T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 04-02-2011, n. 225

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Riferiscono i ricorrenti di essere proprietari di aree ricomprese nel complesso industriale dell’ex stabilimento F. di Massa, costituito da un compendio immobiliare appartenuto, sin dagli anni 50, al gruppo M. che lo ha gestito con una serie di società fino alla lottizzazione e la vendita dei terreni avvenuta negli anni 2001/2004.

Nell’estate del 1988, durante la gestione F., si verificava un grave incidente con l’incendio degli impianti produttivi ed emissioni inquinanti nell’atmosfera che comportava la cessazione dell’attività e la progressiva dismissione dello stabilimento.

Nel 1991 la CERSAM s.r.l., subentrata a F., provvedeva ad avviare gli interventi di bonifica dell’area, conclusi nel 1995 con la certificazione di avvenuta bonifica dell’area industriale dismessa, rendendola così disponibile ai fini dell’insediamento di nuove attività industriali.

Poiché tale certificazione prevedeva l’attivazione di un sistema di contenimento e controllo delle acque di falda, la predetta società realizzava e manteneva in funzione una barriera idraulica consistente in 7 pozzi di emungimento delle acque di falda, con monitoraggio, analisi e trattamento prima dello scarico, come previsto dal decreto di bonifica del 22 settembre 1995.

Con la legge n. 426/1998 veniva istituito il sito di bonifica di interesse nazionale di Massa Carrara e, con d.m. 21 dicembre 1999, veniva disposta la perimetrazione di tutta l’area industriale Apuana, inclusa quindi la zona ex F..

CERSAM provvedeva al frazionamento del compendio immobiliare, previo piano di lottizzazione approvato dal Comune di Massa, e, quindi, alla sua vendita in lotti ai terzi acquirenti, con espressa menzione negli atti dell’avvenuta bonifica dell’area, come da certificazione rilasciata dalla Regione Toscana. Ad ulteriore garanzia degli acquirenti veniva inserita nei singoli contratti una clausola che prevedeva l’obbligo per il dante causa di accollarsi i costi di eventuali ulteriori bonifiche imposte dalla pubblica amministrazione nel termine di tre anni dalla stipula.

Rilevano, a questo punto i ricorrenti, che la barriera di contenimento idraulico approntata dalla CERSAM avrebbe dimostrato la sua piena efficacia, tanto che la qualità dell’acqua di falda, costantemente monitorata attraverso analisi semestrali, sarebbe progressivamente e sensibilmente migliorata nel corso degli anni, al punto che, dal 1999, l’acqua emunta non richiede più alcun trattamento e può essere direttamente scaricata nell’adiacente torrente Lavello.

Nell’anno 2003, tuttavia, il Direttore generale per la gestione dei rifiuti e bonifiche del Ministero dell’ambiente avviava un procedimento per la messa in sicurezza di emergenza, secondo le previsioni del d.m. 471/1999.

In data 4 agosto 2004, in sede di conferenza di servizi decisoria presso il Ministero dell’ambiente, veniva affidata all’ARPAT l’integrazione degli studi relativi alla falda sottostante il sito precedentemente eseguiti. In una successiva conferenza di servizi veniva stabilito di fissare un termine (il 30 settembre 2005) per l’elaborazione di progetti individuali per ciascun insediamento, precisando inoltre che, in caso di ottemperanza, sarebbero stati attivati poteri sostitutivi in danno dei soggetti inadempienti.

Tali richieste venivano, peraltro, indirizzate alla M. che, con propria nota del 3 marzo 2006, replicando alla richiesta dell’ARPAT, Sezione di Massa, di attuare la prescrizione impartita nella conferenza di servizi decisoria del 22 dicembre 2005, precisava che la pretesa doveva essere indirizzata agli attuali titolari dell’ex area F..

Preso atto di tale situazione, il Ministero dell’ambiente, nella conferenza di servizi decisoria del 28 aprile 2006, in attesa di deliberare in merito all’inizio dello studio di fattibilità per la messa in sicurezza di emergenza della falda mediante intervento coordinato, deliberava di chiedere, entro 30 giorni dal ricevimento del verbale, ai soggetti titolari dell’area ex F., l’adozione di misure di messa in sicurezza d’emergenza della falda consistenti nella realizzazione di una barriera idraulica di emungimento e successivo trattamento lungo il fronte dello stabilimento a valle idrogeologico dell’area, nonché di presentare un progetto di bonifica delle acque di falda basato sul confinamento fisico delle stesse.

