Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 18-03-2011, n. 6301 Carriera inquadramento Ente sviluppo agricolo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’appello di Palermo, riformando la sentenza del primo giudice, ha rigettato la domanda degli odierni ricorrenti, dipendenti dell’ESA- Ente di sviluppo agricolo, volta ad ottenere l’inquadramento nella qualifica di dirigente di terza fascia, istituita dalla L.R. Sicilia 15 maggio 2000, n. 10 (art. 6, comma 1).

La Corte, premesso che il regolamento concernente la disciplina giuridica ed economica del personale dell’ente, conformemente a quanto stabilito dalla L. 10 agosto 1965, n. 21, art. 28, di trasformazione dell’ERAS – Ente per la riforma agricola in Sicilia nell’attuale ESA, aveva fatto rinvio alle disposizioni per i dipendenti civili dello Stato, ha osservato che l’assetto delle carriere del personale dell’ente, e di quelle direttiva e dirigenziale in particolare, si era via via omologato a quello delle carriere statali, risultando pertanto essenzialmente diverso rispetto all’ordinamento del personale regionale; la L.R. n. 10 del 2000, art. 6 nella parte in cui istituisce nell’amministrazione regionale e negli enti da essa vigilati o controllati una terza fascia dirigenziale prevedendo che in essa sia inquadrato il personale con qualifica di dirigente amministrativo e tecnico o equiparato, deve essere letto alla luce dell’art. 1 della citata legge; pertanto, considerato che da un lato il comma 1 di tale articolo prevede che le disposizioni della stessa legge disciplinano anche i rapporti di lavoro e di impiego degli enti pubblici sottoposti a vigilanza e/o controllo della regione, ma dall’altro il comma 3 stabilisce che gli enti anzidetti si adeguano, anche in deroga alle speciali disposizioni di legge che li disciplinano, al regime giuridico fissato nel titolo primo della legge adottando appositi regolamenti di organizzazione secondo le procedure previste da specifiche leggi regionali, si deve ritenere che negli enti pubblici sottoposti a vigilanza e controllo della Regione l’operatività della disposizione istitutiva della terza fascia dirigenziale non può prescindere dalla previa emanazione del regolamento di organizzazione indicato in tale comma, ossia dallo strumento tecnico previsto per consentire l’adeguamento dell’ordinamento interno degli enti ai nuovi principi.

Questa interpretazione – secondo la Corte territoriale – è anche la più conforme alla ratio legis, il cui scopo è quello di consentire a ciascun ente, nel rispetto della propria autonomia statutaria e regolamentare, la recezione del nuovo regime con gli adattamenti indispensabili in relazione alla propria concreta situazione, senza automatiche trasposizioni delle norme sulla dirigenza regionale, le quali, per le peculiarità di ciascuno degli enti sotto il profilo dell’organico delle diverse qualifiche e del numero e graduazione delle posizioni dirigenziali, sarebbero produttive di effetti negativi sul piano organizzativo. In ogni caso – secondo la Corte di merito – anche a ritenere, come aveva fatto il primo giudice, che la fonte regolamentare possa disporre solo in ordine all’organizzazione degli uffici e alle relative dotazioni organiche, il suo intervento costituirebbe in ogni caso presupposto per l’inquadramento del personale nella cosiddetta terza fascia dirigenziale, non potendosi prescindere a tal fine dalla individuazione degli uffici di livello dirigenziale e dalla determinazione dell’organico dei dirigenti, pena l’attribuzione della qualifica dirigenziale ad un numero rilevante di soggetti senza preventiva verifica del fabbisogno organico, in relazione al numero ed al livello delle posizioni dirigenziali necessarie per il perseguimento dei fini dell’ente, in palese contrasto con l’art. 97 Cost., come già segnalato, del resto, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa nel parere reso sullo schema di regolamento di organizzazione deliberato dal consiglio di amministrazione dell’ente, nel quale era prevista l’istituzione della terza fascia dirigenziale ad esaurimento e l’accesso alla medesima del personale direttivo. La Corte d’appello ha ancora notato che l’equiparazione dei dipendenti dell’ente, appartenenti all’area C, ai dirigenti amministrativi o tecnici dell’amministrazione regionale, disposta nelle tabelle di equiparazione approvate nel 2000 dal Consiglio di amministrazione dell’ente e poi recepite nel D.P.R. Siciliana n. 70 del 2001, non poteva avere rilievo ai fini di una decisione favorevole ai dipendenti, poichè tali tabelle, previste dalla L.R. n. 6 del 1997 allo scopo di impedire che il trattamento giuridico ed economico del personale degli enti vigilati fosse superiore a quello dei dipendenti regionali, non potevano travalicare tale specifica finalità di contenimento degli oneri finanziari a carico del bilancio regionale, determinando anzi effetti contrari alla stessa. Da ultimo, la Corte ha sottolineato che l’interpretazione del primo giudice avrebbe determinato l’attribuzione di una qualifica dirigenziale in senso pieno a dipendenti appartenenti all’ex carriera direttiva, poi inquadrati nell’area C del contratto di comparto, al di fuori di qualsiasi meccanismo di carattere selettivo o concorsuale, in palese contrasto con la regola del pubblico concorso più volte indicata dalla Corte costituzionale come derogabile solo in particolari situazioni che ne dimostrino la ragionevolezza, non configurarle peraltro nel caso di disposizioni che prevedano scivolamenti automatici verso posizioni superiori.

2. I ricorrenti chiedono la cassazione di questa sentenza con quattro motivi. La p.a. resiste con controricorso dell’Avvocatura Generale dello Stato.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata violazione della L.R. n. 10 del 2000, artt. 1 e 6. Si sostiene che la omessa o ritardata emissione del regolamento di esecuzione relativo all’applicazione della predetta disposizione normativa non può comportare la inoperatività di quest’ultima, nè il comportamento inerte della p.a. può determinare effetti pregiudizievoli nei confronti dei soggetti titolari di un diritto.

