Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 04-11-2010) 09-02-2011, n. 4660 Revoca e sostituzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Napoli, con ordinanza in data 27 maggio 2010, in riforma del provvedimento del G.I.P. dello stesso Tribunale del 19 aprile 2010, che aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di E.G., indagato per il reato di cui all’art. 513 bis c.p., aggravato dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, sostituiva la suddetta misura con quella degli arresti domiciliari.

Secondo la contestazione E.G., in concorso con molteplici indagati, quale referente, nell’attività del trasporto su gomma nel settore ortofrutticolo, dell’articolazione territoriale dell’associazione mafiosa "Cosa Nostra" denominata sodalizio mafioso "Ercolano-Santapaola", operante a (OMISSIS) e zone limitrofe, in collegamento con il clan camorrista dei casalesi, e avvalendosi sia della forza di intimidazione delle organizzazioni di stampo mafioso egemoni sui territori siciliani e, quindi, sui mercati ortofrutticoli all’ingrosso di (OMISSIS) e della Sicilia Occidentale, che di quella propria del sodalizio casalese che controllava, anche militarmente, la provincia di (OMISSIS) e parti delle limitrofe province di (OMISSIS), nonchè i mercati ortofrutticoli di (OMISSIS) e limitrofi, è accusato di avere assoggettato le attività di accesso e, quindi, dì carico, scarico e trasporto di ortofrutta alle regole monopolistiche fissate dalle citate organizzazioni criminali, regole in base alle quali il trasporto su gomma sulle tratte fra i mercati siciliani, campani e laziali potevano essere coperte solo dalla ditta di trasporti designata dai casalesi in accordo con i referenti della mafia siciliana, individuandosi, in particolare, tale ditta con la "Paganesi Trasporti snc" ovvero altra ditta designata dalla P..

Con l’aggravante di avere agito con le modalità previste dall’art. 416 bis c.p. e di avere commesso il fatto al fine di agevolare i sodalizi mafiosi e camorristi sopra indicati.

Il Tribunale procedeva, in primo luogo, ad una ricostruzione delle attività del clan dei casalesi, con particolare riferimento al controllo della commercializzazione dei prodotti agro-alimentari e al loro trasporto su gomma da e per i principali mercati del centro e sud Italia, realizzato attraverso la società di autotrasporti "La Paganese Trasporti & c. snc" di Pa.Co., mediante azioni di vera e propria guerriglia, con assalti agli automezzi utilizzati per il trasporto delle merci, aggressioni fisiche agli autisti, atti di intimidazione verso questi ultimi e gli imprenditori. In tal modo, la P. arriverà a controllare il trasporto da e verso i mercati ortofrutticoli più importanti della Campania e diventerà interlocutore privilegiato delle organizzazioni risalenti a "Cosa Nostra" negli accordi tesi a garantire una situazione di esclusiva anche nei mercati siciliani, in particolare nel catanese, grazie all’appoggio di imprenditori, legati alla famiglia Santapaola, quale E.G., cognato di S.N., la cui appartenenza al sodalizio criminale "Cosa Nostra" – rileva il Tribunale – è stata acclarata con sentenza passata in giudicato.

Il Tribunale passava, poi, ad esaminare il compendio probatorio a carico dell’indagato ed affermava che esso si fonda sulle parole di Pa.Co., il quale, nelle numerose conversazioni captate, palesa il legame esistente tra gli imprenditori D.B.N., S.N., F.A. e l’ E., indicato quale longa manus della famiglia mafiosa Santapaola, mediante la quale egli era riuscito ad imporsi anche nei mercati catanesi. La correttezza delle informazioni del Pa., viene desunta anche da riscontri documentali quanto alle cointeressenze tra le società degli imprenditori in contatto con il Pa. e gli E..

Le conversazioni intercettate trovano conferma -nella ricostruzione dei fatti ad opera del Tribunale – nelle dichiarazioni di p. A., referente del clan Maliardo, la cui società "Trasporti Panico" era stata estromessa dal trasporto di prodotti ortofrutticoli a favore della P., nonchè nelle dichiarazioni di B. C., esponente della famiglia Madonia di Gela. Il Tribunale riteneva, inoltre, sussistente l’aggravante speciale di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 del sotto la duplice veste della modalità mafiosa e della agevolazione della realtà associativa.

Sotto il profilo cautelare, il Tribunale, in considerazione dell’età dell’indagato e delle sue condizioni di salute, sostituiva la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.

Propone ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato, deducendo violazione di legge, omessa motivazione, illogicità, travisamento, erronea interpretazione e applicazione della legge penale.

Con riferimento alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, il ricorrente lamenta che gli unici, presunti elementi indiziari siano rappresentati dalle "scarne ed inconsistenti propalazioni del collaboratore B.C. e da una conversazione ambientale intercettata, il cui contenuto appare del tutto neutro e penalmente irrilevante": le dichiarazioni del B. troverebbero la propria fonte nello stesso indagato, con conseguente incontrollabilità della veridicità del B. e assai scarsa attendibilità dello stesso, mentre dalle conversazioni intercettate non emergerebbe alcuna condotta illecita, nè esisterebbe alcun riscontro all’ipotesi accusatoria.

Il ricorrente censura anche la ritenuta sussistenza dell’aggravante contestata, in quanto non sarebbe possibili ipotizzare l’esistenza di un’associazione mafiosa che agisca organicamente e trasversalmente nè una partecipazione dell’ E. a tale presunta consorteria, in assenza di contributo causale e di adesione.

Per quanto concerne le esigenze cautelari, il ricorrente afferma che le condizioni di salute dell’ E. non possono essere fronteggiate ed adeguatamente curate con i limiti degli arresti domiciliari.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati ovvero non consentiti nel giudizio di legittimità e devono essere dichiarati inammissibili. I motivi di ricorso sono manifestamente infondati per la parte in cui contestano l’esistenza o la logicità di un apparato giustificativo della decisione, che invece esiste e non è manifestamente illogico; non consentiti per la parte in cui pretendono di valutare, o rivalutare, gli elementi indiziar al fine di trarre proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Dalla sintetica ricostruzione del tessuto motivazionale dell’ordinanza impugnata effettuata nelle premesse, risulta evidente che il ricorrente, evidenziando solo una parte degli elementi indiziari presi in considerazione dall’ordinanza impugnata e, per di più, proponendo a questa Corte una loro diversa interpretazione rispetto a quella fornita dal giudice di merito, non tiene conto del costante insegnamento di questa Suprema Corte, secondo il quale esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali(per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944). Inoltre, la pronuncia cautelare non è fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza, e il giudizio di legittimità deve limitarsi a verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, senza possibilità di "rilettura" degli elementi probatori (per tutte: Sez. Un. 22/3/2000-2/5/2000, n. 11, Audino, riv. 215828). Anche per quanto concerne le esigenze cautelari, il Tribunale ha offerto ampia e corretta motivazione, superando anche il disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 3, mediante la sostituzione della custodia cautelare in carcere, ivi prevista in relazione all’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, con gli arresti domiciliari.

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso, al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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