Tanto nell’ipotesi che dalle indagini sulle acque di falda precedentemente prescritte si fossero evidenziati valori di concentrazione superiori a quelli limite indicati nella tabella "acque sotterranee" dell’allegato 1 al d.m. 471/1999.

Tutte le fasi del procedimento finora descritte si sono svolte in assenza di qualsiasi comunicazione e partecipazione conseguente delle ricorrenti.

Le successive conferenze di servizi istruttorie e decisorie pervenivano alle conclusioni fatte proprie dai provvedimenti dirigenziali in epigrafe indicati con i quali, in particolare, veniva richiesto alle società ricorrenti l’attivazione di un intervento di messa in sicurezza d’emergenza della falda, consistente in una barriera di contenimento fisico "lungo il fronte dello Stabilimento a valle idrogeologico dell’area", nonché la presentazione, entro trenta giorni, di un progetto di bonifica delle acque di falda fondato sul contenimento fisico dell’intera area.

Contro tali atti ricorrono le società in intestazione chiedendone l’annullamento, previa sospensione, con vittoria di spese e deducendo i motivi che seguono:

1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8, 10bis, 14 e segg. della l. n. 241/1990, dell’art. 239 del d.lgs. n. 152/2006. Violazione del principio del giusto procedimento, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, inesistente istruttoria e motivazione.

2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 15 del d.m. n. 471/1999 e dell’art. 164 del d.lgs. n. 152/2006. Incompetenza. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti, inesistente motivazione ed istruttoria e contraddittorietà.

3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e segg. della l. n. 241/1990, dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 e degli artt. 240 e segg. del d.lgs. n. 152/2006. Eccesso di potere per inesistente motivazione e inesistente istruttoria. Difetto dei presupposti. Incompetenza. Violazione dell’art. 252, comma 4, del d.lgs. 15272006.

4. Violazione falsa applicazione degli artt. 4, 23, 192, 240, 242, 243, 244, 245, 252, 253, 311, 313 del d.lgs. n. 152/2006, dell’Allegato 3 al Titolo V, Parte IV, del d.lgs. n. 152 cit., dell’art. 9 del d.m. n. 471/1999, del d.P.R. 12 aprile 1996, dell’art. 1 del d.p.c.m. 10 agosto 1988, n. 377, dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Eccesso di potere per violazione del principio del giusto procedimento, per inesistente motivazione ed istruttoria, travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, violazione del principio comunitario dell’applicazione delle migliori tecnologie a costi sopportabili e del principio di proporzionalità, incongruità, illogicità, irrazionalità e contraddittorietà manifeste. Sviamento di potere.

Si è costituita in giudizio il Ministero dell’ambiente e tutela del territorio e del mare opponendosi all’accoglimento del gravame. Scritti difensivi sono stati depositati anche dalla controinteressata M. in senso avversativo alle tesi di parte ricorrente.

Con ordinanza n. 31 depositata il 17 gennaio 2008 veniva accolta la domanda incidentale di sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato.

Alla pubblica udienza del 10 dicembre 2010 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame sono impugnati i decreti direttoriali del Ministero dell’ambiente e tutela del territorio e del mare, in epigrafe precisati, recanti i provvedimenti finali di adozione delle determinazioni conclusive delle Conferenze di Servizi decisorie dei giorni 4.10.2006, 13.12.2006 e 18.5.2007, oltre agli presupposti in essi richiamati, nella parte in cui contengono prescrizioni a carico delle ricorrenti.

In particolare si contestano le parti dei suddetti provvedimenti in cui viene richiesto alle ricorrenti di "avviare, entro 30 giorni dalla data di ricevimento del presente verbale, la realizzazione di un sistema idraulico di emungimento a monte della barriera fisica e successivo trattamento, lungo tutto il fronte dello Stabilimento a valle idrogeologico dell’area"; "la trasmissione del Progetto di Bonifica dei suoli dell’area in esame(che deve riguardare tutti i superamenti riscontrati e non solo gli hot spot)"; "ai fini dello svincolo di alcune sub aree i cui risultati di caratterizzazione hanno mostrato per gli analiti ricercati valori inferiori ai limiti fissati dalla vigente normativa in materia di bonifiche è necessario che sia presentato il Progetto definitivo di bonifica dei suoli e delle acque di falda basato sul contenimento fisico dell’intera area".

