Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 22-12-2010) 08-02-2011, n. 4570 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 19 maggio 2010, ha confermato la sentenza del Gip del Tribunale di Como del 9 gennaio 2008 emessa a seguito di rito abbreviato, che aveva condannato A.R. alla pena di mesi sei di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta preferenziale, di cui alla L. Fall., art. 216, comma 3 e art. 223, poichè in concorso con gli amministratori della società Avalon Computer, dichiarata fallita il (OMISSIS) e quale socio e direttore commerciale della s.p.a. Asian Byte aveva eseguito un pagamento a favore di quest’ultima, mediante compensazione prima del fallimento della Avalon Computer, cedendo merce per circa Euro 35.000,00. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato a mezzo del suo procuratore, il quale lamenta;

a) l’inosservanza e l’erronea applicazione delle norme penali, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), con particolare riferimento all’accertamento della mancata consapevolezza in capo all’imputato dello stato d’insolvenza della società poi decotta;

b) la manifesta illogicità della motivazione, basata esclusivamente su di un "memoriale" fatto pervenire al Curatore fallimentare da un coimputato.
Motivi della decisione

1. Il ricorso non merita accoglimento.

2. Per ovvi motivi logico-giuridici occorre prendere preventivamente in esame il secondo motivo, relativo alla contestazione della valenza probatoria di un "memoriale", fatto pervenire al Curatore fallimentare da parte di un coimputato ed esclusivamente sulla base del quale, a dire del ricorrente, si sarebbe basata l’affermazione della penale responsabilità.

Trattasi di un motivo al limite dell’inammissibilità, in quanto si propongono questioni inerenti il fatto, così come valutato e accertato dai Giudici del merito che questa Corte di legittimità, all’evidenza, non è in grado di compiere.

A ciò si aggiunga la assorbente circostanza che l’impugnata sentenza non si è affatto basata, per accertare la responsabilità penale dell’Albanese, soltanto su quanto descritto dall’Amministratore della fallita società Avalon nel "memoriale" consegnato alla Curatela fallimentare ma ne abbia effettuato il necessario riscontro a mezzo di indagini della Guardia di Finanza di Como, confermate dal teste della difesa, P.M. (v. pagine 4 e 5 della sentenza della Corte territoriale con riferimento alle statuizioni della sentenza di primo grado e pagina 6 con riferimento alle doglianze sollevate con l’appello).

3. Del pari infondato è il primo motivo di ricorso, vertente sulla pretesa mancata conoscenza, da parte dell’imputato dello stato di decozione della società da cui aveva ottenuto merce in compensazione di un proprio credito.

Giova premettere, in punto di diritto e contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, come il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione possa essere commesso anche da un soggetto non qualificato purchè questi sia consapevole che la propria condotta, in apporto a quella dell’intraneus, abbia determinato un depauperamento del patrimonio sociale ai danni della massa creditoria ma senza alcuna rilevanza della specifica conoscenza dello stato d’insolvenza della società (v. Cass. Sez 5, 26 giugno 2009 n. 31894 e 24 marzo 2010 n. 16579).

Nel caso di specie, con motivazione logica e senza il compimento di alcuna non corretta applicazione delle norme di legge in subiecta materia, i Giudici di merito hanno, innanzitutto, chiarito come l’imputato fosse già a conoscenza delle definitive difficoltà economiche della società, desumibili dalla intenzione di acquistare la società poi venuta meno a cagione proprio dell’accertamento dello stato d’insolvenza, come da dichiarazioni del legale rappresentante della società decotta.

In secondo luogo, l’aver preteso da tale ultimo soggetto dapprima una cambializzazione di assegni postdatati e, successivamente, il ricevimento di merce per l’importo di Euro 34.797,28 in cambio del parziale soddisfacimento del proprio credito non possono che integrare non una lecita operazione di dilazione del debito bensì il conseguimento di un ingiusto profitto in danno degli altri creditori.

Di nessuna rilevanza è, poi, l’asserita lieve incidenza della suddetta datio in solutum in relazione alla complessiva situazione debitoria della società fallita in quanto non è la misura economica dell’operazione bensì il concreto pregiudizio per la massa dei creditori a qualificare un’operazione come vietata piuttosto che lecita.

In sostanza, ogni atto distrattivo viene ad assumere rilevanza, ai sensi della L. Fall., art. 216, in caso di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione di quest’ultimo, il quale non costituisce l’evento del reato che, invece, coincide con la lesione dell’interesse patrimoniale della massa.

4. Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese a favore della costituita parte civile.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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