Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-03-2011, n. 5846 Società

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 21.2.2006, la CTR del Lazio dichiarava inammissibile l’appello proposto da F.A. e da L. F. avverso la sentenza con la quale la CTP di Roma aveva rigettato il ricorso dagli stessi proposto avverso gli avvisi di accertamento del maggior reddito rispettivamente accertato, negli anni 1986 e 1987, quali soci, in ragione del 30 e del 70%, della società "La Fruttiera di Lucci Fausto & C. S.n.c".

Dopo aver rilevato che la sentenza di primo grado era stata pubblicata il 18.5.2001, la CTR evidenziava che l’appello era stato notificato il 2.4.2004, e depositato il successivo giorno 7, ben oltre il termine annuale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38 e art. 327 c.p.c. senza che potesse rilevare, in contrario, l’asserita irregolare notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza, tenuto conto che l’invocato istituto dell’impugnazione tardiva era ammissibile, solo, nei confronti della parte non costituita, e tali non potevano considerarsi gli appellanti, che avevano proposto il ricorso introduttivo del giudizio.

Per la cassazione di tale sentenza, propongono ricorso i contribuenti, pure illustrato con memoria, nei confronti del Ministero delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate; questa resiste con controricorso.
Motivi della decisione

Va, preliminarmente, rilevata l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non è stato parte del pregresso grado di giudizio. A seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, avvenuta con D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 e divenuta operativa dal 1 gennaio 2001 ( D.M. 28 dicembre 2000, ex art. 1), si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione "ad causam" e "ad processum" nei procedimenti introdotti dopo il 1 gennaio 2001 spetta all’Agenzia, e la proposizione dell’appello da parte o nei confronti della sola Agenzia, senza esplicita menzione dell’ufficio periferico che era parte originaria, si traduce nell’estromissione di quest’ultimo (cfr. S.U. n. 3116 e n. 3118 del 2006, n. 22641 del 2007). Nulla per le spese, dato il mancato svolgimento di difese, da parte di tale intimato.

Col primo motivo, i ricorrenti deducono che i giudici d’appello hanno violato e falsamente applicato il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, nel ritenere che tale disposizione si applichi, solo, alle parti non costituite.

I ricorrenti sostengono che tale riduttiva interpretazione non tiene conto che il processo tributario è dominato dall’impulso d’ufficio, che il termine "costituito" va riferito, soprattutto, all’udienza di discussione, che rappresenta il momento in cui vengono, in effetti, espletate le difese, e che l’avviso di fissazione dell’udienza corrisponde, nel processo tributario, a quello che nel procedimento ordinario è l’atto di citazione, "per cui la mancata o irregolare notifica della comunicazione determinano rispettivamente l’inesistenza o la nullità dell’atto". A tale stregua, proseguono i ricorrenti, la disposizione deve applicarsi, anche, nell’ipotesi di nullità della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza.

Il motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 6375/2006), cui si presta convinta adesione, ha affermato che l’art. 327 c.p.c. estendendo la propria efficacia all’intero ordinamento processuale, si applica anche alle sentenze delle commissioni tributarie di primo e secondo grado, le quali, pertanto, non possono essere impugnate ove sia trascorso un anno dalla loro pubblicazione, termine che decorre dal deposito della sentenza, senza che assuma alcun rilievo la comunicazione del relativo avviso da parte della cancelleria, a meno che la parte rimasta contumace non dimostri di non avere avuto alcuna conoscenza del processo; ai fini dell’accertamento di tale conoscenza, è poi sufficiente che sia nota la proposizione del ricorso.

E’, quindi, evidente che la norma non è applicabile all’attore (nella specie, ai ricorrenti) che è costituito nel giudizio, non potendosi in alcun caso attribuire a tale parte del processo la qualifica di contumace: ed invero, come questa Corte ha evidenziato (Cass. n. 8245/2003), per l’applicazione della deroga prevista dall’art. 327 c.p.c., comma 2, "costituisce condizione essenziale che la parte contumace sia rimasta tale perchè, a causa del contenuto della citazione, del ricorso o della loro notificazione, non è stata messa in grado di prendere parte al giudizio, mentre non si applica quando la parte, messa in grado di partecipare al giudizio o comunque costituitasi, rimane poi assente per vizi di svolgimento dello stesso". E’ altrettanto evidente che la norma è applicabile solo quando l’ignoranza del processo -la quale deve essere, peraltro, totale – sia dovuta alla nullità di ben determinati atti, tra i quali non trova spazio l’ipotesi qui dedotta, dell’omessa comunicazione dell’udienza di discussione, nonostante tale omissione comporti la nullità della sentenza eventualmente pronunciata, e ciò in quanto siffatta sentenza, pure affetta da nullità; è una pronuncia esistente ed il suo vizio si è convertito, ex art. 161 c.p.c. in motivo d’impugnazione, esperibile nei termini di legge e la cui inosservanza determina il passaggio in giudicato della sentenza (Cass. n. 1565/07).

Col secondo motivo, i ricorrenti sollevano il dubbio di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. ove interpretato nel senso di escludere la possibilità dell’impugnazione tardiva alla parte costituita, che non abbia avuto cognizione, non per fatto proprio, di un atto essenziale ed insostituibile nel processo, quale, appunto, la fissazione dell’udienza. Tale esegesi, proseguono i ricorrenti, viola il diritto di difesa "che può considerarsi concretamente rispettato quando il soggetto possa far valere le proprie ragioni attraversi un giusto processo che si svolga nel contraddittorio tra le parti".

Col terzo motivo, i ricorrenti sollevano il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 327 c.p.c. in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui prevede la decorrenza del termine annuale per proporre impugnazione della sentenza dalla data della pubblicazione invece che da quella della sua comunicazione. In relazione a tale norma, i ricorrenti, dopo aver ribadito che, alla luce del nuovo testo dell’art. 111 Cost., il diritto di difesa trova concreta applicazione attraverso il giusto processo, fondato sull’assoluto rispetto del contraddittorio, affermano che "le leggi regolataci del processo debbono esser tali da garantire il rispetto di detto principio, rimuovendo quei fatti o cause impeditivi. Un possibile fatto impeditivo è rappresentato dalla statuizione della decorrenza del termine lungo per impugnare dalla pubblicazione, anzichè dalla comunicazione del deposito della sentenza. Il legare l’esercizio di un diritto (nel caso diritto d’impugnativa) ad un fatto incerto nel tempo, quale la data di pubblicazione della sentenza, senza che questa ultima venga portata a conoscenza del soggetto, determina una indubbia, gravissima ed irragionevole compressione del diritto di difesa".

I dubbi di costituzionalità sollevati dai ricorrenti sono manifestamente infondati. La Corte Cost., con la sentenza n. 297/2008, ha affermato che l’art. 327 c.p.c., comma 1 (richiamato nel processo tributano dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art 38, comma 3) che prevede la decadenza dalla impugnazione dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione della sentenza, indipendentemente dalla notificazione, non si pone in contrasto con il diritto di difesa, tutelato dall’art. 24 Cost., in quanto tale norma opera un bilanciamento non irragionevole tra l’indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa. L’ampiezza del termine annuale, prosegue il giudice delle leggi, consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta in "rebus suis". La decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte: sicchè lo spostamento del "dies a quo" dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata "ex officio".

La circostanza che i contribuenti abbiano avuto la possibilità di svolgere le proprie difese all’interno del processo – che essi stessi avevano instaurato, ed avevano l’onere di coltivare – rende manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità di entrambe le norme denunciate, anche, in relazione all’art. 111 Cost., che, al contrario di quanto postulato dai ricorrenti, impone che il processo sia governato, per esigenze di certezza e ragionevole durata, da scansioni temporali presidiate dalla sanzione di decadenza dal compimento di determinate attività (cfr. Corte Cost., ord. n. 163/2010).

In ossequio al criterio legale della soccombenza i ricorrenti vanno condannati a pagare in favore dell’Agenzia delle Entrate, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese prenotate a debito.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e nulla spese, e lo rigetta nei confronti dell’Agenzia delle Entrate; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore dell’Agenzia, liquidate in Euro 2.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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