensive circa l’erronea applicazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3 sotto il profilo della desumibilità dagli atti, sin dall’emissione della prima ordinanza di custodia cautelare, degli elementi giustificativi della seconda ordinanza, la Corte osserva che – secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare nel caso di una pluralità di misure cautelari emesse contro la stessa persona per fatti diversi (Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2006 n. 14535, Librato; sez. 6, 20 dicembre 2006 n. 12676, Barresi; sez. 4, 3 luglio 2007 n.44316, Delisay; sez. 5, 20 novembre 2007 n. 47090, Barone)- il concetto di desumibilità dagli atti concernenti la prima ordinanza dei fatti posti a fondamento di quella successiva non va confuso con la mera conoscenza di determinati fatti o comunque con la disponibilità degli atti stessi, ma presuppone una valutazione riconducibile a una quaestio facti che il giudice di legittimità può esaminare esclusivamente sotto il profilo della logicità e coerenza descrittiva delle emergenze processuali e probatorie nonchè sotto il profilo della congruenza e non contraddittorietà delle valutazioni operate dal giudice di merito.

Pertanto ai fini dell’accertamento del presupposto della desumibilità dagli atti rileva non già l’apprezzamento del pubblico ministero, bensì quello dell’organo dell’impugnazione, il quale valuta a tal fine la ragionevole tempestività con la quale il pubblico ministero ha elaborato l’ipotesi di accusa sulla base della disponibilità degli elementi indiziari. Nel caso in esame il Tribunale di Caltanissetta ha posto in rilievo le seguenti circostanze: 1) le indagini per il reato di estorsione, contestato con la prima ordinanza di custodia cautelare, erano state originate dalla denunzia delle persone offese resa ai Carabinieri di Gela, mentre la seconda ordinanza di custodia cautelare, relativa alla partecipazione del P. all’associazione criminale di stampo mafioso, era basata essenzialmente sulle indagini svolte dalla Squadra mobile della Questura di Caltanissetta e, in particolare, sulle intercettazioni telefoniche e sulle dichiarazioni di collaboratori di giustizia; 2) le indagini, condotte separatamente dai Carabinieri e dalla Polizia di Stato e compendiate in autonome informative concernenti reati differenti, avevano dato luogo a distinti procedimenti senza che ciò risultasse dovuto ad un’arbitraria scelta del pubblico ministero; 3) la partecipazione all’associazione mafiosa era stata desunta in particolare dall’attività di spaccio di sostanze stupefacenti attribuita all’indagato, al quale era stato contestato anche il delitto previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, oltre che da una reiterata attività di riciclaggio, quindi da condotte criminose del tutto diverse da quella, isolata, di estorsione contestata con la prima ordinanza; 4) alcuni elementi probatori erano stati acquisti in epoca addirittura successiva alla prima ordinanza di custodia cautelare. La Corte ritiene che il Tribunale abbia fornito una serie di ragioni che, complessivamente valutate, giustifichino congruamente l’esclusione della colpevole inerzia o dell’artificioso frazionamento delle contestazioni da parte del pubblico ministero. I rilievi sul punto del ricorrente P. appaiono peraltro del tutto generici, poichè non tengono conto che la "desumibilità dagli atti" di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3 riguarda il risultato di un’elaborazione dei dati acquisiti nel corso delle indagini che possono non manifestare immediatamente il loro significato probatorio. Nella fase delle indagini preliminari la consapevolezza per il pubblico ministero del quadro indiziario e della sua rilevanza si acquisisce infatti progressivamente, attraverso la valutazione selettiva e il collegamento logico di fatti ed eventi che rendono via via possibile l’individuazione di un quadro indiziario sufficientemente delineato e tale da legittimare, se grave, la richiesta di applicazione della misura cautelare.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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