T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 02-02-2011, n. 71 Lavoro domestico

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il ricorrente è cittadino ucraino ed è entrato illegalmente in territorio italiano.

In data 12 gennaio 2010 il signor Ottavio Gambaretto presentava allo Sportello unico per l’immigrazione di Latina una domanda di emersione dal lavoro irregolare a lui relativa, avvalendosi della facoltà concessa dall’articolo 1ter del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.

Il giorno successivo il signor V. chiedeva alla Questura di Latina il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di emersione di lavoro subordinato domestico.

La domanda del ricorrente era tuttavia respinta in quanto: a) dai rilievi dattiloscopici risultava a carico del signor V. una condanna divenuta definitiva in data 17 luglio 2003 alla pena di sei mesi di reclusione per il reato di concorso in furto aggravato (condanna pronunciata a seguito di cd. patteggiamento); b) ai sensi del comma 12 lettera c) del citato articolo 1ter alla sanatoria non sono ammessi coloro "che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del medesimo codice".

2. Di conseguenza il signor V. impugnava il diniego denunciandone l’illegittimità per violazione dell’articolo 10bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 (cioè per l’omissione del cd. preavviso di rigetto), violazione e falsa applicazione dell’articolo 1ter del d.l. n. 78 del 2009 e eccesso di potere per illogicità e carenza d’istruttoria.

3. L’amministrazione resiste al ricorso.

4. Con ordinanza n. 424 del 7 ottobre 2010 la sezione accoglieva l’istanza di tutela cautelare fissando l’udienza di discussione del merito del ricorso.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

2. Con il primo motivo il ricorrente deduce che illegittimamente l’amministrazione non gli ha comunicato il cd. preavviso di rigetto, cioè non gli ha dato preventiva comunicazione delle ragioni ostative all’accoglimento della sua istanza impedendogli così di partecipare al procedimento.

A questo proposito nel provvedimento si legge che la misura adottata ha carattere di atto vincolato con conseguente superfluità di qualsiasi apporto partecipativo dell’interessato.

In effetti, benché il motivo sia in astratto fondato, il Collegio condivide l’assunto del carattere vincolato dell’atto con conseguente applicabilità alla fattispecie del principio dell’articolo 21octies della legge 7 agosto 1990, n. 241; in altri termini, la sanatoria prevista dall’articolo 1ter citato è, per esplicita disposizione di legge, esclusa in alcune fattispecie; per gli stranieri rientranti in tali fattispecie, quindi, il diniego è un atto dovuto cosicchè – anche in presenza di una violazione delle garanzie procedimentali – il provvedimento di diniego non sarebbe annullabile dato che una ipotetica rinnovazione del procedimento preceduta da avviso e/o preavviso culminerebbe in un nuovo e ulteriore rigetto.

3. In sostanza delle due l’una: o il ricorrente rientra, come ritenuto dall’amministrazione, nella fattispecie di esclusione della regolarizzazione prevista dalla lettera c) dell’articolo 1ter citato e allora il provvedimento non può essere annullato per ragioni formali in applicazione dell’articolo 21octies della legge n. 241 oppure la disposizione citata non è a lui applicabile cosicchè il provvedimento, prima ancora di essere viziato per ragioni formali, è illegittimo per difetto di presupposti.

4. La questione centrale che deve essere risolta consiste pertanto nello stabilire se risultino ostative alla regolarizzazione tutte le condanne per reati riconducibili agli articoli 380 e 381 c.p.p. o se ne possano essere escluse, in via di interpretazione (dato che sul punto la disposizione nulla dispone specificamente), le condanne che abbiano perduto efficacia a seguito di riabilitazione o – trattandosi di patteggiamento – di "estinzione automatica" ex articolo 445, comma 2, c.p.p.

Il punto va meglio chiarito.

La precedente legge che ha introdotto una sanatoria a favore di stranieri illegalmente presenti sul territorio nazionale escludeva la sanabilità nei confronti di stranieri che avessero precedenti penali; tuttavia tale disposizione faceva salvo il caso di sentenze penali di condanna che avessero perso efficacia per essere stati gli interessati "riabilitati"; la giurisprudenza, a sua volta, facendo leva sulla identità di ratio, aveva ritenuto che la medesima regola, pur nel silenzio della normativa, potesse estendersi a chi avesse subito una condanna a seguito di patteggiamento allorchè fosse trascorso il periodo di 5 anni previsto per l’estinzione degli effetti della stessa dal secondo comma dell’articolo 445 c.p.p..