2. Con il secondo motivo di ricorso è denunziata violazione della L.R. n. 21 del 1965, art. 2. Si sostiene che il regolamento era stato comunque adottato ed era pienamente valido, per decorso del termine entro il quale l’organo di controllo avrebbe potuto annullarlo.

3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L.R. n. 6 del 1997, art. 31 e della L.R. n. 10 del 2000, art. 6. Si deduce che, in realtà, quest’ultima disposizione era di immediata efficacia, potendosi attuare la equiparazione con il personale regionale in base alle tabelle di cui all’art. 31 cit., erroneamente non valorizzate dal giudice d’appello ai fini in esame.

4. Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 1, 4 e 12 preleggi. Si deduce che la Corte d’appello, nell’interpretare la normativa qui rilevante, ha erroneamente dato prevalenza a disposizioni regolamentari rispetto a quelle di una norma primaria, quale la L.R. n. 10 del 2000, art. 6 il cui significato letterale era univoco e autosufficiente e non poteva essere travisato in base a considerazioni di mera opportunità. 5. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perchè connessi, sono infondati in ognuno dei profili così evidenziati.

5.1. La L.R. Sicilia 15 maggio 2000, n. 10, nell’art. 1, comma 1, stabilisce che le disposizioni da essa introdotte "disciplinano l’organizzazione degli uffici dell’amministrazione regionale ed i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze della Regione e degli enti pubblici non economici sottoposti a vigilanza e/o controllo della Regione". Il comma 3 dell’articolo in esame dispone a sua volta, per quanto interessa, che "gli enti di cui al comma 1 si adeguano anche in deroga alle speciali disposizioni di legge che li disciplinano al regime giuridico di cui al presente titolo adottando appositi regolamenti di organizzazione". L’oggetto della materia regolamentare coincide con l’intero ambito di quella regolata dal titolo primo della legge, espressamente richiamato. In tale titolo rientra l’art. 6, concernente l’ordinamento della dirigenza. Ai regolamenti di organizzazione previsti nel comma 3 è consentito in tale materia di derogare alle disposizioni di legge che specificamente disciplinano gli enti di cui al comma 1. L’art. 6, per ciò che rileva, dispone nel comma 1 che: "1. Nell’amministrazione regionale e negli enti di cui all’art. 1 la dirigenza è ordinata in unico ruolo articolato in due fasce. In relazione al livello di professionalità e di responsabilità la distinzione in fasce ha rilievo agli effetti del trattamento economico ed ai fini del conferimento di incarichi dirigenziali. Nella prima applicazione della presente legge è altresì istituita una terza fascia in cui è inquadrato il personale con la qualifica di dirigente amministrativo e tecnico o equiparato ai sensi della normativa previgente in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge". 5.2. Come questa Corte ha già precisato in analoga controversia (cfr. Cass. n. 11245 del 2010), il testo del menzionato art. 1, comma 3, della legge in esame, prevedendo l’adeguamento degli enti regionali alla nuova disciplina, implica, quale regola generale, la non immediata applicazione della stessa e la necessità che essa venga adattata alle peculiarità dei singoli enti. Diversamente, del resto, non si intenderebbe l’attribuzione al regolamento del potere di disporre in deroga a norme ad esso sovraordinate. D’altra parte, l’art. 6 prevede, in termini generali, l’istituzione della terza fascia dirigenziale sia nell’amministrazione regionale che negli enti di cui all’art. 1, ma non contiene alcun elemento testuale che induca a ritenere derogata, con riguardo a detta materia, la disposizione di cui all’art. 1, comma 3. Nè può ritenersi che l’applicazione dell’art. 6, comma l, debba esser considerata indipendente dalla emanazione delle norme regolamentari di cui all’art. 1, comma 3, per l’espressa previsione della natura organizzativa di queste ultime. Al contrario, è proprio tale natura a renderle necessarie, visto che senza di esse potrebbero aversi inquadramenti del tutto scollegati rispetto al disegno organizzativo dell’ente e in particolare alle determinazioni in materia di organico, con violazione palese del principio del buon andamento dell’amministrazione, fissato dall’art. 97 Cost.

5.3. La necessità della regolamentazione, cosi esplicitata dalla norma, esclude la utilizzabilità delle tabelle di equiparazione di cui alla L.R. n. 6 del 1997, art. 31 cui la decisione impugnata ha correttamente attribuito un ambito di efficacia limitato ai meri profili economici e, in particolare, alla previsione di "tetti" retributivi.

5.4. La sentenza impugnata ha anche ricostruito, mediante una analitica ricognizione, le vicende connesse all’esercizio del potere regolamentare da parte dell’ente, successivamente all’entrata in vigore della L.R. n. 10 del 2000, essendone emerse, per quanto interessa in questa sede, la iniziale emissione del regolamento organizzativo e la sua successiva reiterazione – connessa alla mancata approvazione degli organismi regionali – che dimostrano, anche sul piano dell’effettività, l’assenza di alcun automatismo dell’inquadramento previsto dalla legge e l’esercizio, da parte della p.a., anche in sede di autotutela (a prescindere, quindi, dalla tardività, o meno, del parere dell’organo di controllo in relazione alla prima delibera adottata dall’ESA nel 2001), del potere – dovere di provvedere, mediante regolamento, all’adeguamento organizzativo previsto dal legislatore regionale.

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Si compensano le spese del giudizio di cassazione in ragione della complessità della questione e del formarsi recente della giurisprudenza sopra richiamata.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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