Con priorità logica sulle altre questioni deve essere esaminato il terzo motivo di ricorso, con il quale viene dedotto il vizio di incompetenza dell’organo emanante, atteso che, in caso di suo accoglimento dovrebbe pronunciarsi l’annullamento degli atti impugnati e rimettersi l’affare all’autorità competente, restando precluso l’esame degli ulteriori motivi di censura, onde evitare di pronunciarsi con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati, come stabilito dall’art. 34, comma 2, cod. proc. amm. (cfr., con riferimento al’analogo divieto contenuto nell’art. 26, l. T.A.R. cfr. C.d.S., Sez. IV, 20 luglio 2009, n. 4568).

Il motivo è infondato.

In analoga controversia il Collegio ha espresso l’avviso, dal quale non si rinvengono motivi per discostarsi, che l’art. 252 del d.lgs. n. 152/2006, distinguendo tra atti ed attività di competenza del Ministro dell’Ambiente ed atti e attività facenti capo al Ministero, faccia rientrare tra i primi l’individuazione, ai fini della bonifica, dei siti di interesse nazionale (trattandosi di atto attinente all’indirizzo politicoamministrativo in materia di bonifica), nel mentre l’impugnato decreto di recepimento della Conferenza di Servizi costituisce un mero atto di gestione, di competenza dirigenziale e non del Ministro, atteso che esso certamente non concerne le scelte di fondo che la P.A. è chiamata a compiere nel settore in esame (T.A.R. Toscana, sez. II, 19 maggio 2010, n. 1525).

Mentre i primi, infatti, si limitano a definire gli obiettivi e programmi da attuare, verificandone i risultati, il raggiungimento di questi risulta riservato alla responsabilità dei dirigenti. Ciò, in base al generale principio di distinzione tra attività di governo ed attività di gestione, che presiede l’organizzazione ed il funzionamento delle P.A., alla luce anche dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001 (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 9 ottobre 2009, n. 1738).

Analogamente deve ritenersi infondata la doglianza – contenuta nel medesimo motivo – relativa all’omissione del concerto con il Ministero delle attività produttive, atteso che il suddetto concerto non è richiesto dalla normativa di riferimento, limitandosi l’art. 252, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006, ad affermare che il predetto dicastero deve essere "sentito", con ciò escludendosi il ben più penetrante potere connesso all’esercizio del "concerto" che presuppone una manifestazione di volontà equiordinata a quello dell’organo procedente.

Il ricorso è in ogni caso fondato per quanto attiene agli ulteriori profili di illegittimità dedotti dalla parte ricorrente.

In primo luogo, si palesa fondato il primo motivo con cui la parte ricorrente denuncia la violazione dell’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento da parte dell’Amministrazione procedente.

L’art. 7 della l. n. 241/1990 stabilisce, come è noto, che "ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall’art. 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi".

Nel caso di specie non è contestato, in punto di fatto, che la comunicazione in parola non sia stata inviata, né le interessate hanno potuto prendere parte alle conferenze di servizi onde far valere le proprie ragioni attraverso documentate osservazioni.

Del pari è incontroverso che le società ricorrenti per essere destinatarie del provvedimento finale dal quale sono, con ogni evidenza, negativamente incise avrebbero dovuto ricevere la comunicazione prevista dalla norma sopra citata onde consentire la loro partecipazione al procedimento.

Ugualmente condivisibili appaino le doglianze di cui al quarto motivo volte a contestare l’imposizione di prescrizioni sulla base della mera titolarità del diritto di proprietà dell’area interessata.

Come questa Sezione ha più volte avuto modo di affermare (cfr., ex multis, T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 aprile 2009, n. 665; id., 6 maggio 2009, n. 762) che, tanto la disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità (cfr., nello stesso senso, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254).

L’Amministrazione non può, cioè, imporre ai soggetti che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento (così, nel vigore della precedente disciplina, T.A.R. Veneto, Sez. II, 2 febbraio 2002, n. 320).

L’enunciato è, peraltro, conforme al principio "chi inquina, paga", cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.

