Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-03-2011, n. 5901 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 23 ottobre 2008, la Corte d’Appello di Napoli accoglieva il gravame svolto da D.F. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di accertamento dell’illegittimità del licenziamento, intimato da Poste italiane s.p.a. nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo, e di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro fino al raggiungimento del 65^ anno di età, al pagamento della retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegra, oltre rivalutazione ed interessi.

2. La Corte territoriale riteneva:

– un novum, e pertanto inammissibili, le questioni inerenti alla correttezza dell’avvio della procedura informativa e, in particolare, alla completezza della comunicazione alle OO.SS., non contestate con il ricorso introduttivo, sicchè le censure investivano: a) l’inesistenza delle ragioni di esubero poste a base della procedura;

b) l’illegittimità del criterio convenzionale di scelta del personale da collocare in mobilità; c) la mancanza del nesso di causalità tra le denunciate ragioni di esubero e i licenziamenti intimati;

– necessaria l’applicazione del criterio di scelta in relazione alle esigenze tecnico-organizzative e produttive, respingendo la tesi della società secondo cui concordati i criteri di scelta le risoluzioni avrebbero potuto riguardare settori non eccedentari;

– irrilevante la previsione, negli accordi, del licenziamento di tutto il personale risultante, alla data del 31.12.2001 e del 31.3.2002, in possesso dei requisiti per la pensione di anzianità o di vecchiaia, ciò concernendo l’applicazione del criterio concordato e non già l’individuazione dei settori eccedentari in cui il criterio adottato doveva operare;

– l’inesistenza, al momento del licenziamento, della specifica eccedenza per i quadri di secondo livello in ambito regionale, non contestata in causa;

la verifica dei presupposti per la legittimità del licenziamento doversi effettuare non ex ante, al momento dell’avvio della procedura, ma al momento dell’effettiva Erogazione del provvedimento risolutivo;

– l’applicazione del criterio di scelta concordato non poteva prescindere dall’area professionale di appartenenza, nè implicare una valutazione estesa all’intero territorio nazionale, non avendo le parti collettive previsto per i quadri una mobilità interregionale.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Poste italiane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. L’intimato ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità e infondatezza del ricorso.
Motivi della decisione

4. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, con riguardo alla determinazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità e all’individuazione dei settori aziendali interessati dalla procedura di cui alla cit. L. n. 223, art. 4. L’illustrazione del motivo si conclude con il quesito di diritto con il quale chiede alla Corte di dire se, avuto riguardo al fatto che nell’accordo di definizione della procedura ex L. n. 223 cit., le parti abbiano convenuto la licenziabilità di tutto il personale in possesso dei requisiti pensionistici, è necessario che l’applicazione del predetto criterio in fase di attuazione dei recessi tenga conto comunque di un necessario nesso eziologico tra le esigenze tecnico- produttive e la scelta del personale e che quindi i soggetti da porre in mobilità siano individuati nell’ambito dei settori o reparti in relazione ai quali siano state prospettate e riscontrate situazioni di eccedenza o è possibile l’applicazione dell’accordo nell’ambito dell’intero complesso aziendale.

5. Col secondo motivo la ricorrente, censurando la medesima disposizione indicata nel primo motivo, formula il quesito con il quale chiede alla Corte, avuto riguardo al fatto che nell’accordo di definizione della procedura ex L. n. 223 cit., le parti abbiano convenuto la licenziabilità di tutto il personale in possesso dei requisiti pensionistici, di dire che il licenziamento collettivo costituisce istituto autonomo, caratterizzato esclusivamente dalle dimensioni occupazionali del datore di lavoro, dal numero dei licenziamenti e dall’arco temporale nel quale sono effettuati e sul quale il controllo è demandato al confronto ex ante con le organizzazioni sindacali, restando il sindacato giurisdizionale ex post ristretto alla sola correttezza procedurale dell’operazione.

6. I motivi di impugnazione non hanno investito, specificamente, tutte le rationes decidendi (indicate nel punto 2 che precede) a fondamento della riforma della decisione di prime cure e della declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato a D..

7. Al riguardo va ribadito quanto in più pronunzie affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, enunciando il principio secondo il quale, nel caso in cui venga impugnata, con ricorso per cassazione, una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, in foto o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (v. ex multis, Cass. 24540/2009; Cass. SU 10374/2007; Cass. 13906/2007; Cass., SU 16602/2005).

8. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, spese liquidate in Euro 10,00 oltre Euro 2.000,00 (duemila) per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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