Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-12-2010) 08-02-2011, n. 4561 Persona offesa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Forlì, Sezione distaccata di Cesena, in data 24.10.2008, P.O. e C.R. venivano condannate alla pena di mesi quattro di reclusione ciascuna per il reato continuato di violenza privata, così modificata l’originaria imputazione di sequestro di persona, e di minaccia, commesso in (OMISSIS) in danno di T.F. facendola entrare in una rimessa della quale chiudevano la porta, spingendola contro un muro della stessa, costringendola a rimanere nel locale per dieci minuti al buio e rivolgendole le espressioni ti faccio a pezzi, non urlare.

Le ricorrenti lamentano:

1. mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione sull’affermazione di responsabilità delle imputate;

2. omessa motivazione sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento per l’escussione del testimone C.A.;

3. violazione di legge nel non aver ritenuto il reato di minaccia assorbito in quello di violenza privata.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, relativo all’affermazione di responsabilità delle imputate, è infondato.

Con la sentenza impugnata, premesso che la decisione di primo grado fondava l’affermazione di responsabilità delle imputate sulle dichiarazioni della parte offesa e sul riscontro che esse trovavano nelle dichiarazioni del marito T.F. e del verbalizzanti Pi. e M., si osservava che la deposizione della T. era priva di contraddizioni intrinseche; che in particolare il riferimento ad una segregazione della durata di dieci minuti, sproporzionato rispetto all’accaduto fattuale narrato, poteva non esserlo rispetto alla discussione avuta nell’occasione con le imputate e comunque aveva evidente natura valutativa, condizionata da un’errata percezione indotta dalla drammaticità della situazione;

che non era illogica l’asserzione della donna di essersi recata a piedi dopo il fatto presso la caserma dei Carabinieri anzichè fare ritorno alla propria abitazione o telefonare al marito, tenuto conto dell’essere la predetta sconvolta per la grave accusa, rivoltale dalle imputate, di aver avuto una relazione con P.P.; che la circostanza per la quale T.F. non aveva incontrato la moglie sulla strada fra la propria abitazione e quella delle imputate, dove si sarebbe incamminato alla ricerca della parte offesa, poteva trovare spiegazione nell’aver l’uomo visto la moglie in lontananza o nell’aver esteso le proprie ricerche nella zona, non essendovi peraltro ragione perchè la T. non riferisse di un passaggio presso la sua abitazione ove lo stesso si fosse verificato;

che l’essere stata la T. accompagnata a casa dalla P. non era incompatibile con la veridicità della denuncia ed era peraltro circostanza addotta dal teste P.P. in dichiarazioni che non collimanti con altre risultanze processuali; che le contraddizioni indicate dalle imputate appellanti fra le dichiarazioni dibattimentali e quelle precedenti della denunciante non erano significative per il carattere sintetico dell’annotazione di servizio dei Carabinieri, redatta prima della denuncia; e che la circostanza del non aver la T. riferito nella denuncia che la C. deteneva un coltello da cucina trovava spiegazione nella sinteticità della denuncia stessa e nel non essere stato il coltello effettivamente utilizzato. Motivato in tal modo il giudizio di attendibilità intrinseca delle dichiarazioni della T., si aggiungeva che dette dichiarazioni trovavano riscontro non solo in quelle del marito, ma altresì nelle annotazioni di servizio e nelle dichiarazioni dei Carabinieri, dalla quali risultava che la T. era palesemente alterata ed aveva riferito di essere stata accusata dalle imputate di aver avuto una relazione con P.P. e che anche le imputate presentavano analogo stato di alterazione e si lamentavano per la descritta relazione, circostanza contrastante con la tesi difensiva per la quale le imputate avrebbero agito in quanto la T., in difficoltà economiche, aveva assunto un atteggiamento di eccessivo approfittamento della disponibilità mostrata da P.P. e da altri negozianti del paese ad aiutarla, alimentando le dicerie sull’essere la donna mantenuta dal P..

Nel ricorso si rileva come non vi sia convincente motivazione sulla credibilità intrinseca della parte offesa sotto i profili dell’essere la stessa portatrice di interesse nella vicenda per i preesistenti contrasti con le imputate e delle contraddizioni che caratterizzerebbero la sua deposizione, e che gli elementi indicati nella sentenza come riscontri, lungi dall’avere tale natura, rivelerebbero al contrario l’inconsistenza dell’accusa.