E infatti l’articolo 1, comma 8, lettera c) del d.l. 9 settembre 2002, n. 195 convertito, con modificazioni, dalla legge 9 ottobre 2002, n. 222, escludeva dalla regolarizzazione coloro "che risultino denunciati per uno dei reati indicati negli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, salvo che il procedimento penale si sia concluso con un provvedimento che abbia dichiarato che il fatto non sussiste o non costituisce reato o che l’interessato non lo ha commesso, ovvero risultino destinatari dell’applicazione di una misura di prevenzione o di sicurezza, salvi, in ogni caso, gli effetti della riabilitazione" (come è noto la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità della disposizione nella parte in cui prevedeva che la semplice denuncia risultasse automaticamente d’ostacolo alla regolarizzazione con la sentenza n. 78 del 2005).

Con riferimento a questo testo normativo si è poi formata la giurisprudenza, richiamata dal ricorrente, secondo cui la sentenza di condanna emessa a seguito di patteggiamento non impedisce la regolarizzazione allorchè sia decorso il termine previsto dall’articolo 445, comma 2, c.p.p., giurisprudenza fondata sulla sostanziale analogia di effetti tra l’istituto della riabilitazione e la previsione dell’articolo 445 citato (Consiglio di Stato, sez. VI, 24 aprile 2009, n. 2543).

In occasione della regolarizzazione prevista dal d.l. n. 78 del 2009 il comma 8 dell’articolo 1ter ha "ripreso" la normativa del d.l. n. 195 del 2002; era però soppresso il riferimento alla semplice denuncia come causa ostativa alla regolarizzazione (probabilmente per tener conto delle indicazioni desumibili dalla citata sentenza della Corte Costituzionale), che veniva sostituito dal riferimento alle sentenze di condanna (anche se non ancora definitive e anche se pronunciate a seguito di patteggiamento); neppure era riprodotto il riferimento alla salvezza degli effetti della riabilitazione.

5. In presenza di questi dati normativi e, in particolare, del silenzio dell’articolo 1ter, comma 13, sulla riabilitazione e sul decorso del tempo ex articolo 445 c.p.p. occorre dunque chiedersi se osti alla regolarizzazione anche una condanna penale emessa sì a seguito di patteggiamento ma i cui effetti penali si siano estinti essendo ormai decorso il termine stabilito nell’articolo 445.

Ad avviso del Collegio la giurisprudenza formatasi in occasione della precedente sanatoria, pur nel silenzio del citato articolo 1ter, deve essere riconfermata, nel senso che appare ragionevole ritenere che la condanna che osta alla regolarizzazione non può che essere quella i cui effetti non si siano ancora estinti dato che – a estinzione degli effetti penali verificatasi – la condanna penale costituisce un mero fatto storico. In sostanza il legislatore minus dixit quam voluit ovvero – per meglio dire – la disposizione in esame deve essere interpretata (estensivamente) nel senso che essa si riferisce alle sole condanne ancora produttive di effetti alla data del provvedimento.

L’opposta tesi avrebbe come suo naturale corollario l’attribuzione di un effetto impeditivo della regolarizzazione a precedenti penali remoti e ciò pare porsi in contrasto con la ratio dell’articolo 1ter, comma 13, lettera c); quest’ultima è chiaramente quella di negare la regolarizzazione a soggetti che siano potenzialmente pericolosi per la sicurezza pubblica; tale pericolosità viene desunta dall’esistenza di pregiudizi penali; se però la disposizione si basa su una sorta di presunzione di pericolosità e se, come appare ragionevole ritenere, tale pericolosità deve essere attuale (dato che, per quanto ampia sia la discrezionalità legislativa, sarebbe illogico negare la regolarizzazione a chi, pur in passato condannato, non costituisca un attuale pericolo per la sicurezza e si sia ormai inserito nel tessuto sociale trovandosi un’occupazione), appare corretto ritenere che i soli precedenti penali rilevanti siano quelli tuttora produttivi di effetti, con conseguente esclusione della rilevanza di essi allorchè sia intervenuta la riabilitazione ovvero, trattandosi di condanna patteggiata come nel caso all’esame, essi si siano estinti ex articolo 445 c.p.p.; del resto recentemente il Consiglio di Stato ha statuito che "la riabilitazione, ai sensi dell’art. 179 c.p., estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, tra i quali rientra anche l’effetto ostativo al rilascio del permesso di soggiorno dall’art. 4 comma 3, d.lg. n. 286 del 1998" (Consiglio di Stato, sez. VI, 3 agosto 2010, n. 5148): né può ritenersi che una simile operazione interpretativa renda possibile la regolarizzazione di soggetti pericolosi, in contrasto con quelli che erano gli scopi che il legislatore si è prefisso con l’enucleazione delle fattispecie di non sanabilità previste dall’articolo 1ter, comma 13, dato che la pericolosità per la sicurezza pubblica di uno straniero ne legittima comunque l’espulsione dal territorio nazionale ex articolo 13, comma 2, lettera c) del d.lg. 25 luglio 1998, n. 286.

6. Il ricorso, conclusivamente deve essere accolto e l’atto impugnato annullato. Quanto alle spese la novità della questione ne giustifica l’integrale compensazione.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima)

definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *