Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 04-11-2010) 09-02-2011, n. 4661 Sequestro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Napoli, con ordinanza in data 24 giugno 2010, in sede di riesame di decreto di sequestro preventivo, ai sensi dell’art. 321 c.p.p. e della L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, adottato dal G.I.P. dello stesso Tribunale il 21 maggio 2010, nei confronti, tra gli altri di D.B.N., C.A., D.B. G., D.G., annullava in parte il suddetto decreto, con riferimento ad un immobile appartenente a C.A., e lo confermava per la restante parte concernente altri beni analiticamente elencati.

Il Tribunale osservava, in primo luogo, che il G.I.P. distrettuale aveva applicato a numerosi indagati, tra i quali D.B.N., la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di cui all’art. 513 bis c.p., aggravato dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7, perchè, in accordo tra loro e con la partecipazione di vari clan camorristi e mafiosi, in particolare il D.B.N. quale referente, nel settore del trasporto su gomma dei prodotti ortofrutticoli, dell’articolazione territoriale dell’associazione mafiosa "Cosa Nostra" denominata "Ercolano Santapaola", assoggettavano le attività di accesso e, quindi, di carico, scarico e trasporto di ortofrutta alle regole monopolistiche fissate dalle organizzazioni criminali, imponendo quale ditta che doveva effettuare il trasporto su gomma dei prodotti ortofrutticoli sulle tratte da (OMISSIS) verso la Campania, il Lazio e altre zone del territorio nazionale, la "Paganese Trasporti snc" ovvero altra ditta designata dalla P., in accordo, tra gli altri, con D.B.N..

Non vi era, invece, richiesta di misura cautelare nei confronti di C.A., moglie di D.B.N., indagata per il delitto di cui alla L. n. 306 del 1992, art. 12 quinques.

Il Tribunale osserva che il presupposto del fumus boni iuris è assorbito dalla conferma da parte del Tribunale del riesame dell’ordinanza di applicazione di misura cautelare personale nei confronti di D.B.N., così che gli elementi accusatori appaiono tali da consentire di ritenere altamente probabile la condanna dell’indagato in ordine al reato a lui ascritto, presupposto per la confisca obbligatoria dei beni sottoposti a vincolo, nonchè per l’adozione del sequestro preventivo. Il Tribunale, quindi, dopo un analitico esame della documentazione in atti, compresa quella prodotta dalla difesa, e del contenuto delle intercettazioni, concludeva nel senso che le allegazioni difensive non sconfessavano la valutazione di sproporzione tra i beni in sequestro e il reddito prodotto dall’indagato e dal suo nucleo familiare nel periodo cui si riferiscono gli acquisti di beni immobili e le partecipazioni in società, mentre rimaneva confermata, in particolare con riferimento alla moglie dell’indagato, la fittizietà della intestazione di quote societarie, non essendo mai emerso un ruolo gestionale della C. nelle aziende.

Propone ricorso per Cassazione, con un unico atto, il difensore degli indagati, deducendo il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e).

Il ricorrente, dopo avere affermato che la motivazione dell’ordinanza impugnata è assolutamente illogica e carente, prende in esame le singole posizioni.

Per quanto concerne D.B.N., il ricorrente osserva che la srl DTB, società che opera nel settore degli autotrasporti, venne costituita il 13 marzo 2002 tra la sig.ra C., moglie del D. B., e tale S.M., il quale, poi, nel 2004, cedette le proprie quote al D.B.. Si tratta, secondo il ricorrente, di società che non risulta coinvolta nell’indagine che ha dato luogo al procedimento de quo; d’altra parte, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia B.C., richiamate nella motivazione della ordinanza impugnata, riferirebbero circostanze fino all’anno 2001 e, quindi, anteriori alla costituzione della suddetta società. Il ricorrente evidenzia, inoltre, quello che ritiene un errore di rilevante entità, poichè al B. vengono fatte visionare delle foto che dovrebbero riprodurre i fratelli D.B. e che, invece, riguardano soggetti che, pur chiamandosi D.B., non sono fratelli e nemmeno parenti. Con riferimento alla società Orofrutta srl, il ricorrente osserva che si tratta di società inattiva da diversi anni e sulla quale pende istanza di fallimento, situazione che sarebbe incompatibile con la tesi accusatoria di accordi malavitosi.

Con riferimento all’immobile dove risiede la famiglia D.B., sequestrato ai sensi della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, il ricorrente osserva che esso è stato acquistato per un corrispettivo pari a Euro 165.000, con un acconto di Euro 15.000 e con un mutuo fondiario per la somma di Euro 150.000.

Con riguardo alla capacità reddituale del D.B., il ricorrente lamenta che l’ordinanza impugnata prenda in esame soltanto il dato scaturente dalla dichiarazione dei redditi, senza considerare che il D.B., nell’anno 1999, aveva venduto un immobile di sua proprietà al prezzo dichiarato in atti di L. 80.000.000.

Per quanto concerne C.A., il ricorrente ribadisce le censure già formulate con riferimento alle quote della società DBT. Con riferimento, poi, alla società "la Dolce Mela srl", la difesa osserva che essa ha per oggetto il commercio all’ingrosso di frutta ed ortaggi e non opera nel settore degli autotrasporti, anzi tra le ditte fornitrici di servizi di autotrasporti alle quali essa si rivolge non vi sarebbe la "Paganese Trasporti"; comunque, la suddetta società non risulterebbe mai menzionata negli atti di indagine. Per quanto attiene le dichiarazioni rese dal collaboratore B., il ricorrente rinvia alle considerazioni già svolte con riferimento alla società DTB. Con riguardo al sequestro ex L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies di un terreno e di un’abitazione, dato atto che per l’abitazione il provvedimento è stato annullato dal Tribunale, il ricorrente osserva che la C. non è più proprietaria del terreno da quasi diciotto anni e il Tribunale fa riferimento ad un successivo atto di acquisto redatto nel 2006 in realtà inesistente. Sulla capacità reddituale della C., il ricorrente lamenta che l’ordinanza impugnata abbia fatto riferimento al solo dato del reddito imponibile, senza considerare che la C., oltre che dall’attività professionale di avvocato, ricava redditi da fabbricati per canoni di locazione e nel 2004 ha venduto un immobile, unitamente ad altri parenti comproprietari, per un corrispettivo dichiarato nell’atto di Euro 120.000. Per quanto concerne D.B. G., con riferimento alla società "La Dolce Mela srl", di cui è amministratore unico e socio al 10%, il ricorrente ribadisce le considerazioni già formulate con riguardo alla C. e aggiunge che D.B.G., padre di D.B.N., nel partecipare alla costituzione della suddetta società, intendeva coadiuvare il proprio figlio e la moglie di questi nel finanziare l’attività commerciale e non certo porsi come figura interposta, poichè sarebbe inusuale che un’operazione del genere venisse portata termine con un prossimo congiunto e con una quota societaria del 10%.

Per quanto concerne D.G., moglie di D.B.G., amministratore unico e socia allo 0,2% del capitale sociale della Orofrutta srl, detenuto da D.B.N. al 99,8, si tratterebbe di società inattiva dall’anno 2000 e della quale la D. sarebbe divenuta detentrice di una quota sociale per decisione del figlio, in segno di riconoscenza per il fatto che essa, insieme al marito, aveva prestato il proprio aiuto economico al figlio per le operazioni di avviamento dell’attività imprenditoriale. Il ricorrente ribadisce, inoltre, la già dedotta non plausibilità dell’assunto accusatorio, poichè sarebbe inusuale che un’operazione del genere venisse portata a termine con un prossimo congiunto e con una quota societaria dello 0,2%.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati ovvero non consentiti nel giudizio di legittimità e devono essere dichiarati inammissibili. Occorre sottolineare che il ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza emessa in sede di riesame ex art. 322 c.p. è proponibile solo per violazione di legge. Ne consegue che non possono essere dedotti con il predetto mezzo di impugnazione vizi della motivazione, non rientrando nel concetto di violazione di legge, come indicato nell’art. 111 Cost. e art. 606 c.p.p., lett. b) e c), anche la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, separatamente previste come motivo di ricorso dall’art. 606 c.p.p., lett. e). I motivi di ricorso proposti tendono, appunto, a censurare le valutazioni offerte dal giudice di merito, non evidenziando alcun vizio di violazione di legge. Ciò risulta ancora più evidente ove si consideri che l’ordinanza impugnata, ha chiarito, con esame puntuale e analitico delle emergenze documentali: 1) che le allegazioni difensive non sconfessano la valutazione di sproporzione tra i beni in sequestro e il reddito prodotto dall’indagato (D. B.N.) e dal suo nucleo familiare nel periodo cui si riferiscono i relativi acquisti; 2) che non v’è dubbio che i coniugi D.B. – C. non hanno percepito redditi sufficienti a giustificare la costituzione delle società a loro facenti capo, nè le asserzioni difensive circa l’attività professionale della C. sono supportate da documentazione attestante la percezione di redditi maggiori di quelli risultanti dalle dichiarazioni esaminate dalla P.G.; 3) che la fittizietà delle intestazioni alla moglie dell’indagato emerge palesemente dalle intercettazioni agli atti; 4) che, quanto ai restanti beni, il raffronto tra i redditi individuali dichiarati dal D.B. e dal suo nucleo familiare ed il valore degli stessi beni in sequestro, lascia chiaramente intendere come il relativo acquisto sia stato finanziato con proventi illeciti.

Nessuna violazione di legge è ravvisabile nelle suddette argomentazioni e valutazioni del giudice di merito.

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso, ciascuno al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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