Cass. civ. Sez. I, Sent., 11-03-2011, n. 5874 Deliberazioni di spesa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ditta Marino & Sidoti s.d.f. chiese ed ottenne dal Presidente del Tribunale di Catania il 23.3.1993 ingiunzione di pagamento della somma di L. 51.238.127 a carico del Consorzio Acquedotto Etneo per corrispettivo dell’esecuzione di lavori idraulici alla stregua delle prodotte fatture. Il Consorzio propose opposizione negando di essere tenuto al pagamento di alcuna somma, stante l’assenza di alcuna delibera autorizzatoria e di alcun impegno di spesa, alla stregua del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, comma 4 conv. in L. n. 144 del 1989.

L’opposta ditta Marino & Sidoti negò fondamento alle avverse deduzioni e chiese ed ottenne la chiamata in giudizio dei funzionari responsabili. Il Tribunale di Catania con sentenza 30.11.2000 rigettò l’opposizione e la domanda di garanzia proposta nei riguardi dei chiamati. La sentenza venne impugnata dal Consorzio, trasformatosi in Azienda Consorziale Servizi Etnei, e la Corte di Catania, costituitisi gli appellati, con sentenza 12.5.2004, riformando la prima decisione revocò l’ingiunzione e riconobbe A.Co.S.Et. responsabile del so lo debito di Euro 364,76 oltre accessori. Nella motivazione della pronunzia la Corte di Appello ha precisato:

che il C.A.E. all’epoca dei crediti in contesa (1990-1991) era ente pubblico non economico, per statuto richiesto di procedere ai servizi di acquedotto e fognatura per i Comuni consorziati;

che da tanto non discendeva però l’applicazione del D.L. n. 66 del 1989, art. 23 conv. in L. n. 144 del 1989 (e del successivo D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 35) posto che dette norme, insuscettibili di interpretazione analogica perchè eccezionali e di profonda innovazione nei rapporti dei destinatari con i privati, non potevano applicarsi altro che a comuni, province e comunità montane);

che nondimeno, essendo il C.A.E. all’epoca un ente pubblico, ed allo stesso applicandosi il disposto del R.D. n. 2240 del 1923, emergeva che, non essendo stato tra Consorzio e Ditta Marino & Sidoti stipulato alcun contratto avente la necessaria forma scritta, i relativi rapporti traevano origine da una fonte irrimediabilmente nulla, sol residuando, non ostandovi il menzionato art. 23, l’esperibilità dell’azione ex art. 2041 c.c.;

che alla stregua di tale azione, e dovendosi procedere all’esame del riconoscimento della utilitas dei servizi acquisiti da parte degli organi del Consorzio, emergeva che, se le prestazioni rese erano state provate ed ammesse genericamente dal Consorzio, non ne era stato provato il riconoscimento quanto al loro preciso ammontare;

che, infatti, solo una fattura – per Euro 364,76 – era stata espressamente inserita nel rendiconto spese allegato alla delibera approvativa del CdA del Consorzio (617/92), nel mentre in altra delibera (636/91) era bensì rinvenibile l’importo di L. 104.065.893 a credito della Ditta Marino & Sidoti ma a tale importo non faceva riscontro l’indicazione di alcuna fattura.

Per la cassazione di tale sentenza la s.d.f. Marino & Sidoti ha proposto ricorso l’11.3.2005 articolando due motivi, ai quali si è opposta la A.Co.S.Et con proprio controricorso 29.3.2005 recante ricorso incidentale affidato a due motivi. I difensori hanno discusso oralmente.
Motivi della decisione

Riuniti i ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., si esamina, per il suo carattere logicamente preliminare il ricorso incidentale dell’A.Co.S.Et..

Con il primo motivo si censura l’interpretazione restrittiva del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, che aveva ignorato come i consorzi dei comuni fossero stati sempre equiparati a quest’ultimi e come le ragioni di risanamento finanziario sottese alla disposizione non potessero non essere applicate anche ai consorzi. Il motivo è infondato. La Corte di Appello di Catania ha esattamente colto la portate-eccezionale della previsione di frattura dell’indiscutibile e generale immedesimazione organica tra amministratore-funzionario ed ente correlata all’intervento legislativo del 1989 (recante norme abrogate e sostituite prima dal D.Lgs. n. 77 del 1995 e quindi dal T.U. approvato con D.Lgs. n. 267 del 2000): si trattò di un intervento volto a trasferire in capo agli amministratori e funzionari "contraenti" le obbligazioni rivenienti da contratti da costoro conclusi per gli enti locali ma privi della necessaria copertura finanziaria (delibera autorizzatoria ed impegno di spesa).

