T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, Sent., 04-02-2011, n. 198 Legittimità o illegittimità dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente ha presentato domanda di condono edilizio, ex art.39 della legge n.724/1994, in relazione a un manufatto, destinato a ricovero di attrezzi agricoli, costruito nel 1993.

Il Comune di Firenze, dopo un primo diniego, con atto del dirigente dell’ufficio condono edilizio datato 22/9/1999 ha recepito il parere favorevole, espresso dalla commissione edilizia integrata, in ordine alla conformità paesaggistica della suddetta opera.

La Soprintendenza di Firenze, con decreto del 26/10/1999, ha annullato la determinazione comunale per mancanza di motivazione, rilevando che trattasi di baracca in lamiera che appare estranea, per materiali e tipologia, al contesto paesaggistico e ambientale tutelato dal D.M. 27/10/1951.

Avverso il suddetto provvedimento il ricorrente è insorto deducendo:

1) violazione dell’art.39 della legge n.724/1994 e dell’art.2, commi 43 e 44, della legge n.662/1996 in relazione all’art.32 della legge n.47/1985; violazione per falsa applicazione del D.M. 27/10/1951;

2) violazione dell’art.7 della legge n.241/1990; violazione delle norme sul giusto procedimento;

3) omessa o falsa applicazione dell’art.82 del D.P.R. n.616/1977; falsa applicazione del combinato disposto dell’art.32 della legge n.47/1985 e dell’art.82 del D.P.R. n.616/1977; violazione dei principi generali in tema di annullamento degli atti;

4) omessa applicazione dell’art.3 della legge n.241/1990; eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza dei presupposti e difetto di motivazione;

5) incompetenza.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Soprintendenza per i Beni ambientali di Firenze, Pistoia e Prato.

Con ordinanza n.118 del 28/5/2010 questo TAR ha disposto incombenti istruttori.

Ad esito di tale pronuncia sono stati depositati documenti.

All’udienza del 21 ottobre 2010 la causa è stata posta in decisione.
Motivi della decisione

Con la prima censura il ricorrente sostiene che il manufatto oggetto dell’istanza di condono in realtà non rientra nell’ambito protettivo del vincolo paesaggistico istituito con D.M. 27/10/1951; quest’atto infatti, secondo l’esponente, richiama una planimetria alla cui stregua la proprietà dell’interessato non risulta compresa nella zona sottoposta a tutela paesaggistica.

Il rilievo è infondato.

Il Comune di Firenze ha depositato in giudizio, in data 2/7/2010, un estratto del piano regolatore indicante il manufatto abusivo all’interno dell’area vincolata. Nello stesso senso depone la documentazione depositata in giudizio dalla Soprintendenza in data 30/8/2010 (tanto che lo stesso deducente, nella memoria difensiva depositata in giudizio l’8/10/2010, ammette che "in data 30 agosto 2010 la Soprintendenza ha depositato ulteriore documentazione comprensiva…della cartografia estratta dal decreto di vincolo che, effettivamente, sembrerebbe assoggettare anche l’area che interessa a vincolo paesaggistico").

Con il secondo motivo il deducente lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento che ha portato all’adozione dell’impugnato decreto caducatorio; in particolare l’interessato osserva che la necessità del contraddittorio prevista dall’art.7 della legge n.241/1990 trova una esplicita conferma nell’art.4 del D.M. n.495 del 13/6/1994, vigente al momento dell’adozione del contestato provvedimento, e richiama, a fondamento della doglianza, varie sentenze del Consiglio di Stato; egli aggiunge che nel caso di specie non sussistono i presupposti di applicazione dell’art.21 octies della legge n.241/1990.

La censura non è condivisibile.

Come rilevato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (14/12/2001, n.9), allorquando il Comune accolga la domanda di autorizzazione paesaggistica deve essere attivata una sua ulteriore fase, necessaria e non autonoma, nella quale la Soprintendenza può annullare l’autorizzazione medesima. Pertanto quello che si svolge innanzi all’autorità statale è lo stesso procedimento, avviato ad istanza di parte, che prosegue nella ulteriore e non autonoma fase di controllo.

Ciò posto, e ricordato che, secondo giurisprudenza pacifica, per i procedimenti avviati ad istanza di parte non sussiste l’obbligo di comunicarne l’avvio, deve in linea di principio ritenersi che colui che ha chiesto la sanatoria edilizia in relazione a manufatto costruito in zona vincolata, dando impulso al relativo procedimento, non va necessariamente informato dell’avvio del riesame avente ad oggetto il nulla osta paesaggistico rilasciato dal Comune (TAR Campania, Napoli, IV, 21/5/2002, n.2900; TAR Toscana, III, 6/11/2007, n.3595).

Tuttavia l’art.4 del D.M. n.495 del 13/6/1994 prescrive la garanzia partecipativa del privato nella fase procedimentale di controllo innanzi alla Soprintendenza.

