Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-03-2011, n. 6374 Retribuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

N.V. chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale di Napoli, pubblicata il 20 dicembre 2005, che ha confermato la decisione con la quale il Pretore di Napoli aveva respinto il suo ricorso nei confronti di F.C. (a seguito della morte di quest’ultimo vi è stata riassunzione nei confronti degli eredi, odierni intimati).

Il ricorso è articolato in tre motivi.

Gli eredi del F. si difendono con controricorso.

Il N. convenne in giudizio il datore di lavoro chiedendo il pagamento di una serie di differenze retributive (per complessive L. 49.751.000) conteggiate in applicazione del ccnl del settore commercio.

Il Pretore ritenne invece provata la natura industriale dell’attività della ditta individuale e respinse la domanda.

Il lavoratore propose appello.

Il Tribunale ha confermato la decisione dì primo grado. Il nucleo centrale della decisione attiene alla verifica ed affermazione della natura industriale della impresa convenuta ed appellata.

Con il primo motivo il ricorrente denunzia "violazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.. Difetto di motivazione.

Sia assume che spettava al datore di lavoro provare la natura industriale e non commerciale dell’impresa e che tale prova non è stata offerta ma, anzi, sono emerse evidenze di segno contrario.

In realtà, il ricorso fonda la richiesta di differenze retributive sulla asserita natura commerciale e non industriale dell’impresa.

Tale natura costituisce elemento costitutivo del diritto azionato con il ricorso.

Peraltro, a seguito dell’istruttoria, è stato acquisito un consistente quadro probatorio.

Tuttavia, nella parte in cui nel ricorso si assume che le risultanze istruttorie depongono in senso contrario a quello indicato dai giudici di primo e di secondo grado, si entra nel merito del decisione, andando oltre i confini del giudizio di legittimità.

Peraltro, pur denunziando un vizio di motivazione, non si specifica il tipo di vizio (omissione, insufficienza o contraddittorietà), nè si fecalizza il punto su cui il vizio insisterebbe. La sentenza, muovendo da una ricostruzione del contenuto della norma guida, l’art. 2195 cod. civ. sviluppa un ragionamento giuridico e valutativo del quadro probatorio, lineare, privo di contraddizioni e sufficientemente motivato.

Con il secondo motivo si denunzia "insufficiente e contraddittoria motivazione e violazione dell’art. 116 cod. proc. civ.".

Nell’esposizione si censura specificamente il brano della sentenza in cui si afferma che l’impresa appellata assume un rischio più ampio di quello della semplice commercializzazione dei prodotti, in quanto acquista la materia prima, la suddivide tra i diversi modelli, e distribuisce la quantità di modelli da far confezionare per poi rivenderli.

Non vi è contraddizione in tale affermazione, in quanto essa costituisce sviluppo della premessa teorica, fatta poco prima, con la quale il Tribunale aveva precisato che non è commerciale, ma industriale l’attività intesa a produrre un bene o un servizio dotato di una nuova utilità economica.

Con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 1195 cod. civ. in relazione al D.P.R. 6 marzo 1978, n. 208 ed alla L. 1 marzo 1986, n. 64.

La tesi critica è che il Tribunale avrebbe omesso di valutare che i documenti prodotti dalla resistente, tesi a dimostrare l’inquadramento della impresa tra quelle industriali, non erano idonei a tal fine perchè, provenienti dall’INPS, attestavano ai soli fini dell’applicazione delle agevolazioni fiscali e previdenziali l’inquadramento della impresa tra quelle industriali.

A parte il fatto che l’art. 1195 cod. civ. non concerne la materia in esame, deve sottolinearsi che il Tribunale non ha affatto posto tali documenti provenienti dall’INPS a fondamento della motivazione, che si basa su altri elementi di prova ed in particolare sulla prova testimoniale con i testi D.M., R. e E. (cfr. pag. 3 della sentenza).

I motivi sono, pertanto, tutti privi di fondamento ed il ricorso deve essere rigettato.

Le spese devono essere poste a carico della parte che perde il giudizio.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 28,00 Euro, nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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