Nel caso di specie è fuori di dubbio che le ricorrenti non hanno dato luogo né hanno concorso agli accadimenti (come riferito in narrativa risalenti ad epoca anteriore all’acquisto delle aree in loro possesso) che hanno provocato l’inquinamento per il quale vengono imposte le operazioni di m.i.s.e. e di bonifica, ascrivibili, per quanto è dato affermare dalla ricostruzione prospettata dalle parti, alla gestione della ex F..

D’altro canto può osservarsi che, a chiusura del sistema, il Codice dell’ambiente (artt. 244, 250 e 253) prevede che, nell’ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell’inquinamento, ovvero di impossibile individuazione dello stesso – e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355; T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 settembre 2009, n. 1448).

Ne discende che è del tutto illegittima l’imposizione a carico delle medesime degli oneri enumerati dall’Amministrazione intimata.

Con riferimento a tale ultimo profilo le ricorrenti si dolgono (con il quarto motivo) dell’illegittimità della prescrizione dell’intervento di messa in sicurezza d’emergenza consistente in una barriera di contenimento fisico "lungo tutto il fronte dello Stabilimento a valle idrogeologico dell’area", trattandosi di disposizione priva di adeguata istruttoria e di motivazione in grado di giustificarne l’adozione.

Osserva, sul punto, il Collegio che la misura della cd. barriera fisica non risulta supportata, negli atti impugnati, da adeguati accertamenti tecnici o da altre spiegazioni, che la indichino come l’unico od il miglior sistema per evitare la diffusione dell’inquinamento, di tal ché il riferimento, contenuto nel verbale della Conferenza di Servizi decisoria, ad un’ampia ed approfondita discussione, ha natura di mera (e del tutto inidonea) formula di stile.

A prescindere dalla valutazione di altre misure, di minore complessità ed onerosità, resta fermo che, secondo la giurisprudenza (T.A.R. Puglia, Lecce. Sez. I, 11 giugno 2007, n. 2247), anche di questa Sezione (T.A.R. Toscana, Sez. II, 14 ottobre 2009, n. 1540; id., 18 dicembre 2009, n. 3973), la P.A. è tenuta a valutare ed accertare non solo l’inefficacia di misure meno invasive della barriera fisica, ma anche l’effettiva necessità, efficacia e realizzabilità del sistema di contenimento fisico. Pertanto, l’opzione per detto sistema, ovvero per un utilizzo combinato delle differenti tipologie di intervento, avrebbe potuto legittimamente avere luogo soltanto all’esito di un’analisi comparativa tra le diverse alternative in discorso, in ragione delle specifiche caratteristiche dell’area. L’analisi comparativa si sarebbe dovuta incentrare sull’efficacia delle diverse alternative nel raggiungere gli obiettivi finali, nonché sulle concentrazioni residue, sui tempi di esecuzione e sulla loro compatibilità con l’urgenza del provvedere, e sull’impatto rispetto all’ambiente circostante gli interventi (T.A.R. Lecce, Sez. I, n. 2247/2007, cit.).

Tanto, soprattutto, ove si tenga conto dell’opera di bonifica posta precedentemente in essere dal gruppo M., precedente proprietario dell’area, consistente nell’allestimento di una barriera idraulica costituita da sette pozzi di emungimento che aveva dimostrato la sua efficacia, al punto che alla stessa era stato rilasciata dalla Provincia di Massa Carrara l’autorizzazione allo scarico tal quale delle acque emunte dalla falda nell’adiacente torrente Lavello.

E’ mancata, dunque, la necessaria istruttoria sulle possibili interazioni tra i due modelli di barriera ipotizzabili (idraulica e fisica), al fine di evitare duplicazioni di interventi, con inutile aggravio dei costi, in spregio del principio di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa.

Per le considerazioni che precedono, assorbite le altre censure, il ricorso deve perciò essere accolto, conseguendone l’annullamento, per quanto di interesse delle ricorrenti, degli atti impugnati.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza come da liquidazione fattane in dispositivo per quanto attiene al Ministero dell’ambiente, mentre possono essere compensate per le altre controparti evocate in giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati

Liquida forfettariamente in Euro 4.000,00, oltre IVA e CPA, le spese di giudizio in danno del Ministero dell’ambiente e tutela del territorio e del mare, compensandole per il resto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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