Riguardo a tale prescrizione occorre considerare che, nel caso di specie, il vizio che ha indotto l’ente statale ad annullare il provvedimento del Comune consiste nel difetto di motivazione del nulla osta, il quale non dà contezza delle ragioni di ravvisata compatibilità dell’opera rispetto al vincolo paesaggistico gravante sull’area.

Orbene, in relazione a tale vizio (che sarà valutato puntualmente nella trattazione della terza doglianza) non si vede quale apporto poteva essere fornito dal ricorrente nell’ipotesi in cui fosse stato avvertito della fase di riesame, in quanto il difetto di motivazione non poteva essere da lui smentito o sanato nell’eventuale contraddittorio con l’amministrazione statale (TAR Campania, Napoli, IV, 21/5/2002, n.2900; Cons.Stato, V, 21/1/2002, n.343). Invero, il Comune ha basato l’autorizzazione paesaggistica sul generico e apodittico assunto secondo cui "l’intervento realizzato non costituisce danno ambientale", senza puntualizzare l’iter logico che lo ha portato a sovvertire l’originario diniego.

Ciò posto, stante l’assoluto difetto di motivazione, resa ancor più necessaria dal fatto che in precedenza il Comune aveva respinto la domanda di autorizzazione riguardante il medesimo manufatto, e stante quindi l’illegittimità della determinazione comunale per violazione dell’art.3 della legge n.241/1990, trova applicazione nel caso di specie l’art.21 octies, comma 2, secondo periodo, della legge n.241/1990, secondo cui è esclusa l’annullabilità dell’atto emanato in mancanza di comunicazione di avvio del procedimento se viene dimostrato in giudizio che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Infatti l’enunciata dimostrazione non deve essere necessariamente fornita in giudizio dall’amministrazione, dovendo in mancanza il giudice accertare d’ufficio l’incidenza dell’omissione della garanzia partecipativa sul contenuto del provvedimento impugnato (TAR Lazio, Roma, III, 5/11/2009, n.10849).

Pertanto, tenuto conto che la predetta norma è tesa a conservare la determinazione amministrativa sostanzialmente corretta ma carente sotto il profilo procedimentale ed è applicabile indipendentemente dal fatto che si tratti di atto discrezionale o vincolato (Cons.Stato, V, 19/6/2009, n.4031), non è condivisibile la tesi, sostenuta dal ricorrente, dell’illegittimità per violazione della garanzia partecipativa.

Con il terzo rilievo la parte istante contesta l’assunto, posto a giustificazione dell’impugnato decreto, secondo cui la determinazione comunale sarebbe illegittima per difetto di motivazione; al riguardo l’interessato deduce che l’obbligo di motivazione subisce una logica attenuazione nei provvedimenti favorevoli al richiedente, in quanto la motivazione è desumibile dalle argomentazioni e dai documenti posti a sostegno dell’istanza; egli aggiunge che il Ministero, attraverso una fittizia constatazione del contrasto del nulla osta oggetto di riesame con l’art.3 della legge n.241/1990, svolge un inammissibile sindacato di merito.

La censura non può essere accolta.

Il giudizio espresso dalla commissione edilizia integrata, in base al quale il Comune ha rilasciato l’autorizzazione paesaggistica, si limita ad evidenziare che "l’intervento realizzato non costituisce danno ambientale", senza puntualizzare gli elementi ed i criteri alla cui stregua si è giunti a tale conclusione e, in particolare, senza spiegare le ragioni per cui si è deciso di sovvertire l’originaria decisione di non rilasciare l’autorizzazione paesaggistica.

Ebbene, secondo il costante orientamento giurisprudenziale l’assenso paesaggistico deve essere adeguatamente motivato onde consentire la chiara e corretta gestione dei vincoli paesaggistici ed il pieno controllo da parte dell’organo statale. Invero, considerata la tendenziale irreversibilità dell’alterazione dello stato dei luoghi e il rilievo costituzionale delle bellezze paesaggistiche (art.9, comma 2, della Costituzione), un’adeguata gestione dei vincoli posti a tutela delle stesse impone che l’autorizzazione sia congruamente motivata, così da specificare le ragioni di effettiva compatibilità con i valori coinvolti (Cons.Stato, VI, 23/2/2010, n.1070; TAR Lazio, Roma, II, 11/8/2010, n.30620; TAR Toscana, III, 28/5/2010, n.1685).

Il fatto che la Soprintendenza, con l’impugnato decreto, abbia rilevato che l’intervento in questione "consiste in una baracca in lamiera grecata del tutto estranea, sia per materiali impiegati che per tipologia di realizzazione, al contesto paesistico e ambientale tutelato, che ne risulta danneggiato" non dimostra che la stessa abbia deciso l’annullamento per ragioni di esclusiva opportunità, operando un sindacato di merito sull’azione amministrativa del Comune. Occorre infatti osservare che l’autorità statale può evidenziare la carenza motivazionale sulla base di argomentazioni che impingono nel giudizio di incompatibilità dell’intervento edilizio rispetto ai valori compendiati nel vincolo; pertanto il riferimento, espresso nel gravato provvedimento, alle caratteristiche del manufatto contrastanti col vincolo paesaggistico è legittimo in quanto funzionale a dare contezza del riscontrato difetto di motivazione indicando i profili ambientali trascurati (Cons.Stato, VI, 14/10/2009, n.6294).

Con la quarta doglianza l’esponente deduce che non è sufficiente a giustificare il mancato rilascio dell’autorizzazione paesaggistica l’affermazione secondo cui la costruzione danneggerebbe l’ambiente, dovendo l’amministrazione tenere conto dell’incidenza, sui valori tutelati, delle modifiche che si intendono apportare; egli lamenta altresì che il contestato decreto non specifica le ragioni di incompatibilità paesaggistica e i valori che sarebbero lesi dal manufatto, il quale secondo il ricorrente non è visibile da alcun punto esterno alla proprietà e può essere modificato in melius.

Il motivo è infondato.

Il provvedimento impugnato, nell’assumere a fondamento il difetto di motivazione della determinazione comunale, si sofferma sul manufatto esistente, e cioè sull’oggetto dell’istanza di condono; rileva infatti, ai fini del condono, della connessa autorizzazione paesaggistica e del riesame dell’organo statale, il manufatto abusivamente realizzato entro una certa data. Qualora si ammettesse invece una modifica sostanziale dell’opera da condonare, si verrebbe a sanare non già il manufatto ultimato entro una certa data, ma un’opera diversa, realizzata dopo il termine ultimo previsto dall’art.39 della legge n.724/1994 per il condono (TAR Toscana, I, 17/7/2000, n.1695).

Nessuna amministrazione è vincolata a fornire indicazioni per rendere compatibili gli abusi con il contesto paesaggistico (TAR Toscana, III, 28/5/2010, n.1685; idem, 26/2/2010, n.527), né rientra nelle competenze della Soprintendenza dettare prescrizioni tese ad assicurare il corretto inserimento dell’abuso edilizio nel territorio circostante.

Il decreto di annullamento trova quindi adeguata giustificazione nel ravvisato difetto di motivazione del provvedimento comunale, il quale è illegittimo in quanto non specifica le ragioni della compatibilità dell’opera rispetto al vincolo paesaggistico; l’illegittimità è resa ancor più evidente dalla constatazione che il materiale non di pregio di cui è composto il manufatto (lamiera grecata) e la sua tipologia (baracca) avrebbero richiesto una chiara esplicitazione dell’iter logico seguito dal Comune nella sua valutazione. Del resto la carenza di motivazione riscontrata dalla Soprintendenza, concretando violazione dell’art.3 della legge n.241/1990, è come visto di per sé sufficiente a legittimare l’annullamento in sede di controllo di legittimità, a prescindere dalle caratteristiche del manufatto.

Con la quinta doglianza il deducente rileva l’incompetenza della Soprintendenza, osserva che manca la sottoscrizione del direttore generale e afferma che il potere di annullamento è riservato al Ministero, e non all’organo periferico.

L’assunto non è condivisibile.

A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 29/1993, che ha attribuito ai dirigenti l’adozione degli atti gestionali già riservati agli organi politici, il potere di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, prima facente capo al Ministro, è diventato di competenza della dirigenza ministeriale e, in particolare, del direttore generale dell’ufficio centrale per i beni ambientali; questi, a sua volta, con atto del 18/12/1996 (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 4/1/1997, n.3), ha delegato ai Soprintendenti territorialmente competenti l’adozione delle determinazioni cui è riconducibile il decreto impugnato.

Con memoria depositata in giudizio in data 8/10/2010 il ricorrente ha rinnovato l’istanza istruttoria introdotta con l’impugnativa, osservando che non sono stati prodotti documenti idonei a comprovare la data in cui la determinazione comunale sarebbe pervenuta alla Soprintendenza, con conseguente impossibilità per l’interessato di verificare il rispetto dei termini previsti per l’adozione del decreto impugnato.

Il Collegio ritiene che tutta la documentazione necessaria ai fini del decidere sia stata depositata in giudizio ad esito dell’ordinanza istruttoria n.118 del 28/5/2010.

Quanto alla questione della data di ricezione, da parte dell’organo statale, del provvedimento comunale, occorre rilevare che l’atto impugnato non è recettizio, cosicchè il menzionato termine di legge è previsto per la sua emanazione, e non anche per la sua notifica. Pertanto, anche assumendo come dies a quo quello di adozione della determinazione comunale (22/9/1999) e non quello di ricezione indicato nel gravato decreto (27/9/1999), considerato che il decreto stesso è stato adottato il 26/10/1999, il termine ex art.82, comma 9, del D.P.R. n.616/1977 entro cui esercitare il potere di annullamento risulta rispettato. Ne deriva che non avrebbe alcuna utilità la produzione dei documenti da ultimo chiesti dal deducente.

In conclusione, il ricorso va respinto.

Non ha luogo a provvedersi sulle spese di giudizio, attesa la scarsa attività defensionale dell’amministrazione statale resistente.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge. Spese di giudizio come da motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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