Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-03-2011, n. 5884 Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Roma O.G., premesso di avere lavorato alle dipendenze della soc. Poste Italiane con inquadramento in area operativa, profilo professionale "operativo di gestione", impugnava il licenziamento comunicatogli con nota del 19.11.2001 (con effetti dal 31.12.01) all’esito della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24.

In particolare, lamentava il ricorrente l’illegittimità dell’impugnato licenziamento per violazione delle norme procedurali poste a base della procedura di mobilità, illegittimità dei criteri di scelta, omessa previsione di soluzioni alternative al licenziamento, mantenimento in servizio di personale licenziabile.

La società Poste Italiane contestava la fondatezza della domanda, deducendo, in punto di fatto, che nel maggio 2001 erano state rilevate n. 9.000 unità lavorative eccedenti su tutto il territorio nazionale e, persistendo un deficit ancora pari a 759 mld a fine esercizio 2000 e stante il fallimento delle procedure di mobilità territoriale interna, era stata costretta, con lettera del 25.6.01, inviata alla RSU, alle segreterie nazionali dei sindacati firmatari del CCNL e al Ministero del Lavoro, ad avviare le procedure di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24; che nel settembre 2001 era stato trasmesso alle OO.SS. un dettagliato prospetto nel quale, per ogni regione italiana, erano state indicate le "eccedenze/esuberi" rilevati all’agosto 2001, ripartiti per settori operativi, regione per regione; che all’esito del confronto, in data 17.10.01, era stato raggiunto l’accordo con il quale si era stabilito che "il rapporto del personale che alla data rispettivamente del 31 dicembre 2001 e del 31 marzo 2002 risulti in possesso dei requisiti per il diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia; si risolverà secondo i criteri, modalità e termini di cui all’allegato n. 1 al presente accordo". In punto di diritto, deduceva che sussistevano le condizioni legittimanti il ricorso alla procedura di licenziamento collettivo e che, comunque, la L. n. 223 del 1991, devolvendo il controllo di tali condizioni ex ante alle OO.SS., andava intesa nel senso che solo la violazione delle norme procedurali potesse essere oggetto del controllo giudiziale, con esclusione delle indagini di merito circa l’effettività dello stato di crisi aziendale e le ragioni economico – produttive sottese all’apertura della procedura.

Deduceva altresì la completezza della comunicazione di avvio della procedura e la legittimità del criterio di scelta individuato nell’accordo del 17.10.01.

L’adito Tribunale respingeva il ricorso, osservando, in particolare, che era stata rispettata la ratio della normativa di cui alla L. 223 del 1991, vale a dire quella di porre la controparte (che non è il singolo lavoratore bensì le organizzazioni sindacali) nelle condizioni di poter controllare la procedura stessa, intervenire con richieste di chiarimenti, formulare proposte ecc, per addivenire ad accordi volti a determinare le soluzioni possibili. Riguardo, poi, alla legittimità del criterio di scelta, richiamava, condividendola, la giurisprudenza di legittimità che lo aveva ritenuto razionalmente giustificato, in quanto tra i meno onerosi per i lavoratori ed altresì del tutto obiettivo e non discriminatorio.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’originario ricorrente, il quale lamentava che la soluzione interpretativa seguita dal primo Giudice ometteva di considerare che il presupposto inderogabile del licenziamento collettivo era costituito dalla "trasformazione o riduzione di attività di lavoro", tale da rendere i posti di lavoro esuberanti, non potendosi identificare nel semplice "svecchiamento" del personale, teso alla sostituzione, in tutto o in parte, di personale anziano con personale più giovane e meno costoso.

Reiterava le deduzioni e le allegazioni di primo grado, insistendo nelle vantate pretese.

La società appellata, costituitasi, contestava la fondatezza dell’appello, del quale chiedeva il rigetto.

Con sentenza del 15 ottobre 2007 – 4 giugno 2008, l’adita Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia impugnata ed in accoglimento della domanda originaria, dichiarava illegittimo il licenziamento dell’ O. e condannava la spa Poste Italiane a reintegrarlo nel posto di lavoro nonchè a risarcirgli il danno per tale illegittimo licenziamento, quantificato in misura pari alle retribuzioni globali di fatto perduta dalla data di risoluzione del rapporto sino all’effettiva reintegrazione, oltre contributi previdenziali ed assistenziali.

A sostegno della decisione osservava che la lettera di avvio della procedura di mobilità doveva ritenersi carente con riferimento all’obbligo, previsto dalla L. 223 cit., art. 4, comma 3, della indicazione della collocazione aziendale e dei profili professionali coinvolti nella procedura. Tale carenza finiva col ripercuotersi sulla concreta applicazione del criterio della vicinanza al pensionamento, astrattamente razionale e non di per sè discriminatorio, in quanto il criterio concordato si limitava ad individuare una categoria di personale eccedentario, indipendentemente dalla preventiva definizione della collocazione aziendale degli esuberi; ciò comportava la riferibilità della applicazione del criterio alla totalità del personale, coinvolgendo, quindi, nella programmata riduzione del personale, in contraddizione con le cause dichiarate della procedura, anche posizioni di lavoro per settori in cui non si registravano esuberi di dipendenti.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la spa Poste Italiane con tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria.

Resiste O.G. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e dell’incidentale ( art. 335 c.p.c.).

1. Con il primo motivo di ricorso Poste Italiane S.p.A., denunciando violazione e falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (con riguardo alla pretesa incompletezza della comunicazione di avvio della procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3), sostiene che il Giudice di secondo grado è pervenuto alla conclusione circa l’insufficienza della comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo per effetto di una errata interpretazione rigoristica della norma ( L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3) che fissa il contenuto della predetta comunicazione. Secondo Poste Italiane S.p.A., il Giudice di appello, laddove ha ritenuto che la indicazione contenuta nella comunicazione iniziale dell’azienda delle qualifiche "quadro di 1^ livello e di 2^ livello", nonchè delle c.d. Aree professionali di inquadramento non integri la indicazione dei "profili professionali" del personale eccedente di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, si sarebbe attenuto ad una concezione estremamente formalistica del precetto legale, trascurando il carattere atecnico e quindi generico dell’espressione "profilo professionale" e che l’adeguatezza della comunicazione si sarebbe dovuta valutare in relazione alle finalità che il legislatore le assegna.

2. Con il secondo e terzo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, e vizio della motivazione, con riguardo alla determinazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità ed alla individuazione dei settori aziendali interessati alla procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4. 3. La Corte, esaminati unitariamente i motivi di ricorso per la connessione tra le diverse censure, li giudica fondati nei sensi e nei limiti delle considerazioni seguenti.

4. Devono essere, in primo luogo, richiamati i principi enunciati dalla giurisprudenza nella Corte nell’interpretazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni (Legge emanata sullo schema della direttiva Cee 1975/129, così come modificata dalla più recente direttiva 1992/56): a) come precisato da Cass. 12 ottobre 1999, n. 11455 e dalle conformi decisioni successive (v. più di recente Cass. n. 84/2009; Cass. n.4653/2009, la fattispecie del licenziamento collettivo per riduzione di personale ricorre in presenza dell’operazione imprenditoriale di "riduzione o trasformazione di attività o di lavoro" (art. 24), operazione che, da una parte, esclude dal suo ambito i licenziamenti dovuti a ragioni inerenti alla persona del lavoratore, per l’altra parte esclude anche i licenziamenti individuali per le stesse ragioni oggettive, ancorchè plurimi, qualora non sia siano presenti i requisiti di rilevanza sociale collegati agli indici previsti dalla legge (il numero dei licenziamenti ai sensi dell’art. 24, comma 1; oppure, indipendentemente dal numero, dalla circostanza che a licenziare sia un’impresa che ha ottenuto l’intervento pubblico della cassa integrazione guadagni, secondo la previsione dell’art. 4, comma 1);

b) la fattispecie di riduzione del personale regolata dalla L. n. 223 del 1991, non presuppone necessariamente una crisi aziendale, e neppure un ridimensionamento strutturale dell’attività produttiva, potendo il requisito della riduzione o trasformazione di attività o di lavoro ravvisarsi nella decisione di modificare l’organizzazione produttiva anche soltanto con la contrazione della forza lavoro, con incidenza effettiva e non temporanea sul solo elemento personale dell’azienda (Cass. 27 aprile 1992, n. 5010; 5 maggio 1995, n. 4874;

21 ottobre 1999, n. 117940);

c) nel disegno legislativo, la fattispecie di licenziamento collettivo per riduzione di personale è assoggettato a forme di controllo ex ante della decisione imprenditoriale, controllo di tipo sindacale e pubblico, ritenute maggiormente adeguate alla rilevanza sociale del fenomeno rispetto alle tecniche di controllo giudiziale ex post ed a dimensione individuale, restando escluso che la legittimità del recesso possa dipendere dai motivi della riduzione di personale, non sindacabili, infatti, dal giudice (tanto è vero che la riduzione di personale "ingiustificata" non è prevista dalla legge tra i motivi di annullamento dei singolo licenziamento);