La Corte di merito ha da tale eccezionalità argomentato esattamente per escludere alcuna applicazione analogica, oltre i soggetti destinatari della innovazione, soggetti dalla norma stessa espressamente individuati in comuni, province e comunità montane.

Riprova della correttezza della interpretazione rigorosa data è che nel vigente T.U. approvato con D.Lgs. n. 267 del 2000, e recante previsioni analoghe a quelle in discorso (l’art. 191, comma 4 e art. 194), apposita disposizione (art. 2, comma 2) estende tutte le norme in via generale poste dal Testo Unico agli enti locali che vedono tra essi annoverati i consorzi tra gli stessi enti costituiti.

Con il secondo motivo ci si duole della regolamentazione delle spese.

La censura è inammissibile, essa risolvendosi in una mera doglianza sulla avvenuta condanna di ACoSeT al pagamento di 1/3 delle spese sostenute dalla Ditta appellata. Si perviene quindi all’esame del ricorso principale della Ditta Marino & Sidoti.

Il primo motivo da un canto, censura, condividendola, la mancata applicazione al Consorzio dell’art. 23 ridetto e, dall’altro canto, predica confusamente la trasformazione del Consorzio in Azienda consortile con la conseguente sua fuoruscita dall’ambito governato dal RD sulla contabilità dello Stato e la validità degli accordi contrattuali. Il motivo è nella prima parte inammissibile, perchè privo di contenuto impugnatorio esso traducendosi nella sola condivisione della statuizione di non applicare la citata disposizione di legge, e nella seconda parte è privo di alcun fondamento, avendo la Corte di Catania accertato che il Consorzio si è trasformato in A.Co.S.Et. solo da 1.1.2000, con la conseguenza per la quale essendo anteriormente tenuto ad osservare le disposizioni di cui al R.D. n. 2240 del 1923, artt. 16 e 17, le pattuizioni contrattuali concluse in difetto di forma scritta ad substantiam dovevano ritenersi affette da nullità (cfr. da ultimo Cass. 10299 del 2010).

Il secondo motivo lamenta quindi la violazione dell’art. 2041 c.c. e la incongruità di motivazione sul mancato riconoscimento della utilitas, essendo stata dalla Corte di Appello indicata la delibera di approvazione del credito della Ditta in consuntivo e non scorgendosi margine di significatività della necessità di specificazione di fatture. Il motivo non è condivisibile, ad esso sfuggendo la esatta comprensione della assai rigorosa valutazione di inesistenza di un riconoscimento della utilitas contenuta nella impugnata sentenza. La CdA ha situato il parametro necessario per ravvisare un riconoscimento da parte del consiglio di amministrazione dell’Ente al livello di accertamento delle singole, indicate, prestazioni (ore, tempi e luoghi) e non a generico consuntivo per il controvalore. Di qui la necessità che il rendiconto richiamasse singole fatture. La valutazione operata – certamente assai rigorosa là dove non ritiene sufficiente l’inserimento della posta nel rendiconto consuntivo dell’Ente (contra Cass. n. 9795 del 1998) ma non eccedente il quadro delle valutazioni ai proposito assegnate al giudice del merito (da ultimo con Cass. n. 3322 e 24626 del 2010)- si fonda su un dato di assoluta razionalità. Trattandosi, come esplicitato in sentenza, non già di un appalto d’opera ma di un contratto di servizio, avente ad oggetto la cura delle aperture e chiusure delle "saracinesche" dell’ acquedotto, ad avviso del Giudice del merito la ricognizione dell’utilità doveva coprire tutte e specificamente le singole prestazioni, qualificate per tempi, modi e luoghi, e doveva quindi appuntarsi sui singoli documenti (le fatture) di ciascuna prestazione espressivi. La censura formulata, e conclusa in termini di iniquità del risultato della contestata interpretazione, muove dalla premessa – certamente generale ma non esaustiva di ogni ipotesi – per la quale la delibera di approvazione in consuntivo delle spese esposte per sommatoria sarebbe indubbio riconoscimento dalla utilitas ma manca di comprendere, e di adeguatamente censurare, quel passaggio della sentenza che radica la ricognizione rilevante ai fini dell’indennizzo ex art. 2041 c.c., nella prova dell’incameramento delle prestazioni e della loro valutazione di conformità allo scopo istituzionale. Detta prova non è infatti ricavabile dalla sola espressione giuridica dell’inserimento in bilancio, tale inserimento essendo nullo sul piano della contabilità dell’Ente, perchè viziato dalla permanente assenza di impegno di spesa, ed essendo altresì inefficace a costituire ricognizione di plurime prestazioni per la sua evidente riduzione ad una mera espressione contabile.

La infondatezza delle due impugnazioni induce a compensare le spese tra le parti.
P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando per intero tra le parti le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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