Da quanto esposto risulta evidente che i motivi di ricorso ripropongono, in termini peraltro generici con riguardo in particolare alle asserite contraddittorietà delle dichiarazioni della denunciante, questioni sulle quali la sentenza impugnata motivava dettagliatamente, offrendo ricostruzioni coerenti e non manifestamente illogiche della compatibilità di dette contraddizioni con la veridicità del racconto della T. in considerazione delle distorsioni percettive sulla durata della condotta contestata, del condizionamento dello stato d’animo della vittima sui movimenti della stessa successivamente al fatto, della ragionevolezza degli spostamenti riferiti da T.F., della mancanza di incompatibilità con le dichiarazioni accusatorie dell’accompagnamento della parte offesa ad opera della P. e del carattere non significativo delle discrasie fra le dichiarazioni dibattimentali e predibattimentali della denunciante e del mancato riferimento di queste ultime alla detenzione del coltello da parte della C. tenuto conto della sintetica verbalizzazione operata in sede di indagini preliminari. L’aspetto della valutazione dell’interesse nella vicenda della persona offesa era poi implicitamente superato nella sentenza dall’indicazione di precisi riscontri estrinseci, oggetto di analitiche e logiche considerazioni.

A queste conclusioni il ricorrente oppone in sostanza una diversa lettura degli elementi di prova, che non può essere oggetto di valutazione in questa sede; il ricorso deve pertanto, per questo aspetto, essere respinto.

2. Infondato è altresì il secondo motivo del ricorso, relativo alla omessa motivazione sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento per l’escussione del testimone Ca.Al..

Occorre precisare che la richiesta di assunzione della deposizione del teste di cui sopra veniva formulata non quale motivo di appello in tema di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ma con memoria presentata dalla difesa il 20.10.2009 in sede di udienza di discussione del gravame. Ora, già con riguardo ad una richiesta di rinnovazione espressa con l’atto di appello questa Corte ha avuto modo di chiarire (Sez. 4, n.43966 del 6.11.2009, imp. Morelli, Rv.245527) che, in considerazione del carattere eccezionale dell’istituto della rinnovazione e della conseguente discrezionalità del relativo giudizio, fondato sul ritenere il giudice di non poter decidere sul gravame allo stato degli atti, il diniego sulla richiesta difensiva può essere ricavato per implicito dalla complessiva argomentazione della sentenza d’appello, laddove nella stessa si dia conto di elementi tali da sostenere una decisione sul materiale acquisito. Il principio non può che valere a maggior ragione per una richiesta di rinnovazione espressa nel corso dell’udienza, costituente sollecitazione all’esercizio da patte del giudice dei suoi poteri officiosi di integrazione probatoria. Ebbene, nel caso di specie la minuziosa motivazione della sentenza impugnata sulla attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa e sugli elementi di riscontro estrinseco della stessa implica un giudizio di completezza della prova acquisita e, per contro, l’esclusione della ricorrenza del requisito dell’indecidibilità allo stato degli atti.

La censura di omessa motivazione sul punto è pertanto priva di fondamento.

3. Fondato è invece il terzo motivo di ricorso, relativo all’assorbimento del reato di minaccia in quello di violenza privata.

Nel ricorso, premesso che per la realizzazione del delitto di violenza privata il soggetto agente può utilizzare anche congiuntamente condotte violente e minacciose, si rileva che la sussistenza di entrambe le condotte configura l’unico reato di cui all’art. 610 c.p., e che gli atti di violenza e minaccia venivano nella specie realizzati in un contesto unitario ed all’unico scopo di discutere con la T. della relazione della stessa con P. P..

Dalla stessa motivazione della sentenza impugnata risulta in effetti la mancanza di soluzione di continuità fra le condotte riferite dalle imputazioni ai delitti di violenza privata e di minaccia.

Quest’ultimo è poi espressamente contestato nell’aver profferito frasi chiaramente dirette ad impedire la reazione verbale della T. alla costrizione nella rimessa; e dunque collocato in una prospettiva strettamente funzionale all’esecuzione del reato di violenza privata.

La minaccia integrava pertanto(anche in concreto, elemento costitutivo del reato di cui all’art. 610 c.p.; e come tale ne veniva assorbito, escludendosi la ravvisabilità del concorso formale fra i delitti (Sez. 5, n.43219 del 17.10.2008, imp. Forti, Rv.242190).

La sentenza impugnata deve di conseguenza essere annullata senza rinvio sul punto, con eliminazione della porzione di pena di mesi uno di reclusione inflitta con la sentenza impugnata a titolo di aumento per la continuazione con riferimento al reato di minaccia.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al delitto di minaccia, che resta assorbito in quello di violenza privata, ed elimina la relativa pena di mesi uno di reclusione irrogata a titolo di aumento per la continuazione. Rigetta nel resto i ricorsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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