d) la qualificazione del licenziamento in base al progetto di riduzione del personale con effetti sociali rilevanti comporta, in attuazione dell’art. 41 Cost., commi 2 e 3, che l’imprenditore sia vincolato non nell’an della decisione ma soltanto nel quomodo, essendo obbligato allo svolgimento della procedura di cui all’art. 4, che realizza così lo scopo di procedimentalizzare il potere di recesso, il cui titolare è tenuto non più a mere consultazioni, ma a svolgere una vera e propria trattativa con i sindacati secondo il canone della buona fede; l’operazione imprenditoriale diretta a ridimensionare l’organico si scompone, infine, nei singoli licenziamenti, ciascuno giustificato dal rispetto dei criteri di scelta, legali o stabiliti da accordi sindacali, ma entro una cerchia di soggetti delimitati dal "nesso di causalità", ossia dalle esigenze tecnico-produttive ed organizzative poste a base della scelta imprenditoriale (arg. ex art. 5, comma 1, primo periodo);

e) ai due livelli descritti, l’uno collettivo – procedurale, l’altro individuale – causale, corrisponde l’ambito del controllo giudiziale, cui è estraneo, come detto, la verifica dell’effettività e ragionevolezza dei motivi che giustificano, nelle enunciazioni dell’imprenditore, la riduzione di personale (cfr. ex plurimis, Cass. 4970/1999; 11455/1999; 2463/2000; 9045/2000; 6385/03; 13182/2003;

9134/2004; 10590/2005; 528/2008), ed il sistema sanzionatorio di cui all’art. 5, cosicchè il lavoratore licenziato è abilitato a far valere l’inesistenza del potere di recesso per violazione delle regole della procedura (inefficacia del negozio risolutivo), ovvero la lesione del diritto ad un scelta imparziale per violazione dei criteri stabiliti dalla legge o dall’accordo sindacale (annullamento del licenziamento).

5, La sentenza impugnata motiva la decisione con esclusivo riferimento al disposto della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, nella parte in cui prescrive che la comunicazione preventiva per iscritto ai sindacati deve contenere, oltre all’indicazione dei motivi che determinano la situazione di eccedenza e l’impossibilità di altre soluzioni, la precisazione del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente nonchè del personale abitualmente impiegato, nonchè delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma di messa in mobilità.

In apparenza, dunque, esercita il controllo giudiziale nell’ambito che la legge gli assegna in ordine al momento procedurale – collettivo; in realtà, lo estende indebitamente ai motivi determinanti la scelta imprenditoriale. La Corte distrettuale, infatti, dopo aver premesso, in linea con gli orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità, che le violazioni della procedura (consistenti, in particolare, nell’insufficienza delle informazioni date alle organizzazioni sindacali) hanno effetti lesivi (anche) dei diritti individuali, con la conseguente irrilevanza, su questo piano, degli accordi sindacali comunque raggiunti (cfr. Cass. S.U. n. 302 e n. 419 del 2000; Cass. n. 15377/2004), ha ritenuto che non fosse stato adempiuto l’onere di indicare la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale eccedente nel presupposto, necessariamente implicito del ragionamento, che non fosse ammissibile ridurre il personale per le causali indicate dall’imprenditore. La decisione, quindi, proprio sulla base degli accertamenti di fatto compiuti dallo stesso giudice di merito e pacifici nella controversia, non è conforme, prima che al disposto della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, ai principi sopra riassunti e desumibili dagli artt. 1 e 24 della stessa Legge.

Per questa ragione non è possibile dare continuità al precedente costituito da Cass. 11 luglio 2007, n. 15479, che, decidendo su controversia analoga, ha rigettato il ricorso di Poste Italiane SpA essenzialmente sul rilievo che il giudice del merito aveva correttamente assolto il compito istituzionale di accertare il fatto della insufficienza della comunicazione preventiva di avvio della procedura. Peraltro, va anche ricordato che il diverso segno del rigetto del ricorso dei lavoratori, nella vicenda dei licenziamenti derivati dalla stessa riduzione di personale, è presente in altre decisioni della Corte (Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541; 14 giugno 2007, n. 13876, non massimata).

6. L’azienda postale aveva avviato la procedura di mobilità motivandola con l’esigenza di ridurre i costi mediante l’attuazione di una riduzione complessiva di personale; aveva precisato che il ridimensionamento concerneva in varia misura tutti i settori produttivi, tutte le professionalità impiegate e l’intero territorio nazionale, facendo altresì presente che le denunciate eccedenze avrebbero potuto avere un impatto sociale minimo nel caso di adozione del criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione, posseduto da molti dipendenti. Si preannunciava altresì, dopo i licenziamenti, una riorganizzazione del lavoro soprattutto mediante mobilità geografica del personale. La comunicazione alle organizzazioni sindacali precisava, quindi, il numero dei lavoratori ritenuti eccedenti suddivisi tra le quattro aree funzionali di inquadramento (area di base, area operativa, area quadri di secondo livello e area quadri di primo livello) e per regione geografica. La sentenza impugnata giudica, sotto questo specifico profilo, insufficiente il contenuto della comunicazione preventiva perchè il necessario nesso causale tra le "esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale" e i licenziamenti progettati non risultava in alcun modo precisato, non essendo idoneo a colmare la lacuna il criterio di scelta poi concordato con i sindacati (possesso dei requisiti per la pensione), criterio che presupponeva il nesso indicato e avrebbe giustificato i singoli licenziamenti fino a concorrenza del numero complessivo determinato dalle esigenze tecnico produttive ed organizzative.

Specificamente, l’insufficienza dei contenuti della comunicazione è ravvisata nella mancanza di indicazioni "in ordine alla specifica collocazione nei diversi uffici locali e profili professionali", o "concrete posizioni lavorative", del personale ritenuto eccedente, lacuna non colmata dal riferimento generico alle quattro aree contrattuali di inquadramento, ciascuna comprendente "professionalità estremamente varie ed eterogenee" (visto che vi erano state raggruppate le qualifiche funzionali e i numerosi profili professionali del precedente ordinamento pubblicistico) senza precisare quali, tra le posizioni professionali all’interno di ciascuna area, fossero da ritenere eccedenti. In definitiva, secondo la valutazione del giudice del merito, Poste italiane aveva l’onere di specificare l’eccedenza ufficio per ufficio, con riguardo al settore di attività e alla dislocazione territoriale, indicando gli addetti alle mansioni concrete ritenute non più utili per l’organizzazione.

7. Così decidendo e come già avvertito sopra, la sentenza impugnata ha violato le disposizioni dell’art. 1 e, conseguentemente anche della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3. a) L’art. 1 perchè ha negato, al di là dei profili formali sui quali apparentemente si incentra la motivazione, la facoltà di Poste Italiane SpA, che svolge l’identica attività produttiva sull’intero territorio nazionale, di decidere il ridimensionamento dell’impresa con esclusivo riguardo alla consistenza complessiva del personale ed al fine di ridurre i costi di gestione, determinando le eccedenze in un certo numero di lavoratori regione per regione e per area di inquadramento professionale, così sottoponendo a sindacato la scelta imprenditoriale e finendo, nella sostanza, per considerare ingiustificata una riduzione di personale in questi termini progettata dall’imprenditore, in violazione del complesso dei principi richiamati sub n. 7. b) L’art. 4, comma 3, perchè la sufficienza dei contenuti della comunicazione di avvio della procedura alle organizzazioni sindacali si deve necessariamente valutare con riferimento ai motivi, esternati nella stessa comunicazione, che determinano l’eccedenza e alle misure proposte dallo stesso imprenditore per attenuare l’impatto sociale dei licenziamenti.

8. Pertanto, in applicazione dei principi di diritto sopra precisati, il progetto di riduzione del personale complessivo dell’azienda postale imponeva di indicare soltanto la ripartizione delle eccedenze per categorie professionali, nonchè per le aree del territorio nazionale, anche in vista della conseguente necessità di una nuova distribuzione geografica del personale e di una riorganizzazione del lavoro. In relazione a tale progetto, infatti, non sarebbe stato coerente l’indicazione di uffici o reparti con eccedenze, coincidendo la "collocazione" dei dipendenti da licenziare con l’intero complesso aziendale; nè avrebbe avuto alcun senso la specificazione delle concrete posizioni lavorative che si intendevano eliminare, risultando tale profilo completamente estraneo alle ragioni della decisione imprenditoriale.

D’altra parte, – come chiarito da Cass. n. 84/2009; Cass. n. 4653/2009) il riferimento legislativo ai "profili professionali" va inteso si in termini di esclusione della prospettiva formale delle categorie ( artt. 2095 e 2103 c.c.) al fine di privilegiare gli aspetti funzionali della categoria o qualifica di inquadramento, ma ciò non significa certo richiedere l’indicazione delle concrete posizioni lavorative, cioè delle mansioni svolte, restandosi pur sempre sul piano astratto della classificazione del personale alla stregua della disciplina applicabile al rapporto di lavoro; ed allora, se il giudice di merito aveva accertato che la contrattazione collettiva recava un sistema di inquadramento del personale per "aree funzionali", ciascuna caratterizzata dall’idoneità professionale allo svolgimento di una pluralità di mansioni, non si comprende perchè l’indicazione dell’area di appartenenza non sarebbe indicazione dei "profili professionali" (di totale incongruenza si palesa, poi, il riferimento al superato sistema di classificazione del personale presso l’azienda autonoma statale, prima della privatizzazione dei rapporti di lavoro).

