Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-03-2011, n. 5899 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 12 maggio 2008, la Corte d’Appello di Napoli rigettava il gravame svolto da I.S. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di accertamento della nullità/inefficacia del licenziamento intimato da Poste italiane s.p.a., nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo fondata sul criterio del recesso nei confronti dei lavoratori che presentavano i requisiti per il pensionamento.

2. La Corte territoriale, premessa l’inammissibilità di alcuni dei motivi di appello per difetto di specificità, riteneva:

– il criterio di scelta dell’anzianità contributiva rispettoso dei crismi della ragionevolezza e obiettiva non discriminatorietà, applicato dalla società secondo correttezza e buona fede, coordinato con le esigenze tecnico produttive, verificate in relazione al complesso aziendale nazionale nel cui ambito andava fatta la comparazione tra appartenenti alla medesima area indipendentemente dal profilo specifico;

– la comunicazione di avvio della procedura alle OO.SS. corredata della completa documentazione in ordine alle eccedenze, riguardanti tutti i settori di articolazione dell’azienda e tutti i profili professionali previsto dal CCNL;

– il raggiungimento dell’accordo finale, in sede ministeriale, il 17/10/2001, in forza del quale era stato possibile ridurre l’esubero del personale inizialmente emerso, costituire elemento indicativo del raggiungimento delle finalità informative delle organizzazioni sindacali;

– la menzione, nella comunicazione di licenziamento, della possibilità di risolvere il rapporto consensualmente, non subordinante l’efficacia all’avverarsi di una condizione, ma esplicativa di quanto concordato, tra le parti sociali, nell’accordo di definizione della procedura con un piano di esodi agevolati;

– il diritto del lavoratore a proseguire il rapporto fino al raggiungimento del 65^ anno di età trovava necessario contemperamento nel diritto del datore di lavoro di recedere dal rapporto, per giusta causa o giustificato motivo oggettivo, ovvero per un’esigenza di riduzione o trasformazione dell’attività lavorativa che rendesse necessaria la soppressione di un numero indeterminato di posti di lavoro.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, I. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. Poste italiane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità e infondatezza del ricorso.
Motivi della decisione

4. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, per non aver la sentenza impugnata tenuto presente che il criterio dell’anzianità può rilevare, della predetta L. n. 223, ex art. 5, solo in concorso con l’ulteriore criterio costituito dalle esigenze tecnico – produttive e previa indicazione, nella comunicazione citata L. n. 223, ex art. 4, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente.

5. Col secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione, relativamente alle ragioni idonee a sorreggere una procedura di licenziamento collettivo come quella in contestazione (e segnatamente a sorreggere l’atto di licenziamento che ha interessato il ricorrente).

6. L’illustrazione dei motivi si conclude con la formulazione di due quesiti di diritto con i quali si chiede alla Corte di dire se: A) possa mai consentirsi e/o ritenersi legittimo e conforme alla L. n. 223 del 1991, un licenziamento collettivo, attuato in applicazione del solo criterio relativo alla maggiore anzianità lavorativa in rapporto alle mere Aree di inquadramento contrattuale, ma senza una previa individuazione del singolo profilo professionale eccedentario, in ipotesi che un’azienda risultasse costituita da personale riconducibile a due soli profili professionali (quali ad esempio la categoria degli autotrasportatori e la categoria degli impiegati amministrativi, entrambi compresi nella medesima Area di inquadramento) dei quali, i soggetti con maggiore anzianità di servizio fossero tutti autotrasportatori e in quanto tali titolari di mansioni essenziali e imprescindibili per il buon funzionamento aziendale; mentre invece i soggetti più giovani (e dunque esenti da un siffatto licenziamento collettivo rigidamente fondato sul presupposto della sola maggiore anzianità) fossero tutti impiegati amministrativi e dunque destinatari di mansioni meno rilevanti e comunque eccedenti rispetto alle concrete esigenze aziendali?; B) può mai ritenersi legittimo e conforme ai vigenti principi giuridici di validità e/o univocità un provvedimento di licenziamento come quello di cui è causa, in cui la risoluzione contrattuale viene prospettata dall’azienda, contestualmente alla comunicazione di licenziamento e per di più in via eventuale e meramente residuale, per l’ipotesi di mancata adesione del licenziando a una suggerita facoltà di risolvere consensualmente il rapporto, beneficiando di determinati trattamenti economici di incentivazione all’esodo? 7. Osserva il Collegio che i motivi di impugnazione non hanno investito, specificamente, tutte le rationes decidendi (indicante nel punto 2 che precede) a fondamento della conferma della decisione di prime cure.

8. Al riguardo va ribadito quanto in più pronunzie affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, enunciando il principio secondo il quale, nel caso in cui venga impugnata, con ricorso per cassazione, una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, in toto o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (v. ex multis, Cass. 24540/2009; Cass. SU 10374/2007; Cass. 13906/2007; Cass., SU 16602/2005).

9. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, spese liquidare in Euro 33,00 oltre Euro 2.000,00 (duemila) per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *