Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 18-03-2011, n. 6284 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 10/12/07 la Corte d’Appello di Napoli, accogliendo l’impugnazione proposta il 21/2/07 da A.F. avverso la sentenza del 26/1/06 Tribunale di Napoli con la quale gli era stata respinta la domanda diretta a far dichiarare l’illegittimità de licenziamento intimatogli il 7/12/01 dalle Poste Italiane spa a definizione della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24 dichiarò l’illegittimità di tale licenziamento ed il diritto del ricorrente ad essere reintegrato nel posto di lavoro, con condanna della società appellata al risarcimento del danno nella misura della retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento fino al compimento del suo 65.mo anno di età, oltre che al pagamento degli accessori di legge e delle spese del doppio grado di giudizio. La Corte territoriale motivo tale decisione sulla base del rilievo che il criterio convenzionalmente adottato dalle parti collettive di consentire il licenziamento di coloro che alle date del 31/12/01 e del 31/3/02 erano in possesso dei requisiti per il diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia, come per l’appellante, non esimeva il giudicante dalla verifica della sussistenza delle esigenze tecniche organizzative aziendali sulle quali doveva essere, in ultima analisi, fondata la legittimità della procedura adottata, essendo tali esigenze preminenti rispetto ai successivi criteri di selezione, i quali dovevano essere valutati nell’ambito dei settori in cui si erano realmente verificate le eccedenze di personale al momento del licenziamento. Invece, nel caso concreto era capitato che l’appellante era risultato essere stato sostituito con altro dipendente con identico inquadramento di Q2 e che era stato, altresì, appurato che alla data dell’1/8/01 non solo non si erano avute eccedenze di personale in tale area di inquadramento, ma che, addirittura, a livello regionale erano state segnalate 26 unità in meno rispetto all’organico previsto per la stessa area.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane spa, affidando l’impugnazione a due motivi di censura.

Resiste con controricorso A.F..

La ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione

1. Col primo motivo le Poste Italiane s.p.a denunziano il vizio di violazione e falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 5 con riguardo alla determinazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità e alla individuazione dei settori aziendali interessati dalla procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4.

Attraverso tale motivo la ricorrente contesta il ragionamento del giudice d’appello secondo il quale il requisito della maturazione del diritto alla pensione, prescelto dalle parti sociali nell’accordo dell’ottobre del 2001, non può prescindere dall’esistenza di posti di lavoro in esubero e che in Campania si era registrata una carenza di organico nella posizione Q2, cosa confermata dal fatto che l’ A. era stato sostituito nelle sue mansioni da altro collega con la medesima qualifica. Secondo la tesi della Corte d’appello di Napoli l’individuazione dei lavoratori da porre in mobilità dovrebbe, quindi, avvenire in modo che essi siano individuati nell’ambito dei settori o dei reparti in relazione ai quali siano prospettate e riscontrate le situazioni di eccedenza, così da esprimere un nesso eziologico tra le esigenze tecnico – produttive e la scelta del personale, mentre attraverso il criterio concordato le parti avrebbero solo inteso limitare la scelta ad una categoria di personale eccedentario, indipendentemente dalla preventiva definizione della collocazione aziendale degli esuberi.

Nel censurare tale ragionamento la ricorrente evidenzia che, in spregio alla "ratio" della L. n. 223 del 1991, il giudice d’appello ha in realtà fornito una interpretazione che contempla una compressione della possibilità per le parti sociali di raggiungere un accordo e che finisce per precludere alle stesse, coinvolte nella procedura di cui all’art. 4 della predetta legge, la disamina della situazione economica ed organizzativa dell’intero complesso aziendale o, almeno, l’utilità di quella disamina, dal momento che, nell’interpretazione fatta propria dal medesimo giudicante, l’accordo non potrebbe mai riguardare settori non dichiarati eccedentari dal datore di lavoro. In definitiva, secondo la ricorrente, la tesi adottata dalla Corte territoriale si pone in violazione, oltre che della L. n. 223 del 1991, art. 5 anche dell’art. 39 Cost., comma 1 che contiene una garanzia della libertà di contrattazione collettiva, tanto più rilevante ove, come nella specie, è o stesso legislatore a delegare all’autonomia collettiva un intervento regolamentare. Basti pensare, aggiunge la difesa delle Poste, che ove il criterio di scelta della prossimità alla pensione dovesse essere applicato solo su alcuni settori aziendali e non su tutta l’azienda, come espressamente chiarito negli accordi sindacali, il numero dei lavoratori da porre in esodo sarebbe considerevolmente inferiore a quello necessitato e preventivato.

A conclusione del motivo viene posto il seguente quesito di diritto:

"Avuto riguardo al fatto che nell’accordo di definizione della procedura ex L. n. 223 del 1991 le parti abbiano convenuto la licenziabilità di tutto il personale in possesso dei requisiti pensionistici, è necessario che l’applicazione del predetto in fase di attuazione dei recessi tenga comunque conto di un necessario nesso eziologico tra le esigenze tecnico-produttive e la scelta del personale e che quindi i soggetti da porre in mobilità siano individuati nell’ambito di settori o reparti in relazione ai quali siano state prospettate e riscontrate situazioni di eccedenza o è possibile l’applicazione dell’accordo nell’ambito dell’intero complesso aziendale?" 2. Col secondo motivo la ricorrente si duole della insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia con riguardo alla determinazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità e alla individuazione dei settori aziendali interessati dalla procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4.

In particolare, la difesa di parte ricorrente sostiene che la sentenza impugnata è errata in quanto valorizza eccessivamente il sindacato giurisdizionale sul profilo causale del licenziamento collettivo, senza considerare che, nella giurisprudenza e nella dottrina dominante, tale sindacato sfuma nella verifica del rispetto della procedura e dei criteri di scelta convenuti. A riprova di tale assunto la stessa difesa si riporta alla lettera di apertura della procedura L. n. 223 del 1991, art. 4 del 25 giugno 2001, che prevedeva esplicitamente che l’esigenza di riduzione del personale si sarebbe riverberata in tutto il contesto nazionale ed avrebbe riguardato tutto il personale, poichè trovava fondamento nell’esigenza indifferibile di ricondurre il costo del personale nelle sue varie componenti, attraverso sia la ridistribuzione territoriale delle risorse in relazione alle esigenze organizzative, sia, comunque, attraverso la riduzione del numero di addetti, entro livelli più coerenti con la propria situazione economica e gestionale. E rispetto a quest’esigenza, conclude la ricorrente, che doveva essere valutato l’ambito di operatività dei criteri di scelta e la sussistenza del nesso causale, per cui viene posto il seguente quesito: "Avuto riguardo al fatto che nell’accordo di definizione della procedura ex L. n. 223 del 1991 le parti abbiano convenuto la licenziabilità di tutto il personale in possesso dei requisiti pensionistici, dica la Corte se il licenziamento collettivo costituisce istituto autonomo, caratterizzato esclusivamente dalle dimensioni occupazionali del datore di lavoro, dal numero dei licenziamenti e dall’arco temporale nel quale sono effettuati e sul quale il controllo è demandato al confronto ex ante con le organizzazioni sindacali, restando il sindacato giurisdizionale ex post ristretto alla sola correttezza procedurale dell’operazione".

Osserva la Corte che entrambi i motivi possono essere trattati congiuntamente, dal momento che gli stessi implicano la disamina dell’unica questione prospettata della legittimità della procedura seguita nell’attuazione della messa in mobilità dei dipendenti, tra i quali l’odierno intimato, individuati in base al criterio concordato del possesso dei requisiti, a date prefissate, per il conseguimento del trattamento pensionistico. Il ricorso è fondato.

Invero, come questa Corte ha già avuto modo di statuire (Cass. sez. lav. n. 4653 del 26/2/2009) "in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, che restano sottratti al controllo giurisdizionale, cosicchè, ove il progetto imprenditoriale sia diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, senza che occorra l’indicazione degli uffici o reparti con eccedenza, e ciò tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura che, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio della scelta de possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione. Tra l’altro questo precedente ribadisce un orientamento costante di questa Corte in tema di controllo giudiziale da esercitarsi sulla regolarità procedimentale del licenziamento collettivo e sul rispetto dei principi di non discriminazione, di razionalità e di obiettività dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare nella determinazione negoziale degli stessi criteri.

Si è, infatti, precisato (Cass. sez. lav. n. 21541 del 6/10/2006) che "in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la L. n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato "ex post" nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto "ex ante" alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale (a differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo) ma la correttezza procedurale dell’operazione (ivi compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso), con la conseguenza che non possono trovare ingresso in sede giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di "effettive" esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva.

(Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato complessivo principio, ha confermato la sentenza impugnata con la cui congrua e logica motivazione era stata adeguatamente rilevata la sussistenza delle condizioni procedimentali per far luogo alla procedura di licenziamento collettivo in dipendenza dell’emergenza delle esigenze oggettive, richieste dalla legge, di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, il cui accertamento di fatto sfuggiva alle censure del ricorrente fondate essenzialmente sul rilievo della divergenza tra la situazione rilevata con la comunicazione iniziale di apertura della procedura di mobilità e quella di fatto sussistente al momento conclusivo, in cui furono adottati i provvedimenti di recesso)". Si è, inoltre, chiarito che "in materia di licenziamenti collettivi – come sottolineato nella sentenza della Corte costituzionale n. 268 del 1994 – la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare (che si traduce in accordo sindacale che ben può essere concluso dalla maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le associazioni sindacali che li rappresentano, senza la necessità dell’approvazione dell’unanimità), poichè adempie ad una funzione regolamentare delegata dalla legge, deve rispettare non solo il principio di non discriminazione, sanzionato dalla L. n. 300 del 1970, art. 15 ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell’obiettività e della generalità oltre a dover essere coerenti con il fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori. Deve, conseguentemente, considerarsi razionalmente adeguato il criterio della prossimità al trattamento pensionistico con fruizione di "mobilità lunga", oltretutto menzionato come esempio nella suddetta sentenza costituzionale, stante la giustificazione costituita dal minore impatto sociale dell’operazione e il potere dell’accordo di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, di sostituire i criteri legali e di adottare anche un unico criterio di scelta, a condizione che il criterio adottato escluda qualsiasi discrezionalità del datore di lavoro" (Cass. sez. lav. n. 9866 del 24/4/2007) Si è, ulteriormente, ribadito (Cass. sez. n. 21541 del 6/10/06 conforme a Cass. sez. n. 20455 del 21/9/06) che "in materia di collocamento in mobilità e di licenziamenti collettivi, il criterio di scelta adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali per l’individuazione dei destinatari del licenziamento può anche essere unico e consistere nella prossimità a pensionamento, purchè esso permetta di formare una graduatoria rigida e possa essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro".

D’altronde, nella fattispecie in esame, non può non rilevarsi l’assenza di qualsiasi elemento suscettibile di far paventare l’esistenza di un intento discriminatorio da parte della società datrice di lavoro, essendo innegabile l’equità di un sistema di riduzione del personale incentrato sull’esigenza di una più efficiente riorganizzazione dell’impresa non disgiunta da quella di addossare la ricaduta degli effetti negativi della riduzione stessa sui soggetti che, per essere prossimi a pensione, hanno la capacità economica di ammortizzare meglio detti effetti, ed essendo certo che la società aveva prospettato che l’individuazione dei lavoratori da verificare doveva avvenire in relazione alle esigenze tecnico – produttive dell’intero complesso aziendale.

Alla luce di tali precisi e costanti orientamenti della Corte deve, quindi, osservarsi che il controllo giurisdizionale esercitato da giudice d’appello è andato ben oltre i limiti delineati dalla L. n. 223 del 1991, in quanto il medesimo non ha limitato la propria indagine alla correttezza procedurale dell’operazione, ma si è spinto a punto di esigere, contrariamente al contenuto degli accordi sindacali, che non aveva alcuna rilevanza il fatto che in tali accordi fosse stato previsto il licenziamento di tutto il personale che, alle date del 31/12/01 e del 31/3/02, si fosse trovato nel possesso dei requisiti per il diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia (come per l’ A.), in quanto tale prescrizione riguardava l’applicazione del criterio concordato e non l’individuazione dei settori eccedenti in cui il criterio stesso avrebbe dovuto operare.

In particolare tale ragionamento, che finisce per parcellizzare il concetto stesso dell’intero ambito aziendale, è contraddetto proprio da un precedente di questa Corte che ha avuto modo di affermare che "in tema di collocamento in mobilità, l’individuazione dei lavoratori da verificare deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico – produttive dell’intero complesso aziendale, e ciò anche in base alla definizione di "personale abitualmente impiegato" – aggiunta, significativamente, al testo originario del D.Lgs. n. 151 del 1997, art. 1 (in attuazione della direttiva del Consiglio CEE n. 175/129 del 17 febbraio 1975, aggiornata dalla successiva direttiva n. 92/56 del 24 giugno 1992), secondo cui il riferimento ai profili professionali da prendere in considerazione sono anche quelli propri di tutti i dipendenti potenzialmente interessati (in negativo) alla mobilità, tra i quali potrà, all’esito della procedura, operarsi la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità L. n. 223 del 1991, ex art. 5" (Cass. sez. lav. n. 12719 del 29/5/2006).

E’, quindi, certo che il licenziamento intimato all’ A. non avvenne in violazione delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e che nemmeno fu offerta la prova da parte del lavoratore, a fronte della oggettività, della ragionevolezza e della natura non discriminatoria del criterio concordato in sede sindacale per la messa in mobilità del personale eccedente, di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori.

Il ricorso va, perciò, rigettato con conseguente cassazione della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte può decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, per cui la domanda del lavoratore va rigettata.

Motivi di equità, dovuti sia alla natura della lite che alla qualità di parte più debole del rapporto rivestita dall’intimato, inducono la Corte a ritenere interamente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rigetta la domanda. Compensa tra le parti le spese dell’intero procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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