Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-03-2011, n. 5900 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 1 luglio 2008, la Corte d’Appello di Roma accoglieva il gravame svolto da M.R. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di accertamento dell’illegittimità del licenziamento, intimato da Poste italiane s.p.a. nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo, e di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro, al pagamento della retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegra, oltre rivalutazione ed interessi.

2. La Corte territoriale riteneva:

– la comunicazione di avvio della procedura alle OO.SS. corredata della documentazione in ordine alle eccedenze rispetto alle esigenze tecnico-organizzative e produttive, con annessa tabella con prospetto dei lavoratori in servizio, distinti per regioni e per Aree, e delle eccedenze, sprovvista del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente e di quello abitualmente impiegato, affinchè le OO.SS. e i lavoratori coinvolti potessero acquisire elementi di valutandone in ordine all’ambito entro il quale doveva essere circoscritta la riduzione aziendale;

– nonostante la mutata situazione documentata con un decremento delle eccedenze, con l’accordo finale del 17/10/2001, le parti sociali convenivano la risoluzione del rapporto di lavoro di tutto il personale risultante, alla data del 31.12.2001, già in possesso dei requisiti per la pensione di anzianità o di vecchiaia;

– il licenziamento intervenuto, in realtà, indipendentemente dalle esigenze tecnico-organizzative produttive, utilizzando il criterio della sussistenza dei requisiti per il pensionamento non come criterio interno, per l’individuazione dei lavoratori da licenziare tra quelli eccedentari, ma come criterio esterno, di delimitazione dell’area dei lavoratori interessati al recesso, in violazione dellA L. n. 223 del 1991, art. 5; alla declaratoria di inefficacia del licenziamento non poteva seguire l’apparato sanzionatorio L. n. 300 del 1970, ex art. 18, per aver il lavoratore raggiunto il 65^ anno di età con conseguente venire meno del requisito della stabilità del rapporto anche in relazione al possesso dei requisiti pensionistici L. n. 108 del 1990, ex art. 4;

– conseguentemente, la società poteva essere esclusivamente condannata al risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data del licenziamento sino al raggiungimento del 65^ anno di età, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Poste italiane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi. L’intimato ha resistito con controricorso eccependo l’inammissibilità e infondatezza del ricorso.
Motivi della decisione

4. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 2 e 3, con riguardo alla pretesa incompletezza della comunicazione di avvio della procedura prevista dalla citata L. n. 223, art. 4, comma 3, e formula il quesito di diritto con il quale chiede alla Corte di dire se, avuto riguardo alle dimensioni dell’azienda che procede al licenziamento collettivo e all’avvenuto raggiungimento di un accordo tra le parti, la norma contenuta nella citata L. n. 223, art. 4, comma 3, nella parte in cui stabilisce che la comunicazione di apertura della procedura debba indicare, tra gli altri clementi, il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale eccedente, può dirsi soddisfatta nel caso in cui il datore di lavoro indichi il numero dei dipendenti in esubero suddivisi per regione e per aree di inquadramento.

5. Col secondo motivo la ricorrente denuncia violazione della citata L. n. 223, art. 5, con riguardo alla determinazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità e all’individuazione dei settori aziendali interessati dalla procedura di cui alla cit. L. n. 223, art. 4 e formula il quesito di diritto con il quale chiede alla Corte di dire se, avuto riguardo al fatto che nell’accordo di definizione della procedura ex L. n. 223 cit., le parti abbiano convenuto la licenziabilità di tutto il personale in possesso dei requisiti pensionistici, è necessario che l’applicazione del predetto criterio in fase di attuazione dei recessi tenga conto comunque di un necessario nesso eziologico tra le esigenze tecnico – produttive e la scelta del personale e che quindi i soggetti da porre in mobilità siano individuati nell’ambito dei settori o reparti in relazione ai quali siano state prospettate e riscontrate situazioni di eccedenza o è possibile l’applicazione dell’accordo nell’ambito dell’intero complesso aziendale.

6. Col terzo motivo la ricorrente denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia con riguardo alla determinazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità e all’individuazione dei settori aziendali interessati dalla procedura di cui alla cit. L. n. 223, art. 4 e formula il quesito con il quale chiede alla corte, avuto riguardo al fatto che nell’accordo di definizione della procedura ex L. n. 223 cit., le parti abbiano convenuto la licenziabilità di tutto il personale in possesso dei requisiti pensionistici, di dire che il licenziamento collettivo costituisce istituto autonomo, caratterizzato esclusivamente dalle dimensioni occupazionali del datore di lavoro, dal numero dei licenziamenti e dall’arco temporale nel quale sono effettuati e sul quale il controllo è demandato al confronto ex ante con le organizzazioni sindacali, restando il sindacato giurisdizionale ex post ristretto alla sola correttezza procedurale dell’operazione.

7. La sentenza impugnata ha innanzi tutto premesso la nozione del licenziamento collettivo, prestando adesione alla giurisprudenza di questa corte in materia (v. Cass., sez. lav., 19 aprile 2003, n. 6385; 21300/2006), e riformato la sentenza gravata ritenendo il criterio della prepensionabilità come criterio esterno di delimitazione soggettiva dell’area dei lavoratori interessati al recesso, in violazione della cit. L. n. 223, art. 5, secondo cui l’individuazione deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico – produttive ed organizzative del complesso aziendale, ed insufficiente ed illegittima la comunicazione della cit. L. n. 223, ex art. 4, commi 2 e 3. 8. Rileva questa Corte che la sentenza della corte territoriale si basa su due rationes decidendi, e va al riguardo richiamato quanto in più pronunzie affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, enunciando il principio secondo il quale, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, in toto o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (v. ex multis, Cass. SU 10374/2007;

Cass. 13906/2007; Cass., SU 16602/2005).

9. Orbene, nella specie, il secondo motivo di censura si conclude con la formulazione di un quesito non conforme alle prescrizioni dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, atteso che il quesito di diritto non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, e deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto (ex multis, Cass. 4044/2009).

10. Conseguentemente, l’inammissibilità del predetto motivo di censura determina il rigetto, nella sua interezza, del ricorso. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, spese liquidate in Euro 21,00 oltre Euro 2.000,00 (duemila) per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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