9. La sentenza, inoltre, si pone anche in contrasto con il principio di diritto secondo cui, in ragione del fine delle informative sulla procedura di mobilità, che è quello di favorire la gestione contrattata della riduzione di personale, la circostanza che sia stato in concreto raggiunto tale fine, per essere stato stipulato un accordo con le organizzazioni sindacali, assume rilevanza nel giudizio di completezza della comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, mentre le eventuali insufficienze o inadempienze informative possono, in ogni caso, essere fatte valere dalle organizzazioni sindacali e non dai singoli lavoratori, salvo che questi ultimi dimostrino l’idoneità in concreto di siffatte informative a forviare o ledere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali, con ricadute a essi lavoratori pregiudizievoli (Cass. n. 528/2008). Pur avendo accertato, infatti, che vi era stata effettivamente la gestione contrattata della riduzione di personale in tutti i profili, fino realizzare il risultato di un notevole ridimensionamento delle eccedenze inizialmente programmate, non ne ha tratto le conseguenze sul piano della sufficienza delle informazioni fornite nella fase di avvio della procedura.

10. Peraltro, anche la prospettiva di ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti mediante l’applicazione del criterio di scelta (necessitante di accordo sindacale) del possesso dei requisiti per la pensione, offriva elementi utili alla valutazione di sufficienza e coerenza dei contenuti della comunicazione preventiva. Il detto criterio, in linea con le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 268 del 1994, è ritenuto dalla giurisprudenza della Corte conforme al principio di ragionevolezza e non discriminazione, coerente soprattutto con le finalità del controllo sociale affidato ai sindacati e agli organi pubblici (vedi Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; 24 aprile 2007, n. 9866) ed è ora consacrato a livello legislativo dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 3.

Le condizioni favorevoli per un accordo sindacale sul detto criterio erano appunto costituite dalla riduzione di personale da operare sull’intero organico dell’azienda su base nazionale e in relazione a tutte le aeree di inquadramento del personale, senza distinzioni tra uffici e settori produttivi specifici.

Anche questo aspetto induce, quindi, a ritenere sufficienti i contenuti della comunicazione di avvio della procedura, procedura sfociata poi nell’auspicato accordo sindacale.

11. Il ricorso va accolto sulla base dei seguente principio di diritto: "In tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla L. n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all’art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicchè, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso alla stregua della classificazione per aree funzionali – ciascuna caratterizzata dall’idoneità professionale allo svolgimento di una pluralità di mansioni -, tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura, che, nell’ambito delle misure idonee ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione". 12. La cassazione della sentenza impugnata comporta il rinvio – senza possibilità di decidere nel merito- per il riesame alla stessa Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

13. Va, in proposito, precisato che, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., nel testo novellato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 66, la cassazione sostitutiva, con giudizio nel merito, è consentita nei soli casi in cui, dopo l’enunciazione del principio di diritto, la controversia debba essere decisa in base ai medesimi apprezzamenti di fatto che costituivano il presupposto del giudizio di diritto errato, in tal guisa postulandosi che il giudice del merito abbia avuto modo di esprimere siffatti apprezzamenti ai fini di una specifica decisione; essa non è pertanto consentita nei casi in cui l’intervento caducatorio della decisione di legittimità apra la via ad una pronuncia su questioni non esaminate nella pregressa fase di merito, atteso che la norma suddetta, nell’escludere la cassazione sostitutiva in presenza della necessità di accertamenti "ulteriori", limita la possibilità di tale provvedimento alla sola ipotesi in cui tutti gli accertamenti siano stati compiuti dal giudice competente e quindi impedisce che in sede di cassazione sostitutiva possano essere rese decisioni su questioni nel merito delle quali il giudice "a quo" non si sia pronunciato, decisioni che, pertanto, non essendo destinate a sostituire alcuna pronuncia precedente, si configurino a loro volta come ulteriori rispetto a quelle cassate (Cass. n. 17221/2002).

14. Deve, sotto questo profilo, dichiararsi inammissibile il riccio incidentale condizionato alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa sollevi questioni che il giudice di appello non abbia deciso in senso ad essa sfavorevole avendole ritenute assorbite, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio (Cass. S.U. n. 14382/2002).
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia anche, per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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