Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-01-2011) 10-02-2011, n. 4976 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con ordinanza in data 8.4.2010 il Tribunale di Trieste accoglieva la richiesta di riesame proposta da C.G. e N. G. avverso distinte ordinanze del GIP del Tribunale di Trieste del 24.3.2010, con le quali era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di detenzione a fini di spaccio di 3,4 Kg. di hashish, suddivisi in 34 pezzi, ed ordinava la immediata scarcerazione dei predetti.

In accoglimento della eccezione proposta dalla difesa, riteneva il Tribunale che non erano state trasmesse le intercettazioni telefoniche su cui pacificamente il GIP aveva fondato l’applicazione della misura. Agli atti, invero, risultava il fascicolo relativo alle intercettazioni, autorizzate con decreto del GIP del 16.2.2010, ma non le intercettazioni stesse.

A norma del combinato disposto dell’art. 309, comma 5, (che richiama l’art. 291 c.p.p.) e art. 309, comma 10, la mancata trasmissione degli atti determinava l’inefficacia della misura. Conseguendo alla mancata trasmissione direttamente l’inefficacia della misura, non vi era spazio per la cosiddetta prova di resistenza.

2) Ricorre per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste.

Dopo una premessa in fatto denuncia la mancanza, contraddittorietà, illogicità della motivazione.

Il Tribunale, nel dichiarare l’inefficacia della misura per la mancata trasmissione delle intercettazioni telefoniche, non ha tenuto conto che, come risultava chiaramente dalla missiva accompagnatoria, erano stati trasmessi al riesame tutti gli atti presentati al GIP in sede di richiesta di applicazione della misura.

Le intercettazioni (rectius trascrizioni delle intercettazioni) cui fa riferimento il Tribunale erano state depositate dalla p.g. dopo l’emissione della misura.

Il Tribunale, evidentemente, è stato tratto in inganno dal fatto che il GIP nell’ordinanza applicativa della misura cautelare fa riferimento anche alle conversazioni telefoniche; ma ciò perchè esse erano citate nella informativa di reato posta a fondamento dell’arresto degli indagati. Le trascrizioni, invece, non erano state trasmesse al GIP, per cui erroneamente è stato applicato il disposto di cui all’art. 309 c.p.p., comma 5.

Eventualmente poteva configurarsi una parziale trasmissione di atti al GIP, ma tale circostanza esula dall’applicazione della norma in questione.

Nè in ogni caso rileva la mancata trasmissione, in sede di giudizio di riesame, dei supporti informatici e delle formali trascrizioni.

3) Il ricorso è fondato.

3.1) Secondo la giurisprudenza di questa Corte "In materia di procedimento applicativo delle misure cautelari non sussiste a carico del P.M. l’onere di trasmettere prima al giudice per le indagini preliminari e poi al riesame tutti gli atti di indagine compiuti nella loro integralità, in quanto resta ferma la sua discrezionalità nella selezione di tale materiale, mentre l’obbligo di una trasmissione completa ed integrale sussiste solo per gli elementi a favore dell’imputato e per le eventuali deduzioni e memorie" (cfr. ex multis Cass., pen. sez. 5^ n. 39950 del 6.6.2004;

Cass. sez. 2^ n. 12080 del 6.2.2008).

A norma dell’art. 292 c.p.p., invero, l’ordinanza che dispone la misura cautelare è nulla "se non contiene la valutazione degli elementi a carico e a favore dell’imputato, di cui all’art. 358, nonchè all’art. 327 bis" (comma 2 ter).

L’accertamento che gli atti eventualmente non trasmessi al GIP contengano "elementi a favore" compete indubbiamente al Tribunale del riesame.

La giurisprudenza di questa Corte ha però individuato dei parametri che i giudici di merito debbono prendere in considerazione nell’effettuare tale valutazione.

Si è innanzitutto evidenziato che "ove l’indagato invochi la nullità dell’ordinanza custodiate a norma dell’art. 292 c.p.p., comma 2 ter, a causa della mancata trasmissione di un atto processuale, contenente elementi favorevoli alla sua difesa, ma non risultanti dalla motivazione dell’ordinanza cautelare, grava sull’indagato medesimo l’onere di fornire la prova, storica o anche soltanto logica, che l’attò non trasmesso contenesse tali elementi" (Cass. Sez. 3^ n. 8698 del 17.1.2008).

In particolare, in relazione al verbale delle dichiarazioni rese dal coindagato in sede di interrogatorio, si è ritenuto che la parte abbia l’onere di indicare compiutamente gli elementi di qualificazione a lui favorevoli presenti, negli atti non trasmessi, non potendo sostenere apoditticamente la rilevanza per lui favorevole di tali verbali (Cass. sez. 6^ n. 20527 del 28.3.2003).

L’obbligo del giudice di valutare anche gli elementi a favore è limitato a quei dati che consistano in circostanze positive le quali contrastino con gli elementi di accasa è che di conseguenza li annullino o li rendano meno certi (è stato escluso che l’esito negativo di un riconoscimento fotografico – definibile non fatto – che ha natura del tutto neutra rispetto all’accusa rientri nel novero degli elementi favorevoli all’indagato) cfr. Cass. sez. 2^ n. 16621 del 13.3.2008.

Nella nozione di "elementi a favore" non rientra, infatti, indiscriminatamente qualsiasi elemento (quali ad esempio le mere posizioni difensive negatorie, le semplici prospettazioni di tesi alternative e gli assunti chiaramente defatigatori), ma soltanto gli elementi di natura oggettiva e, di fatto, aventi natura concludente (Cass. sez. 4^ n. 29999 del 27.6.2006; deve trattarsi cioè di elementi oggettivamente favorevoli, come le dichiarazioni di coindagati che scagionino il prevenuto, mentre non sono tali le dichiarazioni rese su aspetti marginali dei fatti incriminati e che non modifichino nella sostanza la posizione dell’indagato (così Cass. sez. 4^ n. 31402 del 22.6.2005).

3.1.1) Non risulta neppure prospettato che le intercettazioni, delle quali su assume la omessa trasmissione, contenessero elementi a favore degli indagati. Il Tribunale si è limitato, infatti, a dichiarare la inefficacia della misura sul mero presupposto che tali atti fossero stati trasmessi al GIP ma non al riesame. Tale presupposto fattuale è però smentito dagli atti.

Dalle missive accompagnatorie datate 1 aprile 2010 risulta, infatti, che la Procura della Repubblica trasmise ex art. 309 c.p.p., "copia degli atti presentati da quest’Ufficio al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Trieste, a supporto della richiesta di misura cautelare ai sensi dell’art. 291 c.p.p., comma 1"; nonchè copia dell’ordinanza impugnata ed il verbale degli interrogatori davanti al GIP. Tale missiva è chiarissima in ordine alla trasmissione di tutti gli atti presentati al GIP. 3.2) In ogni caso il Tribunale avrebbe dovuto, comunque, procedere alla cosiddetta prova di resistenza.

Secondo la giurisprudenza più recente di questa Corte, infatti, "all’esito delle modifiche apportate all’art. 309 c.p.p., dalla L. 8 agosto 1995, n. 322, l’istituto del riesame dei provvedimenti limitativi della libertà personale adottati dal GIP non è più finalizzato, come in passato, a costituire una garanzia dell’accesso difensivo agli atti, bensì è prevalentemente incentrato, in una logica di tipo sostanziale, sulla valutazione degli indizi, operata dal giudice cautelare, attraverso l’esame degli atti dai quali possano desumersi gli elementi di colpevolezza, le esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura prescelta. L’obbligo di trasmissione degli atti sopravvenuti è limitato a quelli effettivamente favorevoli all’indagato, idonei a influire positivamente sulla sua posizione (sez. un. 11.1.2001, ric. Mennuni). In conseguenza del controllo a più ampio raggio dell’ordinanza applicativa, si è per converso venuto attenuando il potere selettivo del P.M. (sez. un. 5.3.1997, ric. Glicora). Tale approdo ermeneutico, polarizzato sui dati sostanziali qualificanti, la cui omessa o tardiva trasmissione al giudice del riesame produce la caducazione della misura, ha accentuato la "prova di resistenza" del provvedimento restrittivo in riferimento all’irrilevanza, ai fini della legittimità e della correttezza della decisione cautelare, di elementi non trasmessi o ininfluenti sulla decisione ovvero di elementi già noti alla difesa (conosciuti o conoscibili, in quanto nella sua disponibilità (sez. un. 27.3.2002 n. 19853, ric. P.M. in proc. Ashraf). Dall’evoluzione interpretativa successi alla novella del 1995 e dalle pronunzie delle sezioni unite di questa Corte in precedenza richiamate emerge una progressiva valorizzazione del ruolo del difensore che, essendo ormai a conoscenza sostanziale degli elementi posti a fondamento dell’ordinanza applicativa della misura grazie agli adempimenti esecutivi previsti dall’art. 293 c.p.p., comma 3, è responsabilizzato alla produzione vicaria, sganciata dal termine perentorio di cui all’art. 309 c.p.p., comma 5, di materiale utile per la decisione in sede di riesame in coincidenza di specifiche prospettazioni fino all’udienza camerale e nel corso della stessa, con particolare riguardo alla sopravvenienza di elementi favorevoli al suo assistito. Le conseguenze caducatorie dell’omessa trasmissione di atti conseguono, pertanto, non a generiche deduzioni al riguardo, ma alla denuncia di specifiche omissioni di dati sostanziali decisivi…" (cfr. Cass. sez. 1^ n. 6618 del 17.1.2008, Rinaldi).

3.3) L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame, olla luce dei rilievi e dei principi sopra enunciati, al Tribunale di Trieste.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